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In Piemonte si discute di una legge che amplia il numero delle specie cacciabili

Post n°4397 pubblicato il 25 Febbraio 2011 da cile54

Democrazia negata. Torna l'incubo caccia

Avevo poco più di trent'anni quando con grande entusiasmo nel 1987 partecipai alla raccolta di oltre 60 mila firme in calce alla richiesta di un referendum regionale per chiedere l'abrogazione di parte della normativa regionale allora vigente in materia di caccia. Il quesito referendario prevedeva una drastica riduzione dell'attività venatoria non essendo possibile allora abolire la caccia con un referendum regionale, essendo tale attività prevista da una legge dello Stato.

Nel 1988 la Regione Piemonte dichiarò la richiesta ammissibile, ma, subito dopo, approvò una nuova normativa, la L.R. 22/1988, e, conseguentemente dichiarò, con apposito decreto del Presidente della Giunta, la cessazione delle operazioni referendarie, essendo mutata la legge oggetto di consultazione. Da notare che la nuova legge recepiva solo in piccola parte le richieste del referendum (ad esempio le specie cacciabili rimasero ancora 29 a fronte delle sole 4 previste dal quesito).

Il Comitato del Referendum, dopo un ricorso in via amministrativa per il quale i giudici del TAR e del Consiglio di Stato si dichiararono incompetenti, iniziò una battaglia legale transitata attraverso tre gradi di giudizio davanti al Tribunale Civile fino alle Corte di Cassazione che nel 1999 riconobbe illegittima la sospensione dell'iter referendario non essendo stata effettuata una comparazione tra la vecchia legge e la nuova per vedere se la richiesta referendaria era stata recepita.

La Regione, allora, nominò una Commissione, presieduta dal professor Sergio Vinciguerra, affinché valutasse se la nuova disciplina aveva o meno recepito le istanze referendarie. Il responso della Commissione venne redatto in modo palesemente inveritiero e determinò una nuova cessazione dell'iter referendario. Il Comitato promotore, dopo un nuovo ricorso amministrativo attraverso due gradi di giudizio rimasti senza effetto, ricorse nuovamente al Tribunale Civile per vedere riconosciuto il diritto al referendum.

Il 5 settembre 2008, con sentenza n. 6156, il Tribunale di Torino, Prima Sezione Civile accolse le istanze dei promotori il referendum e riconobbe il loro pieno diritto alla prosecuzione del processo referendario.

Il 29 dicembre 2010, con sentenza n. 1986, La Corte d'Appello di Torino ha respinto il ricorso presentato dalla Regione Piemonte contro la sentenza di primo grado e ha ribadito la legittimità della richiesta referendaria. Ora in Piemonte si andrà a votare contro la caccia dopo 23 anni.

Il quesito dovrà essere trasferito sulla attuale legge.

Nel 1990 nel referendum nazionale contro la caccia in Piemonte venne raggiunto il quorum del 50% di votanti, non conseguito a livello nazionale, e il 91% dei cittadini piemontesi si espresse per l'abolizione della caccia.

Ventitré anni di democrazia vengono in questi giorni liquidati dall'assessore regionale alla caccia con un «abbiamo in discussione una nuova legge che amplia le specie cacciabili…».

Del pensiero dei propri cittadini all'assessore Claudio Sacchetto della Lega Nord importa evidentemente poco. Qualcuno gli ricordi (era ragazzino di otto anni nel 1987) che per il diritto al voto la generazione dei nostri genitori e dei suoi nonni ha pagato un alto tributo di sangue e il referendum è uno strumento di democrazia costituzionalmente garantito.

Alla soglia dei sessant'anni sono ancora tra coloro che sperano che la democrazia possa sopravvivere nel nostro paese.

 

Roberto Piana

24/02/2011

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