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L’ austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa, di Vincenzo F. Russo

Post n°405 pubblicato il 23 Aprile 2014 da socialismoesinistra

 

Emiliano Brancaccio, Marco Passarella, l’Austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Il Saggiatore, 2012.
Come spiegano gli autori il libro è costruito su quattro argomentazioni. La prima di ordine teorico dice che l’accumulazione capitalistica non è sempre limitata dalla scarsità dei fattori produttivi. La seconda sostiene la tesi secondo cui la riproduzione capitalistica negli ultimi trenta anni trova la sua spinta propulsiva nella finanza privata. La terza argomentazione riguarda la missione dell’Unione Europea che attraverso l’euro dovrebbe diventare una sorta di grande Germania , ossia, una macchina produttiva guidata dalle esportazioni. La quarta consegue dalla terza ed implica un aggiornamento di alcuni strumenti di politica economica e sociale volta a comprimere e reprimere il ruolo della finanza privata e a trovare un nuovo motore di sviluppo a livello continentale fondato su una moderna visione della pianificazione pubblica e, quindi, un nuovo ruolo dell’operatore pubblico.
Va da se che per raggiungere questo obiettivo occorre smantellare la politica economica dell’austerità portata avanti in questi anni dai governi neoliberisti che egemonizzano la scena politica dell’eurozona. Si tratta di una politica economica e finanziaria nettamente deflazionistica che nel medio termine rischia di far saltare l’euro e mettere in discussione il progetto europeo. In questi termini, la linea del governo tecnico Monti è stata in sostanziale continuità con quella di Berlusconi ed in Monti: rigore, equità e crescita è stato attuato solo il primo. L’economia italiana è caduta in una seconda recessione dopo quella del 2009. Dall’inizio della crisi del 2008 abbiamo perso quasi 600 mila posti di lavoro. Cadono gli investimenti pubblici e privati e la domanda interna e pertanto non si vede come l’economia possa tornare a crescere.
Brancaccio e Passarella sostengono che l’austerità è di destra ed esercita un fascino discreto anche sulla sinistra. Citano Berlinguer ed un suo discorso al Teatro Eliseo del 1977. Sostengono che c’è una contraddizione profonda nella pretesa di declinare in senso progressivo l’austerità. Su questo specifico punto sono in dissenso con i due Autori perché, in realtà, ci fu una versione di sinistra dell’austerity che risale al 1973 l’anno del primo shock petrolifero, della guerra del Kippur, del colpo di Stato in Cile e del lancio del compromesso storico. La versione di sinistra è quella di Antonio Giolitti. Il 3 ottobre nella qualità di ministro del bilancio e della programmazione economica AG presentò al Senato una esposizione economico finanziario che illustrava i principali dilemmi della politica economica per il 1973-74: conciliare quello che nella sua visione era non antitetico ma complementare: lotta contro l’inflazione e promozione dello sviluppo, controllo e stimolo, austerità ed espansione”. Un mese e mezzo dopo, come ricorda nelle “Lettere a Marta” (1992), sempre al Senato, nel discorso di replica a conclusione del dibattito sul bilancio di previsione per l’anno 1974, “faceva derivare dai vincoli di interdipendenza imposti dalla situazione economica e finanziaria, interna ed internazionale: il senso concretamente politico e non retoricamente moralistico che il governo dà alla tanto spesso invocata “austerità”. Austerità e cioè eliminazione degli sperperi, dei privilegi, delle ostentazioni di ricchezza e dei consumi esibizionistici – non come fine a se stessa ma come condizione di scelte rigorose e coerenti, con le necessarie rinunce che esse comportano, per il perseguimento e il raggiungimento di quei fondamentali obiettivi. Austerità come piena, efficiente utilizzazione delle risorse, contro la dilapidazione: perché c’è uno spreco ancora più nefasto che quello dei consumi eccessivi o superflui, ed è lo spreco delle risorse inutilizzate, degli investimenti mancati, delle riforme accantonate. Occorre perciò programmare con rigore, con tempestività, con responsabile chiaroveggenza la formazione e l’utilizzazione delle risorse. E occorre che la programmazione sia strettamente e organicamente collegata con la politica di bilancio, mirando ad un bilancio costruito in funzione di obiettivi programmati e gestito al servizio di precise e verificabili azioni programmate, anziché una serie parallela di formali documenti di programmazione e di bilancio non sempre affiatati e convergenti”. Secondo me, questa è austerità correttamente intesa e può essere di sinistra. Concezione che vale bene oggi 40 anni dopo in un contesto notevolmente cambiato. Allora l’Italia aveva inanellato una serie di svalutazioni competitive, c’era in corso un conflitto distributivo molto aspro, c’era in atto la strategia c.d. stragista volta a imprimere una svolta a destra al governo e lo shock petrolifero che drenava enormi quantità di liquidità dal mercato. Ricordo le domeniche a piedi nel tentativo di risparmiare benzina. Oggi la situazione è diversa perché se è vero che Carnevale segue la Quaresima (p. 31) , è anche vero che Carnevale per i ricchi e la Quaresima per i poveri durano tutto l’anno dopo il crollo storico dei salari e l’impoverimento della classe media. Per contro, ogni giorno decine e decine di pagine dei grandi giornali, delle riviste glamour, e gli spot televisivi sono occupati dalla patinata pubblicità delle case di alta moda. I relativi titoli fanno le migliori performance in borsa. A parte questa precisazione, condivido la tesi principale di Brancaccio e Passarella.
Venendo alle argomentazioni più importanti diciamo che gli Autori sostengono che lo spread vada più correttamente collegato al deficit della bilancia dei pagamenti che al deficit del bilancio dello Stato, all’eccesso delle importazioni sulle esportazioni. Questo squilibrio macro all’interno della UE prima o poi spingerebbe i Paesi periferici a uscire dall’euro e riconquistare la loro sovranità monetaria. Lo spread è diventato il “motore” di riforme illiberali e strumento fondamentale per fare arretrare il modello sociale europeo. Ma se tutti riuscissero ad attuare la deflazione competitiva, il risultato sarebbe disastroso non solo per l’euro ma anche per il mercato unico. D’altra parte questo non può reggere a lungo sulla competizione salariale e fiscale perpetua.
Per correggere questa deformazione congenita dell’Unione economica e monetaria, gli Autori propongono misure di coordinamento della contrattazione salariale e livello europeo definendo anche uno standard retributivo. In altre parole, bisognerebbe garantire una crescita minima dei salari nominali, agganciando la dinamica all’andamento dei conti con l’estero dei paesi membri, prevedendo sanzioni se detta dinamica dei salari nominali non rispettasse lo standard retributivo prefissato. Non ultimo valorizzazione della clausola della valuta scarsa prevista nello Statuto del FMI e attuazione di un certo grado di repressione finanziaria come proposta da Reinhart e Rogoff. In sintesi, integrazione dei parametri di Maastricht con lo standard retributivo e, magari, con tetto massimo alla disoccupazione.
A fronte di governi nazionali in preda a rigurgiti nazionalisti, di politiche deflazionistiche che mettono a rischio l’UE favorendo la rinascita di movimenti populistici e di estrema destra, secondo gli autori occorre un modello di sviluppo alternativo a quello attuale trainato dalla finanza privata e far coincidere l’interesse generale per l’Unità europea con l’interesse dei lavoratori europei.

Vincenzo F. Russo

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