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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Lo Statuto dei lavoratori di Giacomo Brodolini

Post n°174 pubblicato il 24 Maggio 2009 da socialismoesinistra


   Giacomo Brodolini

 

 

Mi capita in questo periodo di partecipare a dibattiti e di leggere di frequente proposte politico-economiche cui viene data una valenza e un contenuto da opzione rigorosamente anticapitalista. In particolare, da parte della sinistra comunista che si richiama alla GUE-Sinistra Europea, cui va comunque dato atto di prese di posizioni forti e chiare a difesa delle conquiste delle classi lavoratrici e per il rilancio della giustizia e dell’equità sociale; in ogni caso, direi, tra le pochissime nell’attuale modesto panorama politico italiano e a forte richiamo identitario per la sinistra del Paese.

Nello specifico, mi riferisco alle tematiche inerenti: -alla redistribuzione dei redditi attraverso una politica fiscale progressiva quale strumento pubblico di risposta alla polarizzazione della ricchezza dopo trenta anni di neoaccumulazione capitalista; -ai diritti sui luoghi di lavoro, con esplicito riferimento allo Statuto dei lavoratori.

In merito al primo aspetto, mi sembra di cogliere chiari richiami a princìpi economici propri del modello keynesiano e al complesso dei valori del liberalismo progressista einaudiano. In effetti sembra proprio un riproporsi del pensiero di Einaudi, laddove esprimeva che un regime di piena libertà può e deve includere, tra i suoi obiettivi, la realizzazione della giustizia sociale.

Quindi: vero che, come ha ri-confermato di recente l’OCSE (Rapporto sul prelievo fiscale sui salari 2007-2008) nel nostro Paese i salari sono drammaticamente bassi, ma certo l’applicazione di una politica fiscale a favore dei redditi bassi (in particolare da lavoro dipendente) non sarebbe misura sufficiente (seppur necessaria) per il superamento delle iniquità esistenti, come ho già evidenziato in un mio recente saggio. Ci ritorneremo più approfonditamente.

Più nel dettaglio, con riferimento invece alle riflessioni sulla genesi e l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, questo certo non fu conseguito a seguito di attacchi del movimento anticapitalista e comunista, con l’obiettivo di intaccare (nel caso fossero stati) la stabilità dell’assetto capitalistico borghese.

Premesso che lo Statuto non derivò da trattative tra le parti sociali, la norma istitutiva dello stesso (la legge n. 300 del 1970) fu approvata in base alle linee ed ai contenuti scaturiti dai lavori della Commissione nazionale per la redazione di una bozza di statuto, denominato "Statuto dei diritti dei lavoratori", alla cui presidenza fu Gino Giugni, stimato docente universitario. 

La Commissione fu istituita da Giacomo Brodolini, sindacalista socialista che fu Ministro del lavoro e che legò il suo nome anche alla importante riforma del 1969 della Previdenza sociale (legge n. 153 del 1969), nota come “Riforma Brodolini per la revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale”; la cosiddetta riforma delle pensioni che consolidò i principi di solidarietà tra lavoratori, con il passaggio dal sistema "a capitalizzazione" (oggi purtroppo tornato in auge, a seguito delle controriforme di matrice neoliberista) a quello "a ripartizione", dove i lavoratori attivi finanziano con i loro contributi i non più attivi.

Lo Statuto dei lavoratori rappresentò il massimo risultato in termini di applicazione di diritti fondamentali dei lavoratori come previsto dal dettato costituzionale e di riordino delle normative approvate negli anni ’60, nel quadro di un indirizzo coerente con il pensiero e la prassi politiche del riformismo socialista, maturato anche a seguito della spinta delle rivendicazioni e delle lotte sindacali di quegli anni e in particolare dell’autunno caldo del ’69.

Ora, dallo studio delle finalità e dei contenuti della legge 300, ritengo si possa persino affermare che tali norme non tendono affatto ad elidere il sistema economico capitalistico, ma lo regolamentano (rafforzandolo?) in base ai principi propri dello stato sociale riformista proprio del modello keynesiano.

Giova anche rammentare che tale riordino in materia di diritto del lavoro fu fortemente voluto da Pietro Nenni, che ne fece un cavallo di battaglia reputando potesse essere una delle vie idonee a condurre stabilmente i socialisti alla guida del Paese, con l’obiettivo politico strategico di marginalizzare proprio il Partito Comunista Italiano e le forze anticapitaliste sulle materie economiche e, conseguentemente, nel governo delle tematiche sul lavoro.

D’altronde, fin dal 1963 (avvio del primo centro-sinistra organico a guida Aldo Moro) i socialisti molto si adoperarono per l’approvazione di norme giuridiche miranti alla tutela, al rispetto e alla dignità dei lavoratori quali, ed esempio, quelle per la tutela delle donne lavoratrici con l’abolizione della cosiddetta “clausola del nubilato” (legge n. 7 del 1963), vietando il licenziamento per causa di matrimonio e consentendo l'accesso delle donne ai pubblici uffici e alle professioni.

Norme che nel loro corpus andavano a costituire il complesso contesto normativo idoneo alla ridefinizione di una nuova figura di lavoratore, perfettamente inserito e tutelato nell’efficace sistema di welfare in fase di costruzione in quel periodo storico nel Paese, che faceva seguito alla grande fase di industrializzazione fordista post-bellica.

Accompagnandosi, inoltre, alla prima seria azione di politica industriale e di programmazione economica, con il determinante ruolo del sistema delle partecipazioni statali, con conseguente rilevante proprietà pubblica dei mezzi di produzione in settori strategici; è in quegli anni, infatti, che si procede ad istituire l’omonimo ministero (legge n. 48 del 1967) più volte a guida di Antonio Giolitti.

Ora, voler dare a ciò un contenuto anticapitalista (ho difficoltà a vedere in Brodolini un bolscevico) e di attacco “destrutturante” al sistema borghese mi sembra, oltre che non rigoroso dal punto di vista storico, francamente eccessivo; ma ciò, sia nei contenuti propositivi e visto il contesto attuale dominato dal pensiero populista e reazionario delle destre al governo, si può anche accettare.

Sorge però, a questo punto, spontanea una riflessione. Ma se sono queste le opzioni di politica economica oggi cardine della sinistra comunista e anticapitalista, cosa mai ci potrà proporre la sinistra riformista moderata? Mala tempora currunt.


Marco Foroni

Docente di Organizzazione aziendale

 
 
 
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