Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Economia ferragostana

Post n°265 pubblicato il 20 Agosto 2009 da socialismoesinistra


 

1. L’analisi di Olivier Blanchard

Il chief economist del Fondo Monetario internazionale ci propone una lettura del post crisi che conferma, sotto molti aspetti il mio articolo” E’ finita la crisi?” Nella sua analisi egli esamina i problemi dal lato dell’offerta che tuttavia sembrano, come par ovvio, essere meno preoccupanti di quelli dal lato della domanda. Ricordato che la domanda può essere per beni di consumo, e beni di investimento; può essere pubblica e può essere privata; ed infine può essere interna o per l’esportazione, si deduce che:

1.1   Guardando agli Stati Uniti i margini di manovra sul fronte della domanda privata sono molto risicati; non è chi non concordi che i consumatori statunitensi debbono tornare a risparmiare e che, al contrario, una riedizione del consumo spinto dal credito facile ci riporterebbe in breve tempo alla crisi da cui stiamo faticosamente uscendo;

1.2  Sul fronte della spesa pubblica quel che ci si aspetta è un rientro dal grosso debito contratto da Obama per salvare il salvabile dell’economia. Pensare che in carenza di uno stimolo proveniente dalla domanda privata il pubblico possa continuare a sostenere la domanda stampando moneta porterebbe a pericoli di inflazione, svalutazione del dollaro fuga dei capitali; insomma dalla padella alla brace;

1.3  Per aumentare l’export gli Stati Uniti possono guardare ad un riequilibrio basato sulla diminuzione del surplus di esportazioni degli altri Paesi; fondamentalmente due: Germania e Cina. La Germania che fa parte dell’Europa e che quindi con gli altri paesi europei condivide l’euro ben difficilmente rinuncerà al suo surplus di export anche perché del suo surplus godono economie tributarie come quella italiana. La Cina è il punto cruciale. Come convincerla a riequilibrare i flussi import-export? La Cina dovrebbe aumentare i consumi interni ed aumentare le importazioni dai paesi occidentali. Ma in un paese con il regime come quello cinese scelte di questo tipo (anche se nel culmine della crisi la Cina si è meritata la medaglia d’argento, secondo osservatori statunitensi, alle spalle di Bernake e davanti a Obama nel contrasto alla crisi) richiedono quand’anche fossero positive, tempi politici.

1.4  Quindi è azzardato aspettarsi una ripresa gagliarda; le condizioni mondiali fanno presagire una ripresa molto lenta e soprattutto un segno negativo persistente nelle cifre della disoccupazione. Resta comunque l’impressione che dipendiamo tutti dalle decisioni dei governanti cinesi, è la fine dell’egemonia statunitense?

1.5  Credere che l’Italia, che cresceva meno degli altri prima della crisi, possa uscirne prima è meglio degli altri è un assurdo economico che qualifica chi fa sparate del genere ingannando il cittadino.


2. La fine del “valore di mercato”

Le banche statunitensi che hanno concesso mutui su valori di case che ormai non hanno più quel valore sono richieste di svalutare il valore di quei mutui riconoscendo perdite enormi nei loro bilanci. La posizione delle banche è che fin tanto che i debitori pagano le rate dei mutui alla scadenza convenuta non vedono nessuna ragione di svalutare il valore di quei mutui, e poi aggiungono  che “i recenti prezzi di transazione delle case non rispecchiano il valore effettivo degli assets, bensì le difficoltà di vendere in un mercato il liquido.

2.1  Quindi, ancora una volta, sorge il famoso “ossimoro” del valore di mercato. Durante le bolle speculative il valore di mercato è molto più alto del “valore vero”, nei momenti di crisi di liquidità i valori di mercato sono molto più bassi del “valore vero”. Qual è allora il “valore vero”? Finora la risposta è stata (e di qui l’ossimoro) che il valore vero è quello di mercato. Prima della crisi si stava procedendo a nuovi accounting standard  basati sul valore di mercato anziché sul costo storico; uno stop si è avvertito allo scoppio della crisi, ed un più freddo ragionamento si sta sviluppando ora. Sta divenendo senso comune il fatto che tra valore di mercato e valore vero possa esistere una differenza sostanziale; anche se sul valore vero non ci sono concordi proposte.

2.2 Una proposta, quella che ho fatto più volte, è un ritorno al valore-lavoro, che rimetterebbe il lavoro al centro della filosofia economica e sarebbe un mezzo efficace per combattere le bolle speculative.

2.3 I professori statunitensi Kaplan, Merton e Richard sostengono che, almeno per i prodotti finanziari, non si dà più peso all’ultimo prezzo di mercato, bensì ci si basa su “dei modelli che servono a prevedere i prezzi a cui verrebbero scambiati questi assets” in base alle previsioni di flussi di cassa e di sull’andamento delle attività reali sottostanti.

2.4 Non interessa tanto il “metodo” per determinare il valore vero; quello che ci frastorna, più del sole ferragostano, è la premessa filosofica accettata dai professori della Harvard Business School, e cioè che non si possono più prendere decisioni sulla base di valori netti distorti calcolati partendo da prezzi ormai superati. Il valore di mercato che ha dominato la cultura economica dell’era liberista, fino a diventare senso comune vede anche lui, come gli Stati Uniti, perdere la sua egemonia e comincia ad essere considerato uno strumento obsoleto.

2.5 Come si svilupperà questo fronte della “teoria del valore” è difficilissimo prevedere; una cosa è certa, i socialisti non possono stare a guardare. Se veramente siamo convinti che la crisi che abbiamo attraversato è una crisi di sistema essere socialisti oggi significa porsi come pensiero egemone di una nuova fase storica.

 

3. Gabbie salariali e rendita ricardiana

Il prorettore dell’Università cattolica di Milano nel riflettere sul tema delle gabbie salariali e dei differenti costi della vita tra nord e sud sostiene che :”Da noi le rendite fondiarie, che spingono verso l’alto il costo di case e affitti, pesano di più delle dinamiche concorrenziali che invece tendono a far cadere i prezzi” Il professore propone allora una “ indennità di sede che farebbe ripartire la mobilità sociale che si è bloccata”.

3.1  Insomma la differenza nel costo della vita dipende soprattutto dalla rendita ricardiana, ed allora per risolvere il problema aumentiamo gli stipendi al centro-nord sotto forma di indennità di sede. Certo non bastava Bossi a dire cose del genere. Perché poi il costo del lavoro dovrebbe aumentare al centro-nord? Ma per pagare la rendita ricardiana ai possessori di terreni e case.

3.2 Non sarebbe meglio combattere la rendita ricardiana? Non sarebbe questa una di quelle  riforme di struttura di cui parlava Riccardo Lombardi?

3.3 Ho già esposto il mio pensiero nell’articolo “A proposito di gabbie salariali” sono orgoglioso che il prorettore della Cattolica individui nella rendita ricardiana la struttura economica a fondamento dei diversi costi della vita. Non concordo nelle conclusioni, ma penso che la mia proposta sia di parte. Da socialista.

 Renato Gatti

 
 
 
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