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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Il nuovo peronismo, di Riccardo Achilli

Post n°415 pubblicato il 07 Maggio 2014 da socialismoesinistra

 

Non credo, francamente, che Renzi, personalmente, persegua lucidamente un disegno neo-autoritario, per un motivo semplice: una cosa simile non gli azzecca dentro la capoccia. Credo che si stia facendo condurre da qualcun altro, e specificamente da quei poteri finanziari ed economici sovranazionali che lo foraggiano e che, come recentemente scritto spudoratamente in un report di una banca d'affari americana, considerano i sistemi costituzionali delle democrazie europee troppo garantisti, troppo "socialisti", per i loro gusti.

E' comunque chiaro che il disegno, consciamente o inconsciamente, c'è, ed è chiaramente delineato. Indebolimento dei partiti di massa tramite l'abolizione del finanziamento pubblico e la loro progressiva trasformazione in movimenti fluidi ed orizzontali, con scarso radicamento, mere macchine di propaganda ed organizzazione delle campagne elettorali, abolizione delle Camere di Commercio, bavaglio ai sindacati, scarsa considerazione persino per Confindustria, disegni di premierato forte privato dei contrappesi di controllo a livello parlamentare, smantellamento e precarizzazione della P.A. per eliminarne la funzione di filtro e controllo di legittimità e correttezza amministrativa dell'operato politico. Il disegno è quello dell'indebolimento, e del progressivo superamento, delle strutture intermedie di rappresentanza della società e di quelle di controllo. Per costruire cosa? Per costruire un sistema plebiscitario di rapporto diretto fra un popolo, privo di riconoscimento nelle sue differenze sociali e di classe, ed un leader che lo rappresenta e, quasi misticamente, lo incarna. Non serve una laurea per capire che, al di fuori del caso della mini-tribù di cacciatori irochesi rimasti grosso modo all'età della pietra, questo sistema camuffa, dietro sembianze di democrazia diretta, lo smantellamento stesso della democrazia. 

In società complesse, le inevitabili asimmetrie informative e la non perfetta razionalità degli operatori individuali richiedono, per essere corrette e rese spendibili politicamente, di organizzazioni intermedie che facciano sintesi delle istanze e delle pulsioni che provengono dal basso, e che le sappiano armonizzare, in un processo dialettico di mediazione, componendole in un quadro complessivo di armonizzazione con un disegno generale di comune interesse. Senza questa funzione di filtro, sintesi e composizione dentro una visione generale del bene comune, le singole istanze che provengono dai diversi gruppi sociali finiscono per atomizzarsi e sbriciolarsi, individualizzandosi, prive come sono di una direzione politico/strategica comune, e quindi finiscono per annullarsi reciprocamente. Lasciando quindi il campo libero al leader carismatico per imporre la "sua" sintesi, una sintesi personale, non misurata dai rapporti di forza effettivi della società, e nemmeno da quelli potenzialmente desiderabili. Una sintesi che i diversi gruppi sociali, per via della loro atomizzazione che li rende incapaci di reagire, sono costretti ad accettare, al netto di uno sterile ribellismo, che però non porta a nessun risultato. L'adesione al leader carismatico diventa quindi una necessità, per trovare un posto dentro una società destrutturata dei suoi riferimenti, e ricostruita su basi personali dal leader stesso, talché l'adesione, anche emotiva, alla leadership, diventa l'unico fattore di stabilizzazione e rassicurazione in una società resa instabile ed insicura. 

E' di fatto il sogno del peronismo, ovvero lo sbriciolamento delle dinamiche di classe, per ricomporle in un compromesso interclassista generale, la cui forza è garantita dal leader, che a sua volta trae legittimazione dall'adesione plebiscitaria di un popolo deprivato di qualsiasi bussola politica ed organizzativa per interpretare correttamente la realtà, e quindi costretto a delegare tale interpretazione al leader stesso. Che a sua volta deve solo preoccuparsi di mantenere ben aperto il canale d'ascolto della pancia della sua plebe, al fine di evitare che il ribellismo legato all'insoddisfazione, per quanto di per sè sterile, non venga dotato di una direzione politica precisa dai suoi antagonisti, al solo fine di rovesciarlo. Peròn inizia a perdere il potere quando il suo canale di ascolto dei descamisados, Evita, scompare. 

Quella che si prepara è però una forma più evoluta di peronismo, perché l'originale, ancora legato a dottrine di fascismo sociale, prevede una organizzazione corporativa e molto burocratizzata della società. Che però finisce per creare una classe di professionisti della burocrazia di Stato, dalla quale può emergere un pericoloso "competitor" del leader. E che peraltro ingessa la società e l'economia dentro una farraginosa burocrazia, che la nuova finanza apolide, alleata con il capitalismo italiano, non può tollerare, perché rallenta il business, lo rende più difficile, fa sfumare occasioni di mercato da cogliere alla più alta velocità possibile. 

Il nuovo peronismo è quindi fatto dal rapporto diretto, e non intermediato, del leader con la sua folla, e come strumento di controllo non si affida più a pesanti apparati corporativi, ma alla stessa precarizzazione e destabilizzazione dei legami sociali, che atomizzano l'individuo, rendendolo impotente, e facile preda della propaganda mediatica. Anziché controllare le classi sociali, cerca di destrutturarle, per dominare su una società di individui il più possibile indifferenziati, in quanto a senso di appartenenza ad un gruppo sociale, con la sua identità anche culturale, non certo, ovviamente, in quanto a posizionamento nel modo di produzione, che, anzi, tende ad accrescere le diseguaglianze individuali. In questo senso, si può dire che Renzi sia il leader ideale del PD, perché incarna perfettamente questa vocazione interclassista, liquida, leaderistica, questo desiderio di porsi al centro delle dinamiche sociali e di classe, che è alla base del progetto stesso del PD. Che Veltroni non è riuscito a interpretare perché era ancora troppo presto, perché la sopravvenuta crisi economica ha polarizzato nuovamente la società, perché era troppo poco carismatico per interpretare il ruolo del leader. Che Bersani ha provato a contrastare, ma in modo troppo debole e accomodante, finendone schiacciato. 

In questo senso, però, il nuovo peronismo trova una sua speculare interpretazione anche nel secondo partito della diarchia politica che si prepara, ovvero il M5S. Che non a caso, dall'opposizione, ha lanciato tutte le battaglie che, successivamente, il PD ha ripreso e trasformato in indirizzi di governo: lo smantellamento dei partiti tramite la fine del finanziamento pubblico, il successivo attacco alla seconda gamba della rappresentanza sociale intermedia, ovvero i sindacati, la furiosa denigrazione della pubblica amministrazione che anticipa i successivi provvedimenti di "alleggerimento" della stessa, l'esaltazione del leaderismo adorante e mondato da ogni possibilità di critica, l'attacco contro il Senato mascherato da attacco alla Casta, l'esaltazione del referendum e degli strumenti di democrazia diretta attentamente filtrati e gestiti, però, dal Capo supremo, che li lancia e li usa a seconda dei suoi interessi e delle sue strategie personali, senza organi di garanzia che li rendano cogenti, quando questi sono sgraditi al leader, o che li impongano quando egli non vuole lanciarli, trasformandoli in meri strumenti di consultazione della "base", e non di codecisione. In qualche modo, il M5S rappresenta l'anima più "popolare" di questo neo-peronismo, quella cioè che chiede al sovrano maggiori concessioni economiche e sociali ai suoi sudditi, mentre il PD ne rappresenta quella più tecnocratica ed aristocratica, comunque ben consapevole che, ogni tanto, gli 80 euro al popolo pecorone vanno pur scuciti. Qualcosa come il rapporto fra tribuni della plebe di estrazione aristocratica e Senato nell'antica Roma repubblicana. 

In questo schema di diarchia, evidentemente il partito di Berlusconi diventa anacronistico, perché ancora solidamente aggrappato a blocchi sociali ben precisi, e quindi è possibile, anzi necessario, distruggere tale partito per via giudiziaria. Offrendone lo scalpo alle folle come garanzia di ritrovata verginità e purezza della "nuova" politica, salvo continuare, ovviamente, a comportarsi "as usual", perché diciamola tutta, le mignotte, la corruzione, il peculato, i rapporti con la criminalità organizzata, il voto di scambio, non sono appannaggio soltanto del Cavaliere e dei suoi. 

Ho letto e riletto molte volte il Piano Rinascita Italia di Gelli. Ebbene, io credo che questo neo-peronismo vada anche molto al di là di quel piano, sia qualcosa di profondamente diverso ed addirittura più pericoloso. 

Non c'è peraltro dubbio circa il fatto che partiti, sindacati, associazioni di categoria, camere di commercio, abbiano sulla coscienza molti, molti errori, che li rendono particolarmente vulnerabili all'attacco in atto, perché li allontanano dalla comprensione e dalla protezione da parte dell'opinione pubblica. I partiti che, nell'ultimo ventennio, si sono gerarchizzati e verticizzati, abolendo la passione della militanza e trasformandosi in meri carrierifici, rinunciando persino alla capacità di costruire un sogno e di regalarlo alla società, per aver voluto abbandonare le ideologie come fossero strumenti desueti, in nome di una politica-marketing di soddisfazione di micro-interessi immediati di gruppi sociali specifici. I sindacati, che hanno perso completamente la capacità di leggere le profonde trasformazioni del mondo del lavoro degli ultimi trent'anni, e sono rimasti aggrappati ad un modello neo-fordista che non esiste più, oltre che ad uno schema di concertazione "omnibus", nel quale pretendono di essere ascoltati su qualsiasi cosa, e che finisce per indebolirne la funzione "core" di negoziazione dei contratti di lavoro e di protezione dei lavoratori nei confronti della parte datoriale. Le camere di commercio, che si sono trasformate in camere di compensazione di micro-interessi politico/imprenditoriali, spesso meramente localistici, le associazioni di categoria, che non di rado hanno dato rappresentanza al peggiore capitalismo straccione, quello senza capitali e senza progetti, capace solo di chiedere incentivi e protezioni. Tutte le varie consorterie e corporazioni interne alla P.A., che hanno finito soltanto per difendere status quo e privilegi anche poco comprensibili, oltretutto costruendo rapporti di connivenza torbidi con la politica, anziché rappresentare l'equilibrio fra strumento servente ed al contempo di controllo della politica stessa. 

Però è certo che il disegno neo-peronista che si prepara è di gran lunga peggiore, meno democratico, meno garantista, di quel mondo che pretende di cancellare, con tutte le storture che quel mondo aveva. Riuscirà questo disegno? E' possibile, anche se però non immediatamente, ma nel medio e lungo periodo. Infatti, ciò che manca a Renzi e Casaleggio è una teoria sistematica della "nuova" società che dovrebbe modificare la vecchia, e senza questa teoria, agendo soltanto nella prassi, dando spallate più o meno cieche al vecchio sistema, lo si può indebolire, ma non lo si può superare. Certamente, se tale deriva non sarà contrastata, verrà qualcun altro dopo di loro, che raccoglierà i risultati, in termini di indebolimento del vecchio sistema che hanno conseguito, e che li porterà avanti, essendo più preparato ed attrezzato per raggiungere il risultato finale. 

E' possibile fermare questa deriva? Io credo di sì. Nonostante l'enorme impulso che essa ha, e la sua grande forza, questa deriva neo-peronista ha anche fragilità intrinseche, costituite proprio dallo smantellamento dei sistemi intermedi di rappresentanza (ma anche di controllo) che essa implica. Privato della cinghia di trasmissione, tale sistema di potere rischia di perdere progressivamente il contatto con la realtà sociale, di non riuscire bene a interpretarlo, o per meglio dire di dover dipendere, per una corretta interpretazione, dalla intelligenza analitica del leader, attorno cui ruota il sistema. Se tale leader perde lucidità, non ha più a sua disposizione un sistema di concertazione in grado di riportargli gli umori della società. A quel punto, o viene sostituito da un leader ancora meno democratico, che organizza la repressione delle jacqueries di una società atomizzata, disorientata, che ha perso anche l'ultimo riferimento costituito dal leader (cioè da un Mario Silla che apra la strada ad un futuro Giulio Cesare), oppure l'intero sistema collassa, trascinando nella sua rovina anche l'oligarchia dirigente che si era formata attorno al leader. 

Pertanto, tale sistema ha, in una certa misura, l'esigenza di non radicalizzarsi troppo, di non eliminare del tutto le strutture intermedie novecentesche, ma di indebolirle, di emarginarle, di usarle solo strumentalmente. Tali strutture possono recuperare ruolo e dignità, soltanto evitando di continuare negli stessi errori che le hanno rese vulnerabili ed attaccabili. Significa, concretamente, che i partiti devono tornare a raccogliere la militanza della società, alla discussione ed al confronto dal basso, sulla base di un ideale condiviso, che i sindacati devono tornare a fare il loro lavoro di rappresentanza contrattuale ed economica dei salariati nei confronti dei datori di lavoro, sulla base di una teoria più avanzata rispetto a quella del confronto in ambito fordista, capendo che è la cogestione e la compartecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali il modo migliore di difenderne gli interessi, mentre lo sciopero è uno strumento da usare come estrema ratio, e non come modalità ordinaria del confronto, e che in un modello codecisionale lo sciopero ha senso soprattutto sul versante delle rivendicazioni economiche, non della parte normativa dei contratti di lavoro. Che la P.A. accetti la sfida di funzionare efficientemente rispetto agli indirizzi politici, salvaguardando la sua funzione indipendente di controllo di legittimità e correttezza amministrativa e finanziaria dei detti indirizzi, con una chiara e non equivoca separazione di funzioni. Che le associazioni di categoria rappresentino istanze di politica industriale a favore della competitività dell'intero sistema produttivo, e non richieste di agevolazioni o compensazioni, o protezioni pubbliche. Naturalmente questo è solo un primo passo pre recuperare posizioni. Dopodiché servirà, ovviamente, la lotta politica. 

Riccardo Achilli


 
 
 
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