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Flame sperimentale (prima parte)

Post n°230 pubblicato il 21 Gennaio 2008 da falco58dgl
 

Pubblico un racconto, diviso in due parti, che parla delle "flame", delle battaglie virtuali che si combattono sul web. E' un testo piuttosto duro e per alcuni risulterà sgradevole. Inadatto ai minori.

Primo movimento

 Questo non è un racconto. Non è una novella, un intreccio. Non me ne frega un cazzo di mettere insieme parole che raccontino una storia. No, questa è una confessione, un pezzo di vita vissuta, un pezzo di quell'esistenza, miserabile e luminosa, che ha visto avvinti me e Giordie32.

Non so bene da dove iniziare, non so come articolerò la vicenda. Lasciate solo che vi dica che, da allora, non sono più lo stesso, non sono più io.

Scrivo per non lasciare svanire i ricordi, per dare loro una forma, una spiegazione, un senso. Anche se non c'è nulla da spiegare, nulla che valga la pena di salvare, niente tranne il Gioco. Incontro Giordie32 all'uscita dal lavoro. Mi chiede se ho da accendere. Mentre estraggo l'accendino, lo guardo di sbieco e vedo un ragazzo giovane, vestito male, con i capelli lunghi e un volto androgino.

Faccio per andare via, ma lui mi trattiene. Aspira il fumo e mi domanda "Dove vai?". Sono così sorpreso che non riesco a pronunciare una risposta sensata.

"A casa, perché?".
"Hai tempo? Ti voglio mostrare una cosa interessante".

 Mi allontano quasi fuggendo, come se fossi inseguito da persone che vogliono aggredirmi.

Secondo movimento 

Rifletto su ciò che è accaduto e formulo tre ipotesi.

E' un pazzo.

E' un finocchio.

Vuole qualcosa da me.

La terza ipotesi è quella che m'inquieta e m'incuriosisce maggiormente.Non ci penso più. Riprendo a vedere gli amici, la mia donna, le solite cose.

Due settimane dopo, mentre cammino nei pressi di S. Maria Maggiore, mi sembra di rivederlo. Cammina insieme a una ragazza alta e bella, parlano con tranquillità e indolenza.

Non so perché, ma incomincio a seguirli. Si dirigono verso Via Cavour, il quartiere Monti, poi prendono stradine che non riconosco bene. Stanno per entrare in un portone. Sento la mia voce che chiede "Hai da accendere?". Giordie32 si volta, mi tende una scatola di svedesi e mi dice "Sali su con noi, ti aspettavo". Li seguo fino al quarto piano, con un timore che si mescola ad un tenue desiderio.

Entriamo. Un piccolo appartamento pieno di libri, di divanetti , di lampade, tavolini e piante. "Monica, accendi il computer". La ragazza si dirige verso l'angolo, si piega quasi fino a terra, mettendo in mostra le gambe e la parte inferiore delle natiche, inserisce una spina in una presa, preme un bottone.

- Non è male, vero? - mi fa Giordie indicando Monica- ed è quasi sempre disponibile, ma devi essere bravo.

 - Bravo a fare cosa?

 - Nel gioco delle "flame".

- Mi prendi in giro? -sbotto- cos'è questa storia da manicomio?

- Le "flame" sono scontri, fiamme come  suggerisce la parola, battaglie che si conducono virtualmente. Ma neanche tanto. C'è già chi è andato fuori di testa e un paio di persone che si sono suicidate. Se vinci la flame, hai la ragazza. Se perdi, devi dare qualcosa di tuo.

 - Cosa ti fa pensare che sia disposto ad entrare in questa follia?

- So riconoscere i giocatori. Non mi sbaglio quasi mai.

 Monica si avvicina e mi prende per un braccio. Mi porta in una stanza piccola, dove è collocato un computer su un tavolino basso. Si siede a gambe incrociate, mi fa sedere accanto a lei, muove il mouse con rapidità e si collega ad un sito dallo sfondo rosso. Digita qualcosa su un riquadro bianco.

"Ti faccio vedere io come si fa", mormora. Non dobbiamo aspettare molto. Appare la scritta "Benvenuta, troia"

- Sono la tua troia, cosa devo fare?

- Mettiti a quattro zampe e mugola.

- Tutto qui? Hai poca fantasia. E' quello che fai ogni volta che apri la bocca.

- Tu invece la bocca la apri solo per ingoiare cazzi di sifilitici

- Non è esatto, non ho ancora preso in bocca il tuo

- Rimarresti soffocata

- Sì, ma dallo schifo.

 Nessuna risposta. "Vedi, con questo era facile. Ho parlato con Marrakesch Express, un povero sfigato che non riesce a sostenere il combattimento per più di tre minuti. Prova tu, adesso".
Cerco di alzarmi, ma Monica mi trattiene con un abbraccio tenero e deciso . "Prova, che ti costa? Ti farò un dono, se sarai abile".

 Non so perché, ma il cuore mi batte all'impazzata, mentre mi collego con uno pseudonimo, digito la mia sfida e vengo salutato da un "I mongoloidi non hanno diritto d'accesso"

- Ce l'hai con i disabili?
- Solo con quelli come te, finocchio.
- Non ti piacciono nemmeno i finocchi?
- Sei spastico o cosa? Un mongoloide finocchio, guarda guarda...
- Ti sei appena descritto con precisione.
- La precisione è quella che usi tu per non infilarti un cucchiaio nell'occhio quando mangi la minestra.
 - Non posso neanche usare un cucchiaio, vengo imboccato. Mi collego al computer utilizzando le dita del piede destro, l'unica parte del corpo che riesco a muovere
- E come fai a prenderla in culo?
 - Non posso, il mio sfintere anale è rigidamente contratto. Dovresti usare un martello pneumatico. 
- Mi fai pena, povero vegetale. Sparisci e fammi affrontare veri uomini.
-  Non ti rendi neanche conto che ti sto fottendo da quando hai iniziato a parlare.

Sento, a quel punto, una pressione strana sotto la cintura. Distolgo lo sguardo e vedo il mio pene che sembra lottare con la tela dei pantaloni. Monica se ne avvede e, con un movimento rapido, mi slaccia la cintura, lo prende in mano e lo sfiora quasi distrattamente.
Lo scontro dura ancora 15 minuti. L'avversario non vuole cedere e diventa sempre più rabbioso e schiumante. Ma io eludo gli attacchi, l'ingigantisco grottescamente e faccio partire delle risposte secche e sibilanti.

Monica si è ormai impossessata del mio sesso, mentre segue le fasi del combattimento. Poco prima di chiudere la lotta, si è accoccolata al mio fianco, formando un arco col suo corpo flessuoso, e me lo succhia con un'intensità crescente a misura che la vittoria si avvicina.

(continua...)

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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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