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La guerra dell'acqua

Post n°246 pubblicato il 29 Febbraio 2008 da falco58dgl
 

L’acqua…elemento primigenio della vita. E’ naturale avere acqua corrente, usare l’acqua per lavarsi, pulire, cucinare. E’ normale, scontato, forma parte della quotidianità, non sorprende.  Ma non è così dappertutto. 

 Ogni giorno 30.000 persone muoiono per cause connesse alla scarsità d'acqua o alla sua cattiva qualità e igiene (Legaambiente), si tratta di  10 milioni di esseri umani ogni anno.
Solo il 16% dell’umanità può aprire oggi un rubinetto e bere acqua potabile (
Bruno 14 riprendendo dati di Legambiente), una persona su sei. L'84% deve cercarla lontano da casa e presso fonti già scarse.
Osserviamo un mondo a due velocità: in Africa il consumo d'acqua varia da 12 a 50 litri al giorno per abitante, in Europa tra i 170 e i 250 litri (Italia) al giorno, negli Usa ci attestiamo sui 700 litri
Sotto i 50 litri si può parlare di sofferenza per mancanza d'acqua. Il 40% della popolazione vive in condizioni igieniche disastrose. Si tratta  di più di  due miliardi di persone.

Nel 2020 tre miliardi di persone non avranno accesso all'acqua. Ci sono già focolai di guerra per il controllo delle risorse idriche, in un futuro prossimo la ”guerra dell’acqua” potrebbe essere la normalità  (WWF).

 Per esempio,  le popolazioni palestinesi hanno accesso solo al 2% delle risorse idriche della regione. L'acqua è dunque una questione chiave nel processo di pace in Medio Oriente. Ma anche il bacino idrografico del fiume Nilo mette in gioco la sicurezza internazionale. Le acque di questo fiume riforniscono una popolazione che nel 2025 potrebbe arrivare a 859 milioni di persone.
Secondo la Fondazione per la ricerca delle Scienze, la Tecnologia e la Politica delle Risorse Naturali, il Nilo Bianco (che nasce in Burundi) e il Nilo Azzurro (la cui origine è in Etiopia) sono stati motivi di tensione permanente tra Egitto, Etiopia e Sudan. (
Tuttotrading)

Questa situazione viene da lontano, ma se volessimo identificare un momento in cui l’assalto all’acqua viene formalmente dichiarato, non dovremmo andare molto in là nel tempo. Nel Marzo del 2000 all'Aja, si svolge 2° Forum mondiale sull'acqua. L'acqua cambia status: da diritto umano (svincolato dalle leggi di mercato) diventa un bisogno umano, che quindi può essere regolato dalle leggi della domanda e dell'offerta. Dal mercato. E quindi privatizzabile e vendibile come qualunque merce.

La prima guerra dell’acqua dovuta a processi di privatizzazione si è verificata a Cochabamba, in Bolivia, dove la  Banca Mondiale conclude un accordo con il governo del paese sudamericano che concede alla Bechtel, multinazionale californiana, la gestione dell’intero sistema dell’acqua potabile della città, col risultato che i costi per avere acqua corrente in casa  aumentano del 200% e  diventano equivalenti a un quarto del salario minimo. La popolazione di Cochabamba, scesa in sciopero generale, ha dovuto lottare per settimane e affrontare una dura repressione governativa per riprendere il controllo delle proprie risorse idriche (Vero Sudamerica).

Se l’acqua diventa una merce come le altre, è evidente che la sua distribuzione può essere trattata come un affare commerciale, inserito nell’ambito della globalizzazione e dei rapporti nord-sud. In alcuni casi il Fondo Monetario internazionale e la Banca Mondiale hanno subordinato la concessione di prestiti a paesi poveri in cambio della gestione dei servizi idrici a società private estere. I giganti che si contendono la  privatizzazione del nascente mercato dell'acqua sono soprattutto europei: le aziende francesi Vivendi e Suez-Lyonnais des Eux (ora Ondeo), la tedesca RWE. E poi i colossi Nestlé e Danone, l'americana Coca Cola. Ma anche l'italiana ACEA concorre alla spartizione del mercato dell’acqua: le bollette che pagano i cittadini di Erevan, capitale dell'Armenia, finiscono nelle casse del Comune di Roma, titolare del 51% delle azioni dell'ACEA, che gestisce l'acquedotto locale. (Disinformazione)


La guerra dell’acqua è già iniziata.

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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