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Mendulas
Post n°253 pubblicato il 17 Marzo 2008 da falco58dgl
Memorie di un viaggio in Sardegna, nel comune di Villanova Monteleone. Un luogo magnifico... E' da mezz'ora che giriamo intorno all'abitato di Villanova Monteleone, ma non riusciamo a scorgere traccia dell’ agriturismo che costituisce la nostra meta. Il paese è adagiato come un presepe multicolore su una collina e ne occupa quasi la sommità. Più in là, un cartello non più grande di una cartolina, su cui c'è scritto "Mendulas". E poi la stradina che s'inoltra verso una valle punteggiata da alberi, così ampia che lo sguardo l'abbraccia a fatica. Adesso la strada è diventata un cumulo di ghiaia disposto in modo irregolare, occorre seguire i solchi tracciati da altre vetture. "Continuate dritto, io devo dare da mangiare al bestiame". Davanti a noi una meseta, una montagna tronca che termina con un altopiano così regolare da sembrare squadrato con strumenti meccanici. Ancora un paio di curve ed arriviamo nel cuore della valle. Da un lato, un'estensione disordinata di montagne, rilievi, creste e avvallamenti che sembrano rincorrersi fino all'orizzonte; alla nostra sinistra campi che salgono dolcemente verso colline scabre e rocciose. Un cancello e una costruzione color albicocca posta nel centro della campagna. Fa fresco, stranamente, l'aria frizzante richiama l'inizio della primavera. I girasoli collocati intorno alla costruzione sembrano incerti, non sanno dove dirigere le loro corolle, appaiono come persone che si guardano la punta delle scarpe. Scendiamo, i gestori si avvicinano cordiali. "Come è andato il viaggio? Venite, accomodatevi". Ci ritroviamo seduti su poltrone di vimini a bere un bicchiere di mirto fresco e profumato e a guardare le greggi di pecore che pascolano indolenti. Un cavallo bianco, dietro la staccionata, mangia l'erba che cresce rigogliosa davanti alla casa. "Qui abbiamo acqua in abbondanza, ci sono molte sorgenti e invasi artificiali. Ti piace il cavallo? Se vuoi, te lo faccio montare uno di questi giorni". Mio figlio vorrebbe mettersi a ballare dalla contentezza, smette per un attimo di giocare con i gatti che gli passeggiano addosso, l'idea della cavalcata lo rende felice. Portiamo i bagagli in camera, una stanza spaziosa che s'affaccia sulle colline e le querce, e sento affiorare quella sensazione che mi assale quando incontro un "mio" luogo: una mescolanza di solennità e serenità interiore, la fine della ricerca, dell'insoddisfazione che mi morde come un tarlo dall'interno. Quando andiamo a cena, ci viene servito un piatto di antipasti che mi pare buono e abbondante. Ma è solo il primo di una serie che comprende le melanzane al formaggio, le tortine di spinaci, gli sformati di piselli. Arrivo al secondo con una sensazione di sazietà provata solo ai pranzi familiari di natale. Quasi barcollo verso il patio, mi accendo una sigaretta e mi butto sul divanetto rivestito di cuscini. Attacco discorso con il proprietario, Giovanni, che mi racconta scampoli della sua vita. Per trent'anni è stato maestro della scuola elementare, poi ha deciso di cambiare e vivere a contatto con ciò che ama. La campagna, i cavalli, la selezione dei puledri migliori per i concorsi a ostacoli, l'orto biologico, l'accoglienza di un piccolo numero di ospiti che formano una sorta di secondo cerchio famigliare, disperso nel nord Italia e nell' Europa centrale. Di lui mi colpisce la disposizione all'ascolto, l'intelligenza concreta e la prontezza nel rispondere. Arrivano il mirto e l'acquavite, beviamo e parliamo mentre la notte sembra sigillare la valle in un cofanetto di ebano punteggiato di segni luminosi ed evanescenti. Si sono aggiunti al cerchio due giovani di Padova, arrivati da un paio di giorni e le nostre parole rincorrono passato e presente. Il passato è, in qualche modo, illuminato dal presente, dal desiderio di prolungare la notte di parole, di bevande forti, di voglia di dire, di comunicare, di aspirare il fumo e di ascoltare i suoni di questo luogo di silenzio. *** Dieci giorni passati al Mendulas: le spiagge sabbiose o rocciose, i cavalieri acrobatici, i campi di grano, gli altopiani di questa terra magnifica, dagli orizzonti ampi e i rilievi tormentati, le stradine di Alghero dai nomi catalani, una scogliera altissima che termina in una roccia piatta cosparsa di ricci e telline e lambita dal mare, dentro cui ci si tuffava con il piacere erotico di essere accolti in un utero fresco, gli spostamenti in automobile alla ricerca di anfratti di costa o di paesi antichi e sconosciuti, un legame che giorno per giorno si è rafforzato, è diventato tangibile, ha reso migliori i nostri giorni. Abbiamo promesso a Giovanni e Maria di tornare. Nel momento in cui ci congediamo e li abbracciamo con forza, so che manterrò fede al mio impegno e saluto la valle con un gesto che unisce cuore e mente in un solo movimento lento. Writer |
IL MIO ROMANZO
CLAUDIO MARTINI
"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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