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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Intermezzo

Post n°280 pubblicato il 29 Maggio 2008 da falco58dgl
 

Questo è un testo scritto in un momento particolare, in una condizione di transizione e passaggio. Dedicato a tutti coloro che odiano lo stakanovismo...   :-) tratto da "Sguardi"

"Il numero selezionato è inesistente", non si riesce a telefonare. La connessione a Internet non funziona, nessuna possibilità di ricevere mail di lavoro. Il fax è una promessa che forse si concretizzerà tra sei mesi. C'è solo una stanza con una scrivania, due sedie, un computer, una stampante, un lavandino e un balcone. Bello, il balcone. Si affaccia su una via tranquilla vicina al centro, con palazzi di stili differenti che accompagnano lo sguardo fino al fiume.
Neanche tutti i file sono stati copiati nella mia "directory", ne mancano alcuni importanti come il report sulla ricerca con i minori "a rischio" e il progetto di valutazione dei costi/benefici dei servizi territoriali.
Dovrei essere contento, ma sento una strana abulia che mi possiede. Per la prima volta in quattro anni abbiamo una stanza nostra, tutta nostra, un luogo dove poter lavorare senza essere continuamente disturbati dagli operatori che si riuniscono, entrano, stazionano, chiacchierano tra di loro, telefonano, guardandoci come intrusi, come una presenza ostile che occupa una spazio di loro proprietà.
Eppure non sono per nulla felice. Forse la "resistenza al nuovo", forse la scomodità della nuova sede (mancano tutti i documenti cartacei, i progetti, i resoconti dei corsi di formazione, le pubblicazioni e le riviste), ma i miei unici desideri sono quelli di andare in un luogo di mare, svegliarmi alle dieci del mattino, fare una colazione lenta leggendo il giornale e guardando distrattamente la spiaggia e decidere se tornare a letto o camminare pigramente sul bagnasciuga.
Sento che questa mancanza di energia è una costante che ho dovuto misurare spesso nel corso della vita e ha segnato momenti significativi, condizionando le scelte e facendomi smarrire opportunità importanti. Mi chiedo però se si possano definire "importanti" situazioni che non interessano per nulla, vissute come fastidiose complicazioni o faticosi doveri. Poi penso che questa apatia è dentro di me, un freno che rende torpide le azioni e aumenta l'attrito con la superficie della vita. Anche adesso, dovrei mettere mano a schede e protocolli, concentrarmi su un lavoro che, visto dall'esterno, non sarebbe neanche sgradevole e vacuo, ma preferisco rimandare, prendere tempo, come se il tempo fosse in grado di prendere una decisione per me, mi consegnasse una soluzione, mi dicesse "adesso è il momento, datti da fare".
Eppure so che un moto di volontà mi farebbe bene, mi consentirebbe di uscire da questa palude in cui affogo la mia esistenza, costituirebbe un punto di svolta provvisorio che renderebbe il pomeriggio meno inutile e vuoto.
In questi momenti percepisco il giorno come un'entità amorfa e indecifrabile, arrotolata su se stessa, quasi un alfabeto estraneo che altre persone sanno leggere e piegare alle loro esigenze, ma che io non riesco a comprendere. Lo sforzo di interpretarlo mi porta a una condizione di rassegnata fatica, simile a quella di una macchina che procede in prima per superare un territorio impervio e sconosciuto.
Anche in amore è uguale. Dopo l'euforia della scoperta iniziale, mantenere la relazione m'appare come un'operazione tormentosa e la pienezza dei corpi, del desiderio e dell'attesa si trasforma in un groviglio di comunicazioni insensate e di sterili recriminazioni. Il desiderio si alimenta di pieni e vuoti, ma il senso del pieno non mi appartiene, se non per momenti effimeri che provocano desiderio di pace e lontananza più che nuove impulsi di condivisione, di comunione con l'altro.
In realtà, aspiro a un "altrove" seducente proprio perché indefinito, qualcosa che si colloca in un luogo diverso dai posti comuni e che si definisce negativamente come un "non qui", "non adesso", "non queste cose". Il risultato è una perenne insoddisfazione che mi spinge verso mete chimeriche, volute e perseguite per la loro inesistenza, per la loro radicale differenza rispetto all'universo abituale.
Basta, adesso è arrivato il momento di lavorare, di produrre.

Ma prima ho voglia di affacciarmi al balcone e fissare la strada, i negozi, le automobili che transitano, i passanti, la vita che scorre incurante. Un ambito che mi è estraneo, lontano, anche se dovessi scavalcare il davanzale e buttarmi a braccia larghe sull'asfalto.

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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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