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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Inferni quotidiani II

Post n°336 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da falco58dgl
 

Ho ritrovato nell'hard disk questo frammento di testo, che descrive una bella giornata estiva... :)

 

Ore 14 e 31, sono sveglio da meno di mezz’ora e  mi  viene voglia di ributtarmi nel letto per dormire fino alle cinque, alle sei, fino a sera. Non lo faccio solo per paura di dovermi risvegliare di nuovo. Mi fa male la schiena, le gambe sono rigide come stampelle di legno, alzarmi dal letto mi provoca un dolore acuto alle articolazioni delle ginocchia e un gemito che si trasforma in bestemmia. Ho tutto il giorno davanti.

 Ore 17 e 16.  Guardo lo schermo del computer, mentre la televisione dietro di me  parla di atleti, punteggi  e medaglie. Mi sono connesso già otto volte, ogni volta per meno di dieci minuti. Hotmail, Yahoo, Digiland, Google. E poi di nuovo la posta, la chat, il motore di ricerca. Niente, solo click rabbiosi su un universo vuoto, privo di significato.

 Ore 19 e 15. Esco  per comprare le sigarette, la strada è vuota, immobile. Arrivo al distributore automatico, estraggo un biglietto da cinque, lo inserisco, viene risputato fuori. Provo di nuovo, girandolo dall’altro lato. La macchina lo respinge. Lo stiro con le mani, provo una terza volta, viene preso ed espulso. Colpisco la macchina con un pugno, mi viene voglia di urlare a pieni polmoni nella strada deserta, davanti a un'aiuola polverosa.

 

Ore 22 e 47. Niente film stasera. Solo notizie di giornalisti rapiti, attentati suicidi e  sport, sport dovunque.  Manichini che ballonzolano in aria  su un tappeto elastico, braccia che vorticano intorno a schizzi di schiuma, persone che lottano avvinghiate. Se almeno le minacce di attentati fossero reali. Se un vagone di tritolo facesse saltare la casa, il quartiere, la città, la nazione, la realtà intera. Solo pubblicità, promozione di questi stronzi di Al Qaeda.

Ore 01 e 32. Guardo la pianta rampicante che scende giù dalla  libreria. Accanto, un angelo androgino  con la pancia prominente sorveglia una distesa di morti del cimitero di Staglieno. Vicino a lui una capra che vola in un cielo blu notturno.  Poco più in là una donna uccello con un violino al collo che proietta su un foglio di carta i raggi di luna  con  una lente triangolare e distilla colori da un alambicco per dare vita  ad allodole blu e grigie. Infine, voltando la testa, il profilo di una bambina che insegue un cerchio in una via metafisica  delimitata da palazzi simili a pezzi di groviera dai buchi simmetrici.

 Ore 04 e 02. Su Rai tre danno un film  muto con didascalie in  francese. Un giallo di “Repubblica” giace abbandonato a pag 23. Non saprò mai chi è “l’iguana”, il serial killer che uccide giovani donne nel bolognese. Faccio zapping sulle televisioni locali. Donne in perizoma che invitano a chiamare e che si passano il telefono tra i seni, televendite di automobili e poltrone, promozioni di pornocassette.

 Ore 05 e 18. Sento che mi sto per addormentare. I pensieri seguono orbite  fluide, associazioni labili. Star Trek, il cuscino giallo  che mi sorregge i piedi, una foto di tanti anni fa in cui sembro un  cieco che  guarda verso il sole, Famila con noi sei in famiglia. Il ghiaccio,  l’invenzione di questo secolo…  mettere la sveglia presto  prima di dormire,  prima di risvegliarmi con quel senso di soffocamento  che  mi costringe a sedere sul letto con una mano sul cuore e l’altra protesa a cercare  qualcosa  che si perde  prima di essere raggiunta.

Ore 12 e 54. Un altro giorno. Per fortuna che non si vive in eterno, penso, mentre mi puntello su un gomito e tento di alzarmi senza  imprecare.  

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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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