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Lettera aperta alla redazione di "Nazione indiana"
Post n°18 pubblicato il 11 Marzo 2006 da falco58dgl
[questo è il testo di una mail che ho inviato alla redazione di "Nazione Indiana, blog collettivo che ospita diversi autori emergenti nel campo della narrativa, poesia e critica letteraria] Probabilmente questa mail è inutile, non verrà letta o se verrà letta, verrà accantonata e rimossa in un tempo minore di quello che mi occorrerà per scriverla. Accostandomi a "Nazione Indiana" sono rimasto favorevolmente colpito da questa frase che ne definisce gli stili di comportamento "Nella cultura italiana vige la pratica dello scambio di favori. Ci impegniamo a non accettare nessun clientelismo. Non solo i do ut des immediati, ma anche le soggezioni, gli atteggiamenti reverenziali in vista di futuri tornaconti o per timore di essere esclusi o danneggiati dai “padrini della cultura”: boss grandi e piccoli del giornalismo e dell’editoria, amministratori pubblici, funzionari, giurie di premi, organizzatori di eventi ecc".Ho pensato: bene, finalmente uno spazio non lottizzato, dove l'importante è la qualità dei contributi e non la loro provenienza, la presenza di firme che appartengono all'universo dei "padrini culturali o editoriali". Ho iniziato a leggere gli articoli con questa disposizione ingenua, ma sostanzialmente aperta alla speranza. Un blog collettivo, ventuno redattori, alcuni dei quali personaggi interessanti della scrittura, della poesia e della critica letteraria, un progetto che mi è parso fondato su uno scambio aperto e transdisciplinare. "La rete ci permette invece di tornare a una economia di scambio da Nazione Indiana dove contano soprattutto le cose che facciamo - che ognuno fa a suo modo scegliendo di volta in volta argomenti, stili, generi che lo attirano di più - e non la nostra “qualifica professionale” preconfezionata". Ho scoperto ben presto che questa confezione innovativa e accattivante nascondeva un contenuto, tutto sommato, differente, che ricalca moduli più convenzionali e omogenei con quella idea di cultura che si dichiara di voler contrastare. Non esistendo una redazione, non esiste "obbligo di lettura" dei contributi che vengono inviati. Probabilmente questo indirizzo mail a cui sto scrivendo ha una funzione equivalente a quello della bacheca, una sorta di "fossa comune" delle segnalazioni e dei testi. In altri termini, per essere pubblicati su "Nazione indiana" occorre essere conosciuti da qualcuno dei redattori e avere già avuto con loro frequentazioni (personali o mediate dalla rete o da prodotti culturali, poco importa). Krauspenhaar scrive che stima Governi e che quindi non ha difficoltà ad ospitare su NI la recensione della giornalista di "Repubblica" relativa al romanzo della Santacroce. S'incazza se qualcuno gli fa notare che la contemporaneità tra l'uscita della recensione sulla "Repubblica" e su NI alla vigilia della pubblicazione del romanzo configura un vero e proprio lancio commerciale (e quindi uno scambio di favori implicito ) a cui NI dovrebbe essere, almeno nella dichiarazioni, estranea. Altro esempio: Gemma Gaetani scrive un testo dilettantesco, infarcito di luoghi comuni e piuttosto offensivo nei confronti dei blogghers e viene ospitato su NI, argomentando che così si preserva un dibattito plurale e aperto anche a giornali distanti dall'impostazione di NI. Se quello stesso testo fosse stato inviato da uno/a sconosciuto/a alla mail di NI, dubito che ci sarebbe stata qualsivoglia risposta. Ignorato, buttato nel cestino elettronico della carta straccia. E sarebbe stata una scelta saggia. Terzo esempio (più eccentrico, non riguarda rapporti interpersonali tra autori, ma le relazioni autore/fruitori): Giulio Mozzi ripubblica un suo testo del '98, forse per fare da contrappunto a un racconto su una violenza subita da una ragazzina. Tace per 200 post, non dice una parola sul testo e sulle motivazioni dell'invio (squisitamente commerciali, temo), però chi attacca i commenti elogiativi a quel testo e ne sottolinea il carattere pedo-pornografico viene gentilmente invitato a togliersi di torno. La sensazione netta è che NI sia uno spazio "aperto", ma solo agli amici e agli amici degli amici. Ove, con la parola "amico" si designa non tanto una persona legata a noi da sentimenti affettuosi, ma da una consonanza di interessi. Io ti recensisco qui, tu mi commenti lì, io ospito un tuo contributo sul mio blog, tu mi presenti sul tuo spazio. Ma questa non è "pratica dello scambio di favori", quella che si vuole combattere negli stili di comportamento? Non è altresì rivelatore l'astio nei confronti dei commentaristi anonimi (solo di quelli che rompono i coglioni, ovviamente),dietro la polemica comica "io ci metto la faccia, tu ti nascondi nell'ombra? Insomma, temo che N.I stia diventando un luogo virtuale dove si registra uno scarto sempre più netto tra le intenzioni dichiarate, la "mission" e i comportamenti. Niente di tragico, basta solo rendersene conto. Claudio "Writer" Martini. |
IL MIO ROMANZO
CLAUDIO MARTINI
"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)
LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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