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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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URLA

Post n°31 pubblicato il 14 Giugno 2006 da falco58dgl

Da "Sguardi"- Ordinarie Patologie

 Sono entrato lasciando dietro di me la strada rumorosa e vociante. Il portone si è aperto a fatica, opponendo resistenza. Mi ha accolto un odore dolciastro e caldo di estate decomposta. Una busta di plastica per terra. Una busta da spesa. Piccole mani e gambe tagliate, ammassate alla rinfusa. Niente testa, solo pezzi di carne. Salgo le scale borbottando "un'ora di autobus con questo caldo. Ci vuole una buona doccia".

****

 Urla dalla strada. Mi affaccio al balcone in mutande con una sigaretta in mano. Due persone che si sbracciano, bestemmiano, si colpiscono. Un coltello che squarcia un ventre. Mani a comprimere il fiotto di sangue. Sangue per terra che s'allarga in una pozza scura. "Questo quartiere non è più come un tempo", penso buttando la sigaretta accanto al corpo esanime.

****

 Sono nella vasca da bagno. Le ginocchia ripiegate per riuscire a immergere il corpo nell'acqua fresca. Le tapparelle abbassate. Calma. Spingo la testa all'indietro per bagnare i capelli. Mi sfioro il ventre con la mano sinistra. Mi alzo di scatto mentre penso a lei e alle sue gambe aperte. Dal piano di sotto tonfi ed urla acute, continue. Mi tappo le orecchie con le dita.

***

 Mi butto sul letto e fisso una crepa nella parete. Mi piace guardare il muro screpolato mentre penso alla mia vita. Respiro e mi dico "sono vivo". Ma la fessura risucchia i pensieri come un gorgo meccanico. Adesso le urla risuonano dentro di me. Taglienti e stridule. Non posso cacciarle via. Non ci riesco, neanche se mi copro con le lenzuola e con le coperte e le comprimo intorno alla mia faccia fino a soffocare.

***

 Mi sveglio alle quattro del mattino. Una voglia intensa di urinare mentre da qualche parte si odono urla soffocate. Inciampo in uno sgabello basso e mi ritrovo per terra, prono. Un dolore acuto alla caviglia. Mi alzo imprecando, mentre un liquido caldo mi bagna le gambe e scorre rapido verso i piedi. Per fortuna che dormo senza pigiama, penso svuotandomi tra il corridoio ed il cesso.

***

 Sogno persone che gridano forte in lingue incomprensibili. Urlano con tutto il fiato che hanno in gola, il volto distorto dallo sforzo. Madri, bambini, vecchi, giovani ed adulti. Un intero universo di gente strepitante, senza pace, intenta a dar forma alle proprie voci interne. Lo stesso sogno. Tutte le notti. Sempre. Da sempre.

 ***

 Mi sveglio alle nove passate. Per un istante il silenzio m'assale come un rumore inconsueto. Un ronzio sordo dentro e fuori di me. M'affaccio alla finestra e non sento nulla. Da sotto neanche un bisbiglio. Dal cortile interno una calma assoluta che si spande come olio. La strada è immobile, vuota. Un grido lacerante mi colpisce come un pugno. Sono io, non mi posso fermare, continuo ad urlare come se mi togliessero la pelle fibra a fibra.

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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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