Creato da falco58dgl il 26/09/2005

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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

« Un paese all'infernoNuweiba »

Solitudine

Post n°200 pubblicato il 08 Novembre 2007 da falco58dgl
 

    Pubblico sul blog uno dei racconti a cui sono più legato. Fa parte di "Sguardi", il mio primo libro di racconti. Narra la vicenda di un uomo anziano alle prese con un progetto impossibile... buona lettura.                      (Van Gogh, "Alle soglie dell'eternità" )                                                               

“Sono solo come Franz Kafka”. Tra tutte le frasi lette nelle migliaia di libri che compongono la mia biblioteca questa è quella che più m’impressiona e mi fa rabbrividire. L’idea che il genio non protegga dalla solitudine, anzi la favorisca in modi oscuri e allusivi,  serva a esaltarla e a renderla più aspra, mi colpisce come una verità dolorosa e irrimediabile, m’indica un obiettivo rovesciato, un diapason  che vibra al contrario.

In me non c’è nulla di geniale, tranne una fantastica aspirazione che il tempo ha reso sempre più vana. Ma, ormai da molto tempo, sono solo. Solo. Chiuso tra quattro pareti (chissà perché si dice sempre “quattro”, come se le pareti di una stanza fossero sempre identiche fra loro, come se ogni luogo non avesse diritto ad avere la propria storia intessuta nei muri), sepolto in una casa troppo grande e piena di ricordi che mi si ripresentano come  spaventapasseri logori e bucherellati.

Non mi fa paura avvicinarmi alla vecchiaia, il declino fisico che pure avverto attraverso segni ricorrenti e fastidiosi, l’approssimarsi della morte. No, a questo sono abituato. Il tempo prepara, scioglie i timori in una progressione sfumata, fatta di attimi che si accavallano e si comprimono l’uno nell’altro, rendendo remoti gli eventi passati e paludoso il presente. Non desidero  essere circondato da persone. I rapporti umani mi irritano, ne colgo subito l’aspetto vacuo, sterile, strumentale ed effimero. No, la mia paura della solitudine è il terrore di trovarsi di fronte a se stessi, consegnato a un dialogo esclusivo con un individuo che conosco troppo bene nei suoi limiti e troppo poco nei suoi slanci.

Dalla mia casa, dalle finestre del mio studio vedo un panorama urbano confortante nella sua decadenza. Edifici di cinque piani disposti a quadrato con cortili ampi nel mezzo, comignoli fumanti d’inverno, spianate di cemento accaldato e alberi bassi d’estate. I quadrati sono replicati fino ad abbracciare una superficie vasta, simili ad arnie costruite simmetricamente da un esercito di api laboriose.  Costruzioni che risalgono all’inizio del secolo, case che mescolano il liberty con il neoclassico, imitazione di una Parigi minore, decorose ma senza alcuna vivacità, senza vita.

 Non vedo quasi mai bambini giocare, ma forse è meglio così. M’infastidiscono le strida di questi embrioni di uomo e di donna, intenti a dare forma e voce ai loro impulsi momentanei. Nella mia solitudine odierna incide anche la ferma opposizione all’idea di una discendenza, di figli che prolunghino il tuo nome tradendolo e travisandolo. Karin ha tentato per anni di strapparmi un figlio dalle viscere ma, quando si è resa conto dell’inutilità della battaglia, mi ha abbandonato senza rimpianti.

Neanch’io ho sofferto molto. Le volevo bene e avvertivo una silenziosa complicità di ordine intellettuale che  rendeva la sua presenza funzionale al mio progetto di vita, ma quando è andata via, dopo un momento di stupita perplessità, mi sono abituato in fretta alla nuova condizione.

Ero giovane, allora. Portavo i miei quarantadue anni  come chi carica una valigia leggera o uno zaino poco voluminoso, dividendomi tra la facoltà di Filosofia e i miei progetti  di scrittura. Ricordo l’edificio di mattoni rossi, la cattedra posta sopra una breve scalinata di gradini a equilibrare l’altezza dell’anfiteatro dove gli studenti si sedevano compunti ad ascoltare e prendere appunti. E rammento anche il rigore con cui presentavo le lezioni, illustrando la filosofia Hegeliana, il pensiero di Kant e di Schopenhauer. Tracciavo ghirigori geometrici  collegati tra di loro da frecce e sottolineature, in un periodo in cui il gesso e la voce  erano  gli unici strumenti didattici in uso. Rispondevo secco e perentorio alle poche domande che mi venivano poste, come conviene a un docente che voglia mantenere intatto il prestigio della sua funzione.

Poi, tornando a casa, dopo aver consumato un pranzo frugale e aver esaurito i miei doveri universitari, m’immergevo nel progetto che ho accarezzato per tanto tempo e che ancora adesso mi visita come un rimpianto.

Progetto ambizioso, sterminato, esplicitamente irrealizzabile. Ridisegnare la storia del mondo. Tracciare una versione apocrifa dell’evoluzione del pianeta, dal cinquemila avanti Cristo fino ai nostri giorni.

Mi ero imposto un vincolo tuttavia, che rendeva l’operazione ancora più disperata. Non superare le mille pagine di testo, condensare, sostituire, cesellare, lavorare di fino. Simile a una stanza, a un cervello umano capace d’immagazzinare una quantità finita di oggetti o di pensieri, il mio libro si sarebbe spogliato di ogni orpello e avrebbe raccolto le pagine più fulgide di quella civilizzazione inventata. Ogni pagina in più sarebbe stata compensata da una pagina in meno, strappata e distrutta , scelta accuratamente tra quelle meno essenziali.

Ho incominciato a dipanare la mia narrazione da Atlantide, la cui esistenza era suggerita da documenti fino ad allora ignoti, ma non apertamente contraffatti.   Le ramificazioni di questa civiltà primordiale ma luminosa,  si sono disperse  tra l’alto Egitto, la Mesopotamia e il sud del Messico. Sono in pochi a sapere che la civilizzazione egizia ebbe inizio in realtà nella zona di confine con l’attuale Sudan e che, duemila anni prima dell’avvento dei Maya, dallo Yucatan fino al Costarica fiorì un popolo di straordinaria raffinatezza, di cui si è perso persino il nome.

Simile a un albero, i tre tronconi di Atlantide hanno gemmato nuovi popoli, nuove consuetudini e stili di vita che ho raccolto, trascritto e documentato minuziosamente. Un testo apocrifo, pensavo, deve avere maggiore solidità e pregnanza di una testimonianza autentica, deve possedere una coerenza interna che avvinca e seduca, che trascini  e convinca della propria verità il lettore.

I rapporti tra Oriente e occidente mi hanno permesso un’interpretazione ardita. Ogni persona di media cultura sa che l’occidente è stato plasmato, inventato e istituito dai popoli d’Asia. Così fu anche per gli antichi Greci e Romani. Nella biblioteca di Berlino ho trovato una testimonianza straordinaria che lega  i popoli dell’Asia minore alla  Grecia continentale, cinquecento anni prima della guerra di Troia. Fu così facile costruire una mitologia  che da Atlantide arrivasse a Roma, seguendo un itinerario sinuoso, il cui centro è situato tra il Tigri e l’Eufrate. 

Ho ritrovato lena e forza con la disgregazione dell’impero romano e l’alto medioevo, periodo in cui ogni leggenda è plausibile e la magia si contamina con  l’irrazionalità dei culti, l’avvento dei dominatori barbarici e con l’ambiguità delle fonti documentali. Ma  mi sono dovuto arrendere di fronte a Gütenberg e all’invenzione della stampa che ha crocifisso la mia fantasia, relegandola alla condizione di un vaneggiamento confuso, la costruzione di un universo posticcio e grottesco.

Può essere che questa sia una giustificazione arbitraria, mossa dal senso di colpa  e dall’impossibilità del compito. Forse  mi sono solo  stancato di inseguire le mie fantasie e non ho il coraggio di ammetterlo.

Non sono mai riuscito a oltrepassare la pagina 672, nell’anno di grazia 1476. L’idea di essermi arrestato esattamente cinquecento  anni fa non lenisce la frustrazione e il mio risentimento.

Da quell’istante ho avvertito una sensazione di crescente disagio, analoga a un dolore sordo e nascosto che si manifesta  in modo insidioso. Passavo ore intere a braccia conserte, senza appigli o rifugi che potessero deviare la mia pena. In questi ultimi dieci anni – tanti ne sono trascorsi dal fallimento del mio piano- ho vissuto una paralisi progressiva della volontà, mi sono rinchiuso in uno spazio vuoto e  liscio, simile a un campo bruciato, inaridito.

 Il telefono è diventato un soprammobile, non ricevo posta da tempo. Ignoro e vengo ignorato. Mi proteggo così dai pericoli di un desiderio tardivo. Esco di rado, limitando gli scambi allo stretto necessario. Ho preso accordi con il negozio sotto casa, mi portano su la spesa due volte alla settimana. Congedo il ragazzo con un cenno del capo e un biglietto di dieci franchi. Una donna provvede alle pulizie dell’appartamento.

Sono attratto dalla mia solitudine come un pezzo di legno da un gorgo in  cui finirà per scomparire.   A volte m’assale un bisogno di compagnia così immotivato che mi viene da sorridere. Lo scaccio come un pensiero molesto e sconveniente, come un desiderio indecente rivolto a una bambina.

Ho settant’anni  e la mia solitudine pesa, pesa come un macigno, anche se faccio fatica  anche soltanto a pronunciare queste parole. La debolezza  dura poco, per fortuna. M’affaccio alla finestra del mio studio e vedo la vita passare nella sua  infinita indifferenza.

E  provo uno strano sollievo.

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Commenti al Post:
pinguina_felice
pinguina_felice il 09/11/07 alle 10:10 via WEB
Bello...il protagonista si mette in punizione in pratica, segue una specie di autodistruzione in seguita ad un fallimento! Ricorda l'atteggiamento di forte disperazione del protagonista di "Cronaca della luna sul monte", che però fugge dalla realtà trasformandosi in tigre!Mi piace!
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 16:41 via WEB
Il protagonista in realtà si era già chiuso in un universo solitario. Il fallimento del suo progetto rende più severa ed esplicita la sua solitudine. grazie del commento, pinguina. W.
 
sabrina_ergo_sum
sabrina_ergo_sum il 09/11/07 alle 10:21 via WEB
So bene che segui i miei passi...lo faccio anche io e leggo i tuoi racconti...non sono le storie che mi colpiscono per quanto il modo in cui metti in fila una parola dietro l'altra..con un'armonia tale da toccarmi l'animo...forse sarà che io riesco a leggere oltre le righe e nelle righe..a mio modo s'intende...che non sarà certo il modo di tutti quanti gli altri...l'immaggine al tuo racconto rispecchia in altro modo quello che ho scritto nell'ultimo post...la tua scrittura (ma già lo sai) mi inebria e mi fa pensare...ma come si fa a scrivere cosi bene? Ti seguo e presto comprerò i tuoi libri...per seguirti anche mentre scruto le stelle..
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 16:44 via WEB
Sabrina, le tue parole mi fanno molto piacere. Per scrivere non occorre solo raccontare delle storie, ma riuscire a coinvolgere il lettore nella narrazione, mediante lo stile e l'intreccio. Ti ringrazio molto per l'apprezzamento e ti mando un forte abbraccio. W.
 
arimatec
arimatec il 09/11/07 alle 10:47 via WEB
A voltre i grandi progetti non si realizzano, ma è importanti comunque averli pensati, elaborati. Mi piace questo racconto, specialmente il finale con il senso di sollievo del protagonista. Un caro saluto. Ari
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 16:46 via WEB
Ari, il progetto del protagonista è dichiaratamente irrealizzabile. Nel suo caso, il fallimento del progetto coincide con l'esaurimento della sua spinta vitale. Un saluto affettuoso, sono contento di rivederti qui. W.
 
onice0
onice0 il 09/11/07 alle 12:51 via WEB
Sul fallimento di un suo sogno ha formato la sua esistenza,punendosi con la solitudine.E tutto ha perso colore.Probabilmente si è arreso ad un progetto troppo ambizioso che non è stato in grado di portare avanti e il fallimento è stato sul piano personale più che professionale.Toccante davvero.Buon we, Wri.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 16:48 via WEB
Sì, Carmen, hai colto quello che ho cercato di trasmettere con il testo. Il fallimento del protagonista è esistenziale e relazionale, prima che professionale. il sollievo con cui guarda dalla sua finestra è proprio di chi si arrende e decide di essere spettatore degli eventi. W.
 
manser11
manser11 il 09/11/07 alle 16:01 via WEB
Leggere racconti così mi fa provare un pizzico di gelosia!!! Bellissimo e direi persino geniale... A presto
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 16:50 via WEB
Grazie di cuore per la tua valutazione lusinghiera, Manser. A rileggerci. W.
 
blancoebleu
blancoebleu il 09/11/07 alle 17:03 via WEB
Giorni fa una persona che stimo molto e che ha più o meno l'età del protagonista del tuo racconto mi ha detto: "Ogni giorno che passa sento che mi muore intorno qualcosa, l'unica cosa che mi diventa sempre più viva è il concetto di precarietà della vita". Mentre leggevo mi è venuto istintivo dare al tuo personaggio il volto del mio amico. Blancoebleu
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 17:24 via WEB
Invecchiare significa diventare più consepevoli che la fine della corsa s'avvicina. Questa consapevolezza genera reazioni diverse: chi reagisce negando il passo del tempo e buttandosi su attività impegnative e frenetiche, chi avverte con maggiore precisione la precarietà dell'esistenza, chi s'arrende in attesa dello scoglimento finale. Grazie del commento, blancoebleu. W.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 09/11/07 alle 17:05 via WEB
Il protagonista del tuo bel racconto mi sembra un uomo incapace di provare sentimenti profondi,(o forse anche solo sentimenti), con un progetto strutturato in modo tale, (vedi le condizioni estreme che si autoinfligge),da isolarlo ancora di più dal mondo e dalle sue relazioni, per lavorar di cesello, (che significa concentrare il proprio lavorio mentale su particolari minuscoli e precisi). Di fronte al fallimento, sente spuntare, timido, il desiderio di vedere se "c'è qualcuno la fuori", ma lo soffoca velocemente per provare quel sollievo che, come tu hai scritto, deriva dalla resa...Bello! Carpe;-))))
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 17:28 via WEB
Sì, carpe. Il destino del protagonista è già, in qualche modo, tracciato quando rifiuta l'idea di una discendenza e si rifugia nel suo progetto di scrivere una storia apocrifa del mondo. Chi ama la propria vita, non ha bisogno di falsificare la propria storia individuale o quella collettiva. in fondo, lui raccoglie quello che ha seminato e avendo seminato aridità, raccoglie solo solitudine. Bel commento :) W.
 
bimbadepoca
bimbadepoca il 09/11/07 alle 18:28 via WEB
Ci credo che sei legato a questo racconto... è praticamente perfetto :-))
Nelle parole del tuo protagonista ci leggo una forma di compiacimento per aver fatto in fondo la scelta giusta. Non ricerca nemmeno l'ultimo dialogo con il ragazzino che gli porta la spesa, ma lo congeda con un cenno del capo. Non sente l'esigenza di tramandare il suo sapere, preferisce egoisticamente tenerlo per sé. Non riesco a capire se si tratta di paura o di superbia... ma propendo per la seconda ipotesi.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 23:08 via WEB
Credo che il protagonista si renda conto che il suo progetto di vita si è esaurito e che non c'è più lo spazio (e il desiderio) di cambiare. Per questo si rinchiude tra le quattro pareti del suo studio e ricorda il passato come un'occasione perduta. W.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 09/11/07 alle 18:52 via WEB
Ciao! Che ne so io... tra tutte le cose lette e sentite.. io amo nietzsche ed amo la mia solotudine, ma la amo proprio!
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 23:10 via WEB
Benvenuta, Hanna. La solitudine può essere bella se è una scelta, non se è il prodotto di una serie di omissioni e di errori. W.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 09/11/07 alle 20:01 via WEB
ciao w. bel racconto - scorre via lineare dall'inizio alla fine. Sai disegnare come tuo solito con tratto delicato e discreto la psiche di un altro, stavolta un vecchio ...cliente difficile, complimenti. Descrivi in modo magistrale l'aridità pretesa dal protagonista fino alla fine dei suoi giorni ...proprio per non lasciare una sola goccia di sangue vivo e pulsante al mondo esterno, anzi estraneo. Ma sai che sono un gran rompipalle, vero? c'è una cosa che non mi è piaciuta e una cosa che secondo me manca. Io parlo con l'autore, non con l'uomo che c'è dietro, ok? Non mi piace l'eccessiva "pulizia" che permea il racconto dall'inizio alla fine, un dialogo talmente lucido e sicuro da sembrare inventato di sana pianta. E di conseguenza la cosa che manca è il "graffio dell'unghia sulla lavagna" ...ci voleva qualcosa, anche una sola parola o frase stonata, qualcosa che causasse "disturbo" al lettore per trasformare questo racconto "molto bello" in "eccellente". Il lettore bisogna farlo soffrire, sempre, sennò non si diverte abbastanza. ehehe, un abbraccio e complimenti ancora, gf P.S. mi ha ricordato un racconto S.Beckett
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 09/11/07 alle 23:18 via WEB
Santiago, ognuno sceglie il registro che ritiene più appropriato al suo testo. Io ho scelto un registro pulito e "desolato" perché mi sembrava rendesse bene la vicenda di un vecchio professore universitario che si rende conto di aver inaridito la propria vita. Non credo che aggiungere qualche scena di sesso di gruppo o un'endovena di cocaina oppure un suicidio spettacolare e "pulp" avrebbe aiutato la narrazione :-) La concezione che bisogna far sempre soffrire il lettore mi sembra un po' sadica e poco utile. il lettore vuole essere coinvolto, vuole appassionarsi, identificarsi (positivamente o negativamente) con le storie. A farlo soffrire ci pensa già la vita di tutti i giorni... :-) W.
 
   
santiago.gamboa
santiago.gamboa il 10/11/07 alle 01:23 via WEB
Ma come ti è venuta in mente questa interpretazione delle mie parole? "Non credo che aggiungere qualche scena di sesso di gruppo o un'endovena di cocaina oppure un suicidio spettacolare e "pulp" avrebbe aiutato la narrazione..." io non consiglierei mai ad un autore questi squallidi trucchetti e detesto tali furbe scorciatoie! Ti concedo un dubbio... hai risposto per sbaglio a me sul commento di qualcun altro? buonanotte writer.
 
     
falco58dgl
falco58dgl il 10/11/07 alle 02:21 via WEB
Ti ho dato una risposta provocatoria e un po' paradossale perché credo che serva alla discussione. La tua frase sull'"unghia che striscia sulla lavagna" rimanda a un'estetica della dissonanza, all'introduzione di qualcosa che sconvolga le certezze acquisite fino a quel momento dal lettore. E' una scelta legittima, ma non è la mia. E probabilmente neanche quella migliore in considerazione delle caratteristiche del testo. Io, quando scrivo, cerco di calarmi nell'universo del personaggio che narro. Mantengo quindi unità di stile e di registro narrativo. Può non piacere, ma lo considero un tratto del mio scrivere. W.
 
brubus1
brubus1 il 10/11/07 alle 09:57 via WEB
"La solitudine!!! Quale parola pesante e pensante per ognuno di noi poveri mortali. Laddove cresce un filo d'erba e tira forte il vento, ci lasciamo a volte sopitamente annullare dalla mancanza di volontà e dalla sviscerale paura". Un frettoloso ma sincero saluto per un sereno week amico Writer.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 10/11/07 alle 15:14 via WEB
Bella la citazione, Brubus, anche se non ne ho riconosciuto l'autore. Grazie del passaggio, buon week end a te. W.
 
   
brubus1
brubus1 il 11/11/07 alle 09:13 via WEB
E' farina del mio sacco che tu ci creda o no, ormai dovresti conoscermi..... Ieri girando per vari blog ho lasciato altre citazioni spontanee come questa. Forse ero predisposto. Buona domenica Writer.
 
allievadelgabbiano
allievadelgabbiano il 10/11/07 alle 10:04 via WEB
Mio malgrado sono mancata per un po'...bella la sorpresa di tornare e trovare uno dei tuoi splendidi racconti. Grazie per questi regali che ci fai. Un sorrisone
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 10/11/07 alle 15:15 via WEB
Allieva, in realtà il vero regalo è la vostra partecipazione costante e affettuosa. Lieto che "Solitudine" ti sia piaciuto. Un abbraccio. W.
 
eticamedia
eticamedia il 10/11/07 alle 10:45 via WEB
Caro Falco, tutti in verità siamo soli: però è bello vedere un racconto commentato così animatamente da altri, lettori di un testo pubblicato da così pochi giorni! mi unisco agli altri per il complimento. Ma quel che più mi colpisce è vedere come in tutt'altro modo che dal passato si stia realizzando in rete una specie di salotto letterario, dove ciascuno legge la sua e gli altri commentano. Senza i disturbi consueti, non tanto di vedersi fuori casa, ma ad esempio di essere di cattivo umore, di avere fastidio per la voce o per qualcosa di una persona che legge. Senza l'imbarazzo, insomma, della prossimità. Anche se nei nostri "dogmi" (di eticamedia) c'è di raccomandare come comportamento corretto, nella rete e in genere nei media, di non abusare del contatto virtuale: va detto che se ha tanto successo è in buona parte per caratteristiche essenziali e del tutto nuove, che vanno riconosciute ed analizzate. Davvero è una intelligenza collettiva, che ha i suoi pericoli: ma anche il pregio di incontri graditi e voluti, di letture còlte. date e fruite con semplicità.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 10/11/07 alle 15:22 via WEB
Sì, quello che mi piace di più del blog è proprio la connotazione di "spazio letterario" che sta assumendo. Uno spazio in cui ognuno, a partire dalle suggestioni proposte, commenta, associa, racconta pezzi della propria esperienza. Uno spazio che si propone anche come promotore di iniziative collettive, come il gioco letterario "come eravamo". Certo, quello che segnali come pericolo è reale: far diventare il web (e quindi la "second life") come l'ambito privilegiato degli scambi e delle interazioni, relegando quelli reali in un ruolo marginale. Però io vedo il web più come una risorsa che un pericolo. Grazie del passaggio e del commento. W.
 
cateviola
cateviola il 10/11/07 alle 16:15 via WEB
Pulito, delicato, triste.
Sembra visto dall'interno, anche se, per quel poco che ti conosco, non mi pare affatto autobiografico, nemmeno un po'... grazie al cielo!
" A volte m’assale un bisogno di compagnia così immotivato che mi viene da sorridere. Lo scaccio come un pensiero molesto e sconveniente,...."
quel che segue, proprio dove più mi è piaciuto il testo, per me suona come la famosa 'unghia sulla lavagna' di qualche commento sopra e, da semplice lettrice, non ne sento quasi mai il bisogno. La realtà extra-letterararia è già abbastanza dissonante di suo.
Un abbraccio!
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 11/11/07 alle 00:17 via WEB
Non è autobiografico, Cate. Ho lavorato sul protagonista, ma il suo mondo è molto distante dal mio. Lui in realtà non è felice del suo presente, è una persona lucida, si rende conto di aver buttato alle ortiche almeno metà della sua vita. Solo che non ha più le energie e il desiderio di cambiare. Grazie dell'analisi attenta, un forte abbraccio a te. W.
 
vi_di
vi_di il 10/11/07 alle 17:50 via WEB
Inquietante apologia della solitudine; di una solitudine che però quest'uomo aveva scelto già da tempo, sembra. Almeno io avverto questo. Come sempre scritto in maniera eccellente, complimenti!
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 11/11/07 alle 00:19 via WEB
Più che un'apologia della solitudine, è il ritratto di un uomo che si ritrova da solo per effetto delle proprie scelte di vita. Non la rivendica e in quaslche modo la subisce, ma si è adattato a questa sua condizione. Grazie dell'apprezzamento. W.
 
carmen46c
carmen46c il 17/11/07 alle 19:36 via WEB
Non sarà autobiografico però non credo che si possa scrivere in questo modo se non si è provato sulla propria pelle, anche per un giorno solo, quello che prova il protagonista del racconto. Oggi mi sento proprio come questa persona anziana, la lettura di questo pezzo mi ha tolto quel poco di inibizione che mi era rimasta ed ora non riesco a frenarmi, perchè dovrei farlo, mi chiedo? Ho paura persino a parlarne, non mi piace la commiserazione degli altri e non vorrei mai farmi vedere così. Passerà, si, passerà, domani ritornerò come sempre a fare la saltimbanco, la comica, l' attrice, la poetessa, la pittrice e non so più che cavolo devo fare per allontanarla da me, questa maledetta tristezza!
 
 
carmen46c
carmen46c il 18/11/07 alle 01:13 via WEB
Ero proprio fuori di me, e parlo di 3 ore fa, si dice che nelle lacrime ci siano sostanze velenose che escono dal corpo, deve essere vero.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 18/11/07 alle 01:23 via WEB
Bè, certo che ho provato l'esperienza della solitudine. Però non ne ho fatto un mondo, un sistema di vita, come fa il protagonista del racconto. Sai, credo che tutti, in qualche fase della vita, ci siamo seduti alla finestra e abbiamo visto la vita passare, indifferente e a noi estranea. Forse non è neanche tanto brutto, se non diventa una condizione permanente, una resa. Se ti senti triste, se ti senti avvolta da un senso di inutilità e desolazione, pensa che tu, a differenza del mio personaggio, puoi percorrere altre strade, puoi ritrovare energia e desideri. La tristezza è indispensabile proprio per poter misurare i momenti felici. Un forte abbraccio. W.
 
   
carmen46c
carmen46c il 18/11/07 alle 01:31 via WEB
I miei amici hanno organizzato per domani sera una festa a sorpresa per me, l'ho saputo da qualcuno ma la regola era che non lo dovevo sapere. Sai che cosa mi fa rabbia? Che, dovrei essere felice di tutto questo, in fondo ho amici che mi vogliono bene e invece pensa, mi sento persino infastidita da tutto questo. Mi chiedo se sono normale.
 
maddie2006
maddie2006 il 29/11/07 alle 20:16 via WEB
Complimenti.Ho iniziato a leggere poco convinta e poi l'ho finito tutto d'un fiato.. Conosco bene le sensazioni del protagonista..ed è difficile descriverle senza averle provate.. E' un piacere leggerti.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 30/11/07 alle 11:04 via WEB
Benvenuta, Maddie. Sono contento che "Solitudine" ti sia piaciuto. E' un testo che ho scritto con forte coinvolgimento... Un saluto affettuoso. W.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 05/02/08 alle 12:28 via WEB
per favore dimmi il tuo nome poichè una storia scritta con tale malinconia e bellezza non puo rimanere sepolta dietro qualcos'altro...io comprendocio che racconti poichèiovivo insieme a quell'uomo-io sono quell'uomo-io sono in trappola tra quattro mura(chissà perchè quattro poi?) io desidero conoscerti
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 05/02/08 alle 12:47 via WEB
Sono colpito da questo tuo commento che denota un forte coinvolgimento nella storia narrata. In quanto al mio nome, è riportato nel box laterale relativo al mio romanzo, "Diecimila e cento giorni". Tu chi sei? W.
 
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LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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