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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
SOLIDARIETÀ CON RED LADY E CON LOCANDA ALMAYER!
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Post n°337 pubblicato il 15 Dicembre 2008 da falco58dgl
Un esercizio di stile che consiste nello scrivere un racconto in un solo periodo... Mario è nervoso, s'alza il mattino con una energia malsana che gli fa preparare il caffè con movimenti scoordinati e convulsi, dimentica di togliere il filtro quando riempie d'acqua la macchinetta e riceve di rimbalzo un getto potente che gli bagna le mutande e le gambe, mormora un "vaffanculo" rituale, che gli serve per recuperare un'accettabile destrezza, mette la caffettiera sul fuoco, corre in bagno per sbarbarsi in fretta e si taglia tre volte la faccia, scappa a prendere dell'alcool, ma trova solo un intrico di farmaci inutili caoticamente disposti nel ripostiglio dell'ingresso, viene colto da un inspiegabile desiderio di rifare il letto e così s'affanna con una mano a distendere le lenzuola e a rassettare le coperte, mentre si comprime il volto sanguinante con un fazzoletto di carta di dubbia pulizia, dispone i cuscini e ripiega la trapunta matrimoniale e intanto avverte un odore di bruciato misto a fumo che viene dal cucinino, interrompe il suo lavoro (ma nel frattempo, chissà come, è riuscito a procurarsi del mercurio cromo e si è dipinto la faccia come un pellerossa, disegnando un insieme di macchie irregolari sul collo e le mandibole), vola verso la sorgente del disastro che si rivela la macchina del caffè ormai rovente e annerita dal fuoco, afferra con precauzione il manico della moka con uno straccio consunto e si ustiona orrendamente l'indice e l'anulare della mano destra, infila una sfilza sincopata di imprecazioni che terminano in un grido rauco e impotente, vorrebbe dare un cazzotto violento alla parete ma è trattenuto dalle pulsazioni rapide e dolorose dei polpastrelli bruciati, decide di vestirsi e di scendere in strada per recarsi al lavoro senza aver fatto colazione, trema di rabbia quando cerca di abbottonarsi la camicia e desidererebbe strappare quei maledetti bottoni bianchi uno per uno e gettarli lontano, disintegrarli con un raggio che li faccia riapparire in un luogo imprecisato tra la Nuova Guinea e le isole Figi, ripiega su una maglietta verde che ha sempre detestato, butta la camicia in un angolo lontano della stanza da letto, s'infila un maglione color cacca che stona orrendamente con i suoi pantaloni neri, rinuncia a lavarsi i denti, per evitare di lottare con il tubetto del dentifricio da giorni arrotolato e simile a una mostruosa lumaca di alluminio -chissà di quale materiale saranno fatti i tubetti del dentifricio, pensa -, cerca affannosamente le chiavi, immaginando i posti dove potrebbe ritrovarle, ma la sua ricerca non è sistematica, così si butta in ginocchio per dare un'occhiata sotto il letto, sperando assurdamente di essere miracolato da un incontro casuale, improbabile ed illogico, si ricorda all'improvviso di aver lasciato le chiavi di casa nella tasca destra del giaccone, urla di esultanza quando la sua mano sinistra artiglia il mazzo e se lo mette in tasca, vede la sua immagine allo specchio e corre in bagno a pulire le tracce rossastre dal volto che suggeriscono emorragie o mascheramenti da ultrà francamente incompatibili con la sua dignità di dirigente del parastato, ingolla un bicchiere d'acqua stupendosi della naturalezza con cui riesce a compiere un'operazione così complessa e irta di difficoltà, afferra due sacchetti della spazzatura ricolmi e maleodoranti, controlla il telefonino che, a giorni alterni, dimentica a casa, soprattutto quando si rivela indispensabile, ed esce trionfalmente sbattendo dietro di sé la porta con fragore. |
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LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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