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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

« Antonio Nasar (prima parte)Carlo Parlanti »

Antonio Nasar (seconda e ultima parte)

Post n°193 pubblicato il 26 Ottobre 2007 da falco58dgl
 

                  (David Alfaro Siqueiros  "Nuestra imagen actual», 1942) 
  

Tre

 Vera Cruz vista dal mare assomiglia a un porto qualsiasi: lunghi moli, mercantili, petroliere e navi passeggeri, una fila di costruzioni  bianche, casette con le porte colorate di verde e azzurro. Solo la vegetazione esuberante che copre la pianura e alcune colline molli e lontane la rende diversa  da Larnaca o da Heraklion.

Antonio Nasar sta a braccia conserte mentre la nave s’avvicina alla terraferma e attracca. Ha viaggiato per dodici giorni senza interruzione, solo mare, vento e strida di uccelli. Calca il suolo  senza emozione apparente, s’avvicina alla dogana dove spiega, a gesti, che non ha nulla  da dichiarare. Deve premere un bottone posto davanti a un semaforo. Si accende una luce verde e passa con la sua valigia che assomiglia a una cartella da scuola, mentre una voce esclama “bienvenido a México”. Elude le persone che offrono servizi di taxi e alberghi economici, esce dalla  zona del porto, camminando ai bordi di una strada piena di buche delimitata da  padiglioni industriali e stazioni di servizio. 

Arriva in una piazza ampia circondata da portici, tavolini all’aperto e bar. E’ un luogo allegro pieno di alberi che, a eccezione delle palme, gli sono sconosciuti. Vede alcune persone vestite di bianco che suonano con delle bacchette uno strano strumento che assomiglia a una pianola. Si siede a un  tavolo, chiede “un café”, sbircia all’interno e scorge una monumentale macchina per gli espressi cromata e rilucente. Se si avvicinasse  vedrebbe scritto, a  lettere di bronzo, “Rossi, Torino, 1905”. Ma Antonio Nasar è intento a guardare gli uomini che suonano la marimba. C’è qualcosa in quel suono che  lo colpisce,  un ritmo argentino e brillante che ricorda altri tempi, altri sguardi, sonorità diverse e antiche, nenie cantate da una persona dal volto indecifrabile a Baalbeck prima di addormentarsi.

Scaccia quei ricordi, Antonio Nasar, come chi allontana un pugno di mosche fastidiose. Beve il suo caffé, rimane a lungo seduto per appropriarsi del luogo. Si alza per andare a cercare una pensione, mentre il sole inizia a declinare e lo  abbacina per un istante.

 “Il mio viaggio è finito”, mormora come se stesse salmodiando un versetto del Corano.

  Quattro

 Filtra il sole sulla piana di Alvarado, illumina una distesa di campi di mais, di alberi di mango e di ananas, di piantagioni di caffè rosseggianti. Qualche nuvola orlata di rosa, verso l'estremità del cielo.

Antonio Nasar si sveglia presto, come è solito fare ormai  da dieci anni. Si affaccia alla porta della casa, intuisce il profilo del fiume, si mette a lavorare nel suo orto, senza perdere tempo, con calma operosa.

I suoi pensieri non hanno più paura di inseguire il passato. Lo accarezzano come mani che curano campi di pomodoro e granturco. L'hotel "Estrella del mar", i lavori  casuali trovati al porto, l'amicizia con Mohammed Ibn Al Khalifi, il commercio del  caffé, prima come semplice raccoglitore, poi come distributore su un furgone che percorreva le strade tra Veracruz e Oaxaca, infine come socio e produttore, la sua casa persa in mezzo al verde e al giallo del mais, le colline e il profilo, nelle giornate trasparenti e adamantine, del pico de Orizaba, montagna altissima che domina la sierra di Puebla, tutto questo ricorda Antonio Nasar mentre riceve il sole che abbacina il suo volto come in un pomeriggio di tanti anni fa.
Non è un uomo di montagna, Antonio Nasar. Ha vissuto tutta la sua vita tra mare, pianura e lande aride, orizzontali e scabre.
Ma una volta è stato attratto dalla vertigine del vulcano. Ne avvertiva l'odore, il movimento segreto che pulsava nelle sue viscere. E si è incamminato lungo la dorsale dell'Iztaccíuhatl lungo una pista di sabbia che gli ricordava altri luoghi, altri tempi, altre estensioni. Scese dal vulcano con una lieve sensazione di nausea causata dall'altezza che si mescolava a un senso di vertigine come chi rimane troppo tempo aggrappato a un 'idea e non riesce ad  allontanarsene, se non a  prezzo del proprio equilibrio. Tornò nella sua casa, nella piana di Alvarado e, ogni tanto, riprendeva a scrutare il mare e a decifrare i venti. Ma adesso  ha solo occhi per le sue piante che vuole veder crescere rigogliose e  alte.

Mentre lavora, scorge una sagoma che si muove rapida  tra i campi di granturco. Anzi, guardando con attenzione, si potrebbe  percepire una  doppia presenza. Un corpetto viola su una gonna gialla  e un animale  che corre, torna indietro, sembra precedere  i propri passi.

Ma Antonio Nasar guarda verso il fiume, pare  respirare la direzione dei venti, si china verso una pianta e, con  un colpo secco, la libera dalle erbacce  che l’avvincono.

(fine)

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Commenti al Post:
sinemoiaquai
sinemoiaquai il 26/10/07 alle 01:31 via WEB
ciao claudio, ho cercato l'autore della figura , ma non riesco a trovarne le opere, vista la lauta lista a suo carico, mi potresti indicare l'url, non di questa immagine, vorrei vedere le altre, se ce ne sono.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 26/10/07 alle 01:42 via WEB
Puoi fare due cose, Mi. Ricerchi su google immagini "Siqueiros" e hai accesso a diversi quadri del muralista messicano. Oppure vai sul sito http://www.siqueiros.inba.gob.mx/ che ha parecchia documentazione sul maestro. W.
 
   
sinemoiaquai
sinemoiaquai il 26/10/07 alle 16:14 via WEB
grazie, mannaggia a te, se tutti fossero così come te, A presto, un abbraccio Mile
 
     
falco58dgl
falco58dgl il 26/10/07 alle 18:19 via WEB
Per così poco... :) Un bacione, Mi. W.
 
pinguina_felice
pinguina_felice il 26/10/07 alle 09:36 via WEB
Ho aspettato di leggere tutto prima di commentare!Mi piace come scrivi!E' una scrittura semplice come piace a me!Spero un giorno di "avvicinarmi lontanamente" a come scrivi!!!!
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 26/10/07 alle 13:05 via WEB
Ho provato a narrare la vicenda di Antonio Nasar con uno stile piano e diretto, volevo che il lettore seguisse il personaggio nei suoi spostamenti (anche interiori). Grazie dell'apprezzamento, Pinguina. W.
 
onice0
onice0 il 26/10/07 alle 12:05 via WEB
Ancora i legami con i luoghi,il senso di benessere nel ritrovarli, dove perdersi e confondersi con la natura intorno...e il ricordo del passato non fa più paura. Che sensazione di libertà! Grande Wri. Un sorriso
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 26/10/07 alle 13:08 via WEB
Originalmente l'ultimo capitolo s'intitolava "il tempo ritrovato di Antonio Nasar". Poi, l'allusione a Proust mi è parsa presuntuosa e fuori luogo. Sono lieto che tu abbia provato sensazioni di libertà leggendo il testo, Carmen. Antonio trova un ambito di vita che ama proprio grazie alla sua ricerca precedente. Ma questo itinerario può riguardare tutti... W.
 
santiago.gamboa
santiago.gamboa il 27/10/07 alle 12:42 via WEB
Eccomi, ho letto il racconto e mi è piaciuto. un viaggio introspettivo sul filo del rasoio, un percorso lineare di andata e ritorno verosimile. A me ha fatto riflettere ancora una volta su quanto sia facile e "lecito" essere border, questo racconto infonde coraggio a chi si sente perduto e solo. il messaggio che mi arriva è "posso farcela". Complimenti sinceri per il linguaggio, per la struttura della storia e per l'ambientazione descritta con vena poetica e rispettosa dei luoghi sfiorati. buon fine settimana, gf --- --- --- P.S. ogni lettore può interpretare il messaggio come ritiene più opportuno, seguendo la propria strada mentale. Continuo a non capire perché non ti è piaciuto il commento di carpe.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 27/10/07 alle 16:39 via WEB
Sì, Santiago. il "posso farcela" non è scontato, ma è il prodotto della ricerca di una nuova vita, ricerca che il protagonista porta avanti in modo radicale e senza mediazioni. Anch'io, quando sono partito per il Messico, l'ho fatto bruciando dietro di me i simboli della mia vita precedente, anche se non ho dato fuoco (almeno non concretamente) alla mia casa e non ho ucciso nessuno. Ti ringrazio del commento, al tuo P.S ho già risposto in precedenza. Ciao. W.
 
blancoebleu
blancoebleu il 29/10/07 alle 08:21 via WEB
Mentre leggevo questo tuo Antonio Nasar mi venivano in mente due cose. La prima era un riferimento letterario, e cioè l'atmosfera alla Alvar Mayor che poteva essere resa solo da chi, avendo ingoiato ed assimilato tutto quanto c'era da ingoiare ed assimilare fra la nostra e l'altra sponda dell'Atlantico era in grado di restituirla in sintesi piana ed istintiva. La seconda una mia passeggiata di tanti anni fa nel groviglio dell'Alfama che mi istigò, per la prima volta in vita mia, a scrivere un racconto. Non sapendo che titolo dargli gli diedi una frase di J. Amado. Se non ti dispiace, e per recuperare in qualche modo la passeggiata unter den linden di Berlino che si è inghiottita Libero, te lo copioeincollo qui. "Un tramonto sull'atlantico ha in se qualcosa di definitivo." (Jorge Amado) "Viteee!!! Vite usate, vite di seconda mano, Viteeee!!!" le parole urlate dal piccolo uomo rotondo rimbalzavano per le viuzze dell' Alfama prima di rotolare tra le acque dolci del Tago e quelle amare dell' oceano. Alvaro Cabral ne raccolse una e guardò verso la loja pequena stretta tra la parete ricoperta di azulejos sbrecciati della vecchia moschea e le pietre nude dei resti di un minareto. "Vieni, meninho -il piccolo uomo rotondo allargò le braccia e il sorriso- Per la tua vita qui ci sono tutte le vite che vuoi. Cosa vorresti essere in cambio di quello che sei?" Alvaro era stanco dell'oceano, dell'acqua morta e del vino acido che bevono i marinai, della carne essiccata e senza sapore, delle piccole mele bacate, della muffa nel pane raffermo e della puzza di mare stantio che alitava dalle stive... "Il re! Se potessi vorrei essere il re." "Sei fortunato, menino! Il re è passato qui un'ora fa e mi ha chiesto se potevo barattare la sua vita in cambio di quella del primo marinaio in partenza per l'oceano. Ho qui il contratto, metti la tua firma sotto la sua e vai a dormire tranquillo. Domani sarai re." Il giorno dopo Dom Manuel I aprì gli occhi in una miserabile taverna della Baixa, si sentiva giovane e sano, colse come un fiore il sorriso della piccola sguattera algarvina che gli porgeva una sacca da marinaio e si avviò verso Belém. La sua nave stava per partire. Il giorno dopo Alvaro Cabral si rigirò con ardue manovre da bue su un enorme letto di piume prima di aprire gli occhi sui fregi dorati che ornavano il soffitto della stanza da notte del palazzo reale di Sintra. Aveva la bocca cattiva ed era di pessimo umore. Lanciò uno sguardo sgarbato al valletto che chiamandolo sua grazia gli stava servendo la colazione e rimase esterrefatto vedendo la sua immagine di sovrano livido e grigio riflessa sul vassoio d'argento. Aprì la finesta e lo investì la saudade del mare. Non poteva perdere tempo! Ordinò che una carrozza lo conducesse all'Alfama, e poi a piedi e con la velocità che gli permettevano i suoi passi decrepiti cercò la loja pequena, il piccolo negozio stretto tra la parete di azulejos ed i resti del minareto. Arrivò ansante e rimase senza fiato: la vecchia moschea ed i resti del minareto erano li, ma non c'era nessuna loja tra loro, entrambi formavano un corpo unico, ricoperto a tratti da uno strato di azulejos sbrecciati. Ciao e alla prossima. Paolo
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 29/10/07 alle 13:25 via WEB
Ho letto il tuo testo con attenzione, blancoebleu e sono rimasto affascinato dal ritmo, dalle immagini, dall'andamento intermedio tra fiaba e apologo morale che si respira. L'Alfama è una specie di teatro dei sogni che rende possibile lo scambio tra vite. In quanto ad "Antonio Nasar" già una volta, nel commentare il testo su F.I.A.E, hai fatto riferimento a un grande della letteratura, Alvaro Mutis. Ti mando anch'io un frammento di testo ambientato a Lisbona. "Mentre scendo per la rua do Texeira verso il Rossio, penso che Lisbona è una città dove vorrei morire. Dal belvedere che domina il Bairro Alto un volo di uccelli pazzi interseca l’aria e la frammenta di segni molteplici, compatti e leggeri. Scendo per la scalinata, addossandomi alle pareti screpolate, e vedo il tram a cremagliera che sale lento su da una parallela. Neanche la folla compatta di turisti, giovani vestiti di colori ripetuti, m’allontana da quella sensazione di estraneità curiosa che segna i miei momenti più lieti. Passo davanti a un ristorante che espone ai passanti una marionetta vestita da cameriere con un vassoio e un bicchiere di vino. Impadronirsi del bicchiere, bere e fuggire, scendere giù correndo, gridando parole felici.Invece mi fermo e guardo giù. La città è inghiottita dalla discesa, mi appresto a entrare nel suo ventre. Una luce smorzata avvolge i passi che mi portano verso le costruzioni neoclassiche della Baixa. Da lì, come in un gioco di specchi, vedi il castello di Sao Jorge e il quartiere dell’Alfama, irto di strade piccole che declinano in gradini di pietra, così scoscese che possono essere scalate solo al calare del sole. Arrivo nella grande piazza del Rossio e cerco di evitare un mendicante con un volto da incubo, che staziona sempre davanti allo stesso incrocio. Non ha la faccia, non ha più la faccia... Solo un agglomerato di tessuti marroni che pende come una maschera di carne fino all’attaccatura delle spalle. Una donna mi guarda incuriosita, poi volta la testa dall’altra parte all’incrociarmi. Ho tempo, potrei bere un vinho verde e attendere il crepuscolo, pensando a questa città letteraria, a questo luogo dove vorrei vivere i miei ultimi anni". Un saluto. W.
 
   
santiago.gamboa
santiago.gamboa il 29/10/07 alle 15:00 via WEB
è un piacere leggervi, grazie ancora writer e biancoebleu. Di Nasar ho già detto quanto mi sia piaciuto e perché. Invece, di questo "Un tramonto sull'atlantico ha in se qualcosa di definitivo" citazione di uno degli autori da me preferiti, mi piace soprattutto la forza fiabesca. La compenetrazione tra l'ambiente e i luoghi dell'anima è anche eccellente. un saluto, gf
 
blancoebleu
blancoebleu il 29/10/07 alle 19:12 via WEB
Per Claudio. Ho letto più volte ritrovando molti dei miei ricordi in quello che hai scritto, compreso il mendicante con il viso ed il collo invasi da angiomi guttiformi color melanzana grossi come palline da ping pong. Ricordo che riuscii a vincere l'istintivo senso di ribrezzo e gli chiesi se poteva essere operato, mi rispose di no, che non si poteva far niente perchè gli angiomi avevano sostituito completamente la pelle del viso e del collo e le loro radici si diramavano fino al teschio. La pena maggiore me la diedero i suoi occhi ridotti a due piccoli buchi senza palpebre e quelli dei passanti che si rivolgevano altrove. Gli misi fra le mani quel poco che avevo in tasca e me ne andai accompagnato dal suo "No puedo hacer nada, no puedo hacer nada, no puedo hacer nada..." Per Santiago. I tuoi apprezzamenti non possono che farmi piacere, credo che finirò con l'aprire un blog su libero. Un saluto ad entrambi. Paolo
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 29/10/07 alle 22:15 via WEB
Non so se parliamo della stessa persona. Devo dire che l'infermità di quel poveretto era così terrificante che non mi sono fermato a guardarlo con troppa attenzione. Però mi provocò una sensazione violenta di pietà e paura. Se apri un blog su Libero, sarò lieto di inserirti tra i miei link preferiti, blancoebleu. Ciao. W.
 
herice
herice il 30/10/07 alle 14:48 via WEB
nuovo paese, nuova vita..eppure, mi sembra di capire nel finale, che le ombre del passato in qualche modo tornano alla mente.
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 30/10/07 alle 17:54 via WEB
La tua osservazione è interessante, Herice. Però,se ti riferisci a questo passo, "Anzi, guardando con attenzione, si potrebbe percepire una doppia presenza. Un corpetto viola su una gonna gialla e un animale che corre, torna indietro, sembra precedere i propri passi", quelli sono- almeno nelle mie intenzioni- la nuova compagna e il nuovo cane di Antonio Nasar :) Un saluto affettuoso. W.
 
blancoebleu
blancoebleu il 31/10/07 alle 14:49 via WEB
Credo che il mendicante fosse lo stesso, difficile immaginare due persone con una patologia così unica nello stesso posto. Ho aooena aperto il blog e tu sei il primo a saperlo :-)
 
 
falco58dgl
falco58dgl il 31/10/07 alle 16:43 via WEB
Corro a vederlo, Blancoebleu. W
 
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LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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