Creato da falco58dgl il 26/09/2005

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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Farfalla notturna (seconda e ultima parte)

Post n°217 pubblicato il 16 Dicembre 2007 da falco58dgl
 

SEI

"Andiamo".

 "Dove?".

 "A fare un giro".

 "Non è un po' tardi ?"

"Perché, hai da fare domani?"
"No, domani è Sabato, ma non ho tanta voglia di camminare in città alle due del mattino".

"Chi t'ha detto che faremo una passeggiata?"

 "Ma, l'hai detto tu".

 "No, andiamo in stazione. E' qui a due passi."

"In stazione?".

"Marco, non ci senti ? Certo, abbiamo un treno da prendere".

SETTE

Vagoni. Abbandonati su un binario morto. Qualche presenza discreta che sospira e russa negli scompartimenti. Due ragazzi che ridono piano, per non svegliare tossici e barboni, e si raccontano delle storie. Una persona racconta, l'altra ascolta, poi si scambiano le parti. Andrebbero avanti così per ore, tutta la notte, anche se un bagliore metallico annuncia un'alba imminente che colorerà di rosa grigiastro la stazione e le sue bruttezze. Due braccia rotondette intorno ai fianchi di una persona che si muove piano, lentamente, senza rumore, senza fretta, come chi ha preso un ritmo giusto e non vuole perderne il respiro.

 OTTO

 Quel mattino siamo stati insieme fino alle undici, stanchi morti. Siamo andati al mercato e mi muovevo insieme a te come un automa felice, mentre tu sfioravi gabbie di uccellini e ceramiche da quattro soldi. Eri stanca anche tu, Laura, ma il tuo volto aveva preso un colore rosato che m'incantava.

Guardavi le cose di fronte, poi di sbieco, facevi domande strane ai venditori, sembravi incuriosita da ogni cosa, ti muovevi lentamente anche tu, forse appagata. Poi ti sei voltata verso di me e m'hai detto "Vado a casa. Vediamoci domani mattina".  

 NOVE

 Non capiresti. E' meglio una bugia, piuttosto che una verità che non si può comprendere. Ma non posso, non posso proprio. Anche se vado piano, se lascio maturare le cose, mi stanco presto. Se andassi veloce, avrei bruciato la nostra storia in mezz'ora, un altro aborto. Ma anche quando lascio scorrere il tempo senza forzare, posso stare insieme a un uomo per un giorno intero, a volte per una settimana, poi mi stanco e devo trovare un altro con cui riprovare. Altrimenti morirei soffocata dal mio stesso impeto, dalla mia energia. Non è stato brutto, Marco, mi è piaciuto, forse anche troppo. Ma m'annoio in fretta. Già adesso , ripensando alla notte scorsa, rivedo la tua saliva, i tuoi umori, i gemiti come una pietanza andata a male, come qualcosa di passato, morto, annegato nello ieri.
Posso vivere solo così, mi spiace. Ma poi, in fondo, che m'importa?

 DIECI

Laura, dove ti sei cacciata? Dove sei andata a finire? Ti ho telefonato, ti ho cercato al tuo indirizzo, ma non ho trovato nulla, solo una voce di anziana che rispondeva diffidente al citofono. Ho sperato mi chiamassi, sono rimasto tutto il giorno vicino al telefono, fissandolo con apprensione e rabbia.
Pensavo di essermi sbagliato nel trascrivere il numero e mi sono sentito un idiota, poi m'è venuto in mente che quel numero me lo avevi dato tu. Anche il "12" non mi ha dato informazioni utili. Sentivo, mentre il tempo passava, che mi stavo allontanando da qualcosa di prezioso, che s'ingigantiva mentre le ore si univano le une alle altre, inutili come morti. Ma dove cazzo sei? Dove sei andata a finire? Mi resta solo il tram, il 35.

 UNDICI

 E' una splendida giornata, quando Marco esce di casa e gira a destra mettendosi a camminare sul viale. E' in anticipo rispetto al suo orario abituale, cammina lentamente, incurante del sole. Vuole aspettare il tram delle 8 e 14. Arriva alla fermata, attende, finalmente vede il 35 che sferraglia lungo la curva e rallenta per raccogliere le persone in attesa. Marco sale di slancio, si sistema vicino alla macchinetta e guarda dentro.  Dove sei? Dove ti sei cacciata, pensa, non riesce a pensare ad altro. Si volta, va avanti ed indietro, chiede permesso, dà un'occhiata fuori, ma vede solo quei fottuti platani che sembrano prenderlo in giro. Sale un controllore e riesce a obliterare il biglietto per un pelo, scendendo da una porta e risalendo dall'altra come in una comica.
"Cristo". Un sussulto, una tetta più luminosa di un faro, adesso corre verso una ragazza che tiene la testa voltata ed esibisce solo un profilo, un profilo inconfondibile.
"Ciao Laura, dove t'eri cacciata?". Qualcuno si volta, infastidito dall'urlo. La ragazza, invece, è tranquilla . Gira il volto con calma e mormora "Dice a me?".

 

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Rispondi al commento:
cateviola
cateviola il 16/12/07 alle 23:37 via WEB
Se nella prima parte mi era rimasto simpatico Marco, tenero e buffo, ora mi piace Laura. Che brucia tutto in un giorno: leggerezza, incanto, sorpresa, passione effimera, abbandono totale. Solo se e quando saprà (o vorrà) frenarsi, potrà non dare tutto subito, farsi piacere anche tanto, ma non troppo l'uomo del momento e magari fermarsi in compagnia di uno solo. Eccessiva, generosa, bellissima... Marco non mi piace mentre la cerca. E si lamenta. Potrebbe esser contento di averla incontrata, invece che arrabbiarsi perché l'ha persa... Non l'ha persa, in realtà, perché mai l'ha avuta.
Buonanotte, Claudio, un abbraccio
 
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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