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Nel centro barocco di Lecce...

Post n°265 pubblicato il 20 Aprile 2008 da falco58dgl
 

Mercoledì 30 Aprile tornerò a Lecce per presentare il mio romanzo "I racconti del ripostiglio" nel magnifico scenario della piazzetta della Chiesa Greca.

La presentazione si terrà alle 20:00 e sarà introdotta da Stefano Donno e Francesco Tarantino.

Sono molto felice di tornare in Salento. La Puglia è la mia terra d'origine e rivisito Lecce sempre con piacere e coinvolgimento.

Pubblico un breve frammento del romanzo, tratto dal racconto "Giovanna".

Giovanna mi appare in modo casuale, come sempre, come  succede ai distratti. Forse su un autobus o  in un’assemblea del movimento. Noto il suo sguardo un po’ febbrile, le sue movenze affrettate e goffe, i vestiti ordinari e maschili che indossa -jeans e maglione senza camicia-, ma soprattutto il suo viso.

Un viso che mi sembra un incrocio tra quello di una donna orientale e una discendente di antenati latini mandati in esilio su un’isola minore. Non saprei dire se  mi colpiscono di più i suoi occhi, lievemente a mandorla, la bocca piena e grande, gli zigomi pronunciati o il suo sguardo orgoglioso.

Un volto da ricordare, da  segnare nel libro della memoria.

***

La incontro all’università. Parliamo insieme. Mi dice che sta uscendo da una vicenda dolorosa e brutta, di quelle che lasciano strascichi e  fanno sorgere rancori. Le chiedo dove vive, mi risponde mettendomi in mano un foglio a quadretti con un indirizzo scarabocchiato.

Tra le nostre case  c’è  un chilometro scarso di distanza.

La  vado a trovare,  rimango  da lei  fino alle due del mattino. Sorride spesso, ma nel farlo la sua bocca prende una piega amara, come se si sforzasse di provare un po’ di gioia immaginaria, appartenuta ad altre persone, ad altri luoghi.

A un certo punto, senza sapere bene come, la cingo con un braccio intorno alle spalle e mi sorprendo a desiderarla con una forza che mi spaventa. Lei mi guarda sorpresa, mi congeda con una pacca sulla schiena e una battuta scherzosa, di quelle che si fanno agli amici quando si comportano da cretini.

***

Squilla il campanello, apro la porta. Giovanna mi fissa di sbieco. Entra in casa ancora prima che io la saluti. “Mi posso fermare?”.  
Andiamo  a letto insieme senza neanche toccarci. Proviamo a dormire  su un letto a una piazza. Dobbiamo mettercela tutta per evitare che i nostri corpi entrino a contatto.

***

Non riesco a fare l’amore con Giovanna. Mi sento  così emozionato e balbettante che il mio pene non si rizza del tutto. Non riesco a penetrarla.  Il suo corpo s’inarca sotto il mio, ma  qualcosa cui non riesco a dare parole mi frena. Continuiamo  quel balletto incompiuto a lungo, poi lei mi dice in un soffio delicato “Lascia perdere, Igor. Lo faremo un’altra volta”. Mi carezza il viso, mi bacia il collo.

Mi viene voglia di piangere, ma non di vergogna.

***                                                        

 Ce l’ho fatta. Sono entrato dentro di lei. Ma non sono felice. Mi sento strano, una sensazione di irrealtà mi attraversa, ho l’impressione di aver smarrito ogni punto di riferimento abituale. E’ troppo facile, mi  perdo in quello spazio sconosciuto e vuoto. Giovanna  asseconda il mio movimento prima timido, poi più risoluto. Mi muovo  sempre più rapido per ritrovarla, temo di averla smarrita, dimenticata. Dopo l’orgasmo giacciamo a lungo avviluppati senza parlare, ma la sento distante, quasi infastidita[...]

Writer

  

 
Rispondi al commento:
falco58dgl
falco58dgl il 21/04/08 alle 01:24 via WEB
Grazie, Virginia. Ho molta voglia di tornare in Salento. W.
 
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 CLAUDIO MARTINI
"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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