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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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Mirafiori, 1969

Post n°281 pubblicato il 01 Giugno 2008 da falco58dgl
 

Memorie (rielaborate) di un passato lontano...

Dove sarà il “116”? Più avanti, va più avanti, fino all’incrocio con via Pio Settimo. È la casa d’angolo. Hai visto quella cascina in demolizione? Avrà forse 80 anni, che roba. Qui diventerà un polo d’espansione importante, non vedi come stanno costruendo? E tra vent’anni con  le rate mensili del mutuo, potrai comprarti un pacchetto di sigarette. Siamo arrivati, scendiamo.

E’ un appartamento grande, no? Cinque stanze, due bagni e una cucina abitabile. Da un lato si vedono le colline, dall’altro lo stabilimento di Mirafiori. Nelle giornate luminose, dietro la Fiat sbucano le Alpi, quasi una rappresentazione  delle risorse del Piemonte. Qui bisogna abbattere un muro, se vogliamo avere il living più grande. Giorgio, fa attenzione,che diavolo. Non metterti a saltare nell’ingresso, con le scarpe sporche. Non riduciamo la casa a un porcile prima ancora di abitarla.

Hai visto che balconi? Danno il giro alla casa, saranno più di venti  metri  totali. Vieni, affacciati. Non è male, oggi c’è persino il sole, anche se è autunno inoltrato. E’ tiepido, quasi caldo. E laggiù che c’è?

Questo rumore di tamburi e di fischietti da dove viene? Perché tanta polizia? Ehi, guarda un corteo.

Ma sono tanti. Sono i consigli di fabbrica. Lingotto, Rivalta, Settimo, quelli della Lancia, le presse, la carrozzeria, tutto il sindacato della Fiom al completo, gli studenti di Palazzo Nuovo, Lotta continua. Buoni quelli, quando c’è da fare casino ci sono sempre.

Cristo santo, che botto! Ma che cazzo fanno? Tirano le molotov contro la polizia? Questi sono pazzi, a duecento metri da casa nostra. Meno male che abbiamo parcheggiato nel garage. Ferma, non ti muovere. Aspetta un attimo. Chiudi le finestre, non si sa mai, se no entra tutto il fumo.

Ehi, ma stanno mettendo le auto di traverso, per formare una barricata. Bruciano i copertoni, qui finisce male. Metti i bambini in cucina che è più protetto.

Digli che non è niente, che è solo un gioco, tranquillizzali. Come? Io vi rendo nervosi? Ma sei scema? Il casino là fuori l’ho provocato io? Stai lontana dai vetri, per la miseria. Ho visto andare in frantumi  il vetro del portone dall’altro lato della strada. Se un candelotto arriva dentro casa, qui scoppia l’inferno.

“PO-TE-RE  O-PE-RA-IO”. Sì, col cavolo. Quelli che urlano non sono operai, ma studenti e provocatori. “SCU-DO CRO-CIA-TO, FA-SCIS-MO DI STA-TO”. Mi stanno sul cazzo i  D.C., ma perché trasformare Corso Traiano in una bolgia fumante? Cosa sperano di ottenere, se non manganellate e prigione? Certo che sono tanti, tutto il corso è peno. Ma anche i poliziotti sono una marea.

Questi sono colpi da arma da fuoco, porca puttana. Buttati a terra, che siamo solo al secondo piano.  Se usciamo intatti da qui, dovrò  telefonare al geometra per farci restituire la caparra.  

Writer

 

 
Rispondi al commento:
falco58dgl
falco58dgl il 03/06/08 alle 16:12 via WEB
Grazie dell'apprezzamento, Sogno. Nel testo ho mescolato realtà e finzione. Il protagonista è molto preoccupato per la casa che ha appena acquistato, ma non ha tutti i torti, se consideriamo che allora a Corso Traiano ci fu una vera battaglia... :-) Ciao. W.
 
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LA RECENSIONE

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DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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