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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.

 

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GIOVANNA

Post n°62 pubblicato il 11 Dicembre 2006 da falco58dgl
 

immagine                                           ("Il bacio", Gustav Klimt)

I

Quando incontro Giovanna per la prima volta ho quasi ventun anni. E sono ancora vergine. Una fastidiosa fimosi, unita a paure profonde e inconfessate, ostacola i miei desideri. Sono un giovane uomo tutto sbilanciato, a cominciare dal mio aspetto fisico. Ho la netta sensazione, vedendomi allo specchio, che le due metà che compongono il mio corpo, che le due parti del mio volto sono giustapposte in modo casuale e arbitrario, quasi incollate da una mano estranea. Lo squilibrio in realtà è emotivo, lo capisco da me. Il corpo ne costituisce solo un riflesso imperfetto. Avverto grandi ambizioni e limiti più pesanti di pietre che convivono insieme con difficoltà. Avrei voglia di cambiare l’universo, il mio universo, eppure non riesco neanche a vivere una vita ordinaria, fatta di modeste, tenaci abitudini.
Studio e faccio politica, in un momento in cui  tutti, come replicanti, fanno lo stesso. Ma forse sono io che traccio cerchi ripetuti intorno al perimetro della facoltà. 
 Giovanna mi appare in modo casuale, come sempre, come  succede ai distratti. Forse su un autobus o  in un’assemblea del movimento. Noto il suo sguardo un po’ febbrile, le sue movenze affrettate e goffe, i vestiti ordinari e maschili che indossa - jeans e maglione senza camicia- , ma soprattutto il suo viso.
Un viso che mi sembra un incrocio tra quello di una donna orientale e una discendente di antenati latini mandati in esilio su un’isola minore. Non saprei dire se  mi colpiscono di più i suoi occhi, lievemente a mandorla, la bocca piena e grande, gli zigomi pronunciati o il suo sguardo orgoglioso.
Un volto da ricordare, da segnare nel libro della memoria.

II

 

La incontro all’università. Parliamo insieme. Mi dice che sta uscendo da una vicenda dolorosa e brutta, di quelle che lasciano strascichi e  fanno sorgere rancori. Le chiedo dove vive, mi risponde mettendomi in mano un foglio a quadretti con un indirizzo scarabocchiato.
Tra le nostre case  c’è  un chilometro scarso di distanza.
La  vado a trovare,  rimango  da lei  fino alle due del mattino. Sorride spesso, ma nel farlo la sua bocca prende una piega amara, come se si sforzasse di provare un po’ di gioia immaginaria, appartenuta ad altre persone, ad altri luoghi.
A un certo punto, senza sapere bene come, la cingo con un braccio intorno alle spalle e mi sorprendo a desiderarla con una forza che mi spaventa. Lei mi guarda sorpresa, mi congeda con una pacca sulla schiena e una battuta scherzosa, di quelle che si fanno agli amici quando si comportano da cretini.

III

 

Ci rivediamo tre giorni dopo e dopo aver parlato a lungo insieme la bacio, senza pensarci, per precedere  il mio timore. Per una manciata di secondi non vedo niente, solo l’odore della sua pelle e le nostre bocche che s’inseguono con furia. Poi si stacca da me, quasi con rabbia.
“No Igor, non è giusto, non è il momento”. “Perché mi dici questo?”. “Non voglio”. ”Non vuoi?”. “Non questa sera”.
Torno a casa,  stranamente felice e fischietto pensieri incoerenti.

 IV

Squilla il campanello, apro la porta. Giovanna mi fissa di sbieco. Entra in casa ancora prima che io la saluti. “Mi posso fermare?”.  Andiamo  a letto insieme senza neanche toccarci. Proviamo a dormire  su un letto a una piazza. Dobbiamo mettercela tutta per evitare che i nostri corpi entrino a contatto.

V

Non riesco a fare l’amore con Giovanna. Mi sento  così emozionato e balbettante che il mio pene non si rizza del tutto. Non riesco a penetrarla.  Il suo corpo s’inarca sotto il mio, ma  qualcosa cui non riesco a dare parole mi frena. Continuiamo  quel balletto incompiuto a lungo, poi lei mi dice in un soffio delicato “Lascia perdere, Igor. Lo faremo un’altra volta”. Mi carezza il viso, mi bacia il collo.
Mi viene voglia di piangere, ma non di vergogna.
                                                    

VI

Ce l’ho fatta. Sono entrato dentro di lei. Ma non sono felice. Mi sento strano, una sensazione di irrealtà mi attraversa, ho l’impressione di aver smarrito ogni punto di riferimento abituale. E’ troppo facile, mi  perdo in quello spazio sconosciuto e vuoto. Giovanna  asseconda il mio movimento prima timido, poi più risoluto. Mi muovo  sempre più rapido per ritrovarla, temo di averla smarrita, dimenticata. Dopo l’orgasmo giacciamo a lungo avviluppati senza parlare, ma la sento distante, quasi infastidita.
                                                      

VII

Da quel momento la nostra vicenda incomincia a complicarsi, a diventare difficile. Non so bene, ma credo che la mia perduta verginità, il ritrovare i gesti consueti dell’amore sia un ostacolo, una barriera, più che un momento di gioia comune.
Sento che Giovanna s’allontana e io, per evitare d’inseguirla, mi costringo a impegnare le ore che ci separano dal nostro prossimo incontro. La cerco in modo obliquo, facendomi trovare nei luoghi dove spero di  vederla.

VIII

 Facciamo a volte l’amore come due disperati che vedono incombere su di loro una rovina imminente. Poi nulla per una o due settimane. La paura di perderla mi annulla, mi rende simile a un idiota.
 
Giovanna mi è entrata nella carne. L’amo con un’ansia violenta che si propaga come un movimento tellurico e la respinge sempre più indietro. Vorrei che mi colpisse, che mi schiaffeggiasse, che mi sputasse addosso, pur di avvertire un contatto riparatore.
Ma tutto ciò – ora lo posso dire- è l’opposto di quello che lei vuole.

IX

 Andiamo avanti così, con sussulti  e rotture, per quattro mesi. Una sera Giovanna mi vomita addosso tutta la sua rabbia e l’idea che mescoli anche l’odio provocato da altre storie, non mi consola affatto, anzi acuisce il mio dolore fino a  renderlo intollerabile. 
Mi lascia, mi abbandona. 

X

Piango per una settimana, a intervalli che rendono il mio pianto più acre e sincero. Ho un gran desiderio di farmi del male, di provare dolore fisico, o almeno di dormire. Passo invece le notti a inseguire pensieri che si sfilacciano prima di averli afferrati. Vorrei  distruggere anche lei, la parte di lei che mi ha rifiutato.
Basta, le scrivo una lettera e parto. La sto scrivendo. Prima parto, poi gliela mando. Metto su carta parole incoerenti, che oscillano tra il rifiuto e la supplica, tra l’orgoglio e il panico.
Vado via – per un viaggio che non si è ancora esaurito -, ma non ho spedito la lettera. Solo oggi, dopo un nuovo incontro con un altro volto e un corpo differente, ho stracciato in tanti pezzi il foglio di carta e l’ho buttato via, senza stare a pensarci troppo.

  Writer

http://www.writer-racconti.org/

 
Rispondi al commento:
falco58dgl
falco58dgl il 13/12/06 alle 15:54 via WEB
Grazie di cuore, saralhd. Sono contento che tu abbia apprezzato il racconto. Un saluto a te. Writer.
 
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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