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La coperta corta dei trasporti

Post n°3071 pubblicato il 26 Novembre 2013 da ninograg1
 

di Marco Ponti | 26 novembre 2013

I trasporti terrestri, dal punto di vista delle finanze pubbliche, si dividono in due tipi: quelli che assorbono risorse pubbliche (ferrovie e servizi urbani, per circa 10 miliardi all’anno) e quelli che generano entrate, rilevantissime, allo Stato, che sono i trasporti stradali (circa 50 miliardi all’anno tra accise sui carburante, tasse di circolazione ecc). Questi sono fatti, non opinioni.

Ora, la conseguenza politica immediata di questa situazione sembra semplice: bisogna decidere le priorità sociali, se le risorse pubbliche sono scarse. E questo richiede un dibattito democratico che finora la politica non ha mai voluto fare: è più importante la sanità, l’istruzione, la casa, la tutela di chi perde il lavoro, o la mobilità pubblica? 

Secondo molti analisti, i trasporti passeggeri sono un “bisogno derivato”, rispetto per esempio alla sanità o al lavoro o alla casa, quindi rappresentano bisogni meno prioritari. Dal punto di vista sociale poi una serie di ricerche (Istat, Censis, Bain) ha definitivamente dimostrato che non è più vera la distinzione “automobile uguale redditi elevati, trasporto pubblico uguale redditi bassi”. Vi sono clamorosi fenomeni di inversione del fenomeno: redditi medi che usano di più i trasporti pubblici iper-sussidiati, categorie operaie che usano di più, per ragioni di mercato della casa e di assetto territoriale, l’ipertassata auto privata.

Il trasporto merci, a causa del tipo di produzione italiana (industrie medio-piccole), è difficilmente spostabile sulla ferrovia. E si tassa moltissimo il carburante, arrabattandosi poi nei modi più irrealistici per ridurre altri costi alle imprese. Anche i vari Tav rientrano in questo quadro delirante, ma funzionale a interessi che con lo sviluppo industriale hanno poco a che spartire. 

Tornando ai passeggeri, nessuno con quanto detto intende, come invece minacciano molti “coccodrilli politici”, che occorra tagliare servizi essenziali per chi non ha la macchina, ma di farli pagare almeno come nel resto d’Europa. È molto più grave perdere il lavoro perché un trasporto pubblico è stato tagliato, che non pagare una tariffa “europea”, cioè solo un po’ meno sussidiata, o ridurre il deficit del settore introducendo un minimo di vera concorrenza. Ma la minaccia di tagli è più efficace, visto che i soldi vengono dallo Stato centrale, dopo il non casuale fallimento dell’autonomia finanziaria del settore.

Un aspetto paradossale riguarda le ferrovie locali, sempre all’onore delle cronache pur riguardando meno del 10% dei pendolari totali: i treni più socialmente utili non richiedono molti sussidi. Infatti i treni pieni, che sottraggono inquinamento e congestione alla strada, si ripagano anche con tariffe ragionevolmente basse. I sussidi vanno a treni semivuoti, facilmente sostituibili con autobus, anche sulle lunghe distanze (forse non tutti sanno poi che le categoria a più basso reddito, gli extracomunitari, viaggiano sulle lunghe distanze in autobus, che hanno tariffe inferiori a quelle del treno pur non essendo sussidiati dallo Stato). Cioè, noi non sussidiamo i trasporti pubblici alle categorie a reddito più basso, che se li pagano da sé.

Si potrebbe accettare gli attuali livelli di sussidio (cioè la rinuncia alle risorse necessarie per altri servizi sociali, forse più urgenti), se si fosse certi dei risultati. Ma dopo trent’anni di politiche severissime di tassazione della strada e di sussidi al trasporto pubblico, i risultati appaiono molto modesti. E occorre mettere in relazione questa “diabolica perseveranza” con la lobby che la sostiene, che è costituita da società pubbliche, capaci di generare grandi fenomeni di “voto di scambio”. Né si può dimenticare che dal punto di vista occupazionale la ferrovia è un modo “ad alta intensità di capitale”, al contrario della strada.

Per i problemi ambientali poi, l’ipotesi di puntare su politiche basate sull’innovazione tecnologica del modo dominante, quello stradale, sembra dunque un’alternativa da considerare con la massima attenzione, visto che già l’industria automobilistica (non certo per buon cuore) sta investendo fiumi di soldi su propulsori innovativi.  D’altronde questa è anche la linea della massima autorità mondiale sull’ambiente, l’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) delle nazioni Unite . E questa linea sembra sistematicamente ignorata nelle politiche attuali.

Obiezione possibile: ma non insistendo con politiche mirate al cambio modale, rimarrebbe irrisolto il problema della congestione stradale. Vero, ma l’Italia è già satura di automobili, e demograficamente non cresce. Non ci sono rischi di “asfaltatura del territorio”, se si fanno un po’ di strade in più, e solo dove servono. E non si può dimenticare che il suolo non verrebbe sottratto all’agricoltura economicamente sana (che ne occupa molto poco), ma a quella estensiva ed inquinante che si regge su un sistema di sussidi costosissimi e iniqui. Se questi sussidi cessassero, e si lasciasse che i paesi più poveri del mondo ci vendessero i loro prodotti, ogni “scarsità di suolo” in Italia cesserebbe dalla sera alla mattina. Ma questo è un altro discorso…

p.s.

trovo illuminante la leggerezza con cui l'autore di questo articolo liquidi con poche parole quelli che sono decenni di studi che mirano, tutti, a dimostrare come il trasporto su gomma, e gli incentivi dati dallo stato alla costruzione delle autostrade, abbia creato delle situazioni insostenibili nelle città, sia grandi che piccole, sia dal punto di vista ambientale che di sostenibilità stessa della qualità della vita: da cui la scelta, corroborata anche da un referendum, di spingere per una sostituzione del trasporto privato da scoraggiare in favore di uno pubblico, com'è quasi dappertutto in giro per l'europa, che sia non solo diffuso ma svolto in "economia (come sostiene la costituzione)" e sostenibile per le casse: come mai invece è un buco nero mangiasoldi? La risposta è talmente ovvia che dovrebbe essere lamapante anche a chi vive con le bistecche sugli occhi fin da piccolo: la politica, l'aziendalizzazione e il sindacalismo corporativo; un mix devastante per quelli che dovevano essere nient'altro che servizi, non importa se dovuti a "bisogni derivati" o meno, che gli enti pubblici offrono a un certo prezzo politico come alternativo all'auto permettendo con ciò una diminuzione dei costi sociali e sanitari, per quanto riguarda i cittadini, e di manutenzione per quanto riguarda strade e autostrade (peraltro tassatissime). Stesso discorso, per quanto mi riguarda, vale per le ferrovie: c'è il tav, in passivo profondo e finanziato tutto con soldi pubblici ma che pochissimi usano, e c'è tutto il resto: regionale, intercity e merci che è alla deriva per essere buoni ma in realtà alla canna del gas per essere realisti; la scelta di base è stata la stessa; privatizzare senza toccare la natura del servizio ossia:società pubbliche al vertice, in pratica amministratori pubblici (spesso trombati o in ascesa che sono messi lì a scaldarsi i muscoli con stipendi d'oro e che se ne fregano di come va l'azienda) ma private nei fatti quindi il cittadino che avesse rimostranze da fare o suggerimenti non ha a che fare con pubblici ufficiali ma ..... privati con fior di studi legali e un apparato elefantiaco costruito non per soddisfare l'esigenza del bene comune ma ..... bloccarlo e reprimerlo; una volta avvenuta, ossia dopo essersi mangiato tutto, la spoliazione può essere messa sul mercato al prezzo minimo e senza tante cautele. Chi ne paga le conseguenze? I cittadini, innanzitutto e i lavoratori, che perdono quella cultura del lavoro base di ogni condivisione, che diventano preda dei sindacati e delle spinte corporative e autodistruttive che vediamo dal '92 in poi.....

è appena il caso di riocrdare che i servizi pubblici, essenziali o meno, sono una prerogativa delle società avanzate perchè non sono altro che un aspetto della gestione del territorio in tutti i suoi aspetti: nessun privato si prenderebbe, a meno di non essere pagato a peso d'oro, una tratta non economica ma l'aspetto importante non è il suo essere economica o meno ma quanti cittadini la usano evitando di prendere la macchina e come sono invogliati a farlo dalla qualità dei mezzi di trasporto (per esempio è invogliare i cittadini a prendere treni a diesel stravecchi, le famose littorine, sulla tratta Lucca-Aulla, se - oltre che ad essere inquinanti - .... ci piove dentro?) e dalla loro puntualità: non è un caso che nella patria delle privatizzazioni selvagge, la Gran Bretagna, ci si sia accorti ora che, come sono diventate le aziende-spezzatino di trasporto che sono nate dal thatcherismo, non funzionano e sono anche pericolose, più di quelle italiane.

E' questione di filosofia, non solo politica, ma proprio di filosofia di base del trasporto, dei suoi obiettivi e dei suoi fini: a volte possono essere privati ed essere fallimentari e pubblici ed essere efficienti, capita che il trasporto possa essere privato, come negli usa, ed essere efficiente ...... capita; ma quand'è il contrario c'è sempre un problema di fondo: l'etica della politica che è chiamata a gestire la cosa pubblica; a chi risponde davvero?

 
 
 
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