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Messaggi di Dicembre 2018

Savona: “Italia rischia recessione. Dobbiamo agire”

Post n°4357 pubblicato il 06 Dicembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 6 dicembre 2018, di Alessandra Caparello

 

L’allarme per l’Italia non arriva questa volta da un organo europeo bensì da quel ministro che fu causa dell’impasse all’indomani delle elezioni politiche: Paolo Savona, titolare del dicastero degli Affari europei.

 L’Italia non può attendere la lenta transizione che nel 2019 porterà a un nuovo parlamento europeo, a una nuova Commissione e a un nuovo vertice della Bce perché deve fronteggiare i rischi di una recessione produttiva e quindi il nostro dovere è agire.

Così  il ministro intervenendo alla presentazione del libro di Roberto Sommella ‘Gli Arrabbiati’ in cui ha sottolineato comunque “indubbia capacità dell’organizzazione europea di creare stabilità finanziaria e monetaria ma non di creare sviluppo”.

Alle parole del ministro Savona hanno fatto eco quelle del deputato del Pd Francesco Boccia.

 “L’Europa è troppo grande per essere unita ma è grande anche per essere divisa. Nei secoli in cui è stata divisa ci sono stati danni inenarrabili che hanno scritto le pagine più tristi della storia. (…) Merkel, Juncker, Orban sono i rappresentanti di una politica lontana anni luce dall’idea di un’Europa sociale che abbiamo il dovere di costruire (…) Le intelligenti provocazioni e gli stimoli del prof. Savona devono essere strumenti straordinari per aprire una discussione franca sul futuro dell’Europa, sapendo che l’Italia, come diceva Longanesi, è stata il cuore dell’Europa; e il cuore non è né il braccio nè la testa e questa è la nostra grandezza e il nostro stesso limite. Il libro di Roberto Sommella stimola le forze politiche a indicare una strada per l’Europa che vogliamo e che sarà, inevitabilmente, il tema cruciale della prossima campagna elettorale per le europee”.

 

 
 
 

Tra Cina e Usa torna il gelo. In dubbio accordi G20

Post n°4356 pubblicato il 05 Dicembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 5 dicembre 2018, di Mariangela Tessa

 

Dopo l’iniziale euforia per la tregua commerciale raggiunta al G20, il mercato guarda con preoccupazione alle relazioni Usa e Cina mentre tra i due paesi sembra essere tornato il gelo.

Il motivo? La Cina a quanto pare si dice confusa dalla versione dell’amministrazione Trump in merito a quanto accaduto lo scorso fine settimana a Buenos Aires. Dopo l’incontro chiave tra il presidente Usa Donald Trump e il cinese Xi Jinping, alcuni funzionari di Pechino si dicono “sconcertati e irritati” dal comportamento dell’amministrazione Trump, ha riferito un ex funzionario del governo USA al Washington Post.

“Quando stai negoziando con i cinesi, non puoi rendere pubbliche tutte le loro concessioni. È solo follia “ ha detto al Post l’ex funzionario.

Dopo l’incontro dei due leader mondiali, la Casa Bianca ha affermato che i due paesi hanno accettato una tregua di 90 giorni nella guerra dei dazi.

Ma anche su questo punto non sembrano esserci certezze: il quotidiano americano ha riferito che i cinesi non hanno riconosciuto una scadenza di 90 giorni per i colloqui così come non hanno detto che avrebbero “immediatamente” aumentato gli acquisti di beni agricoli statunitensi, come riferito.

Ci sarebbero dunque “differenze significative” tra le versioni dei due governi di ciò che è stato concordato durante la cena, secondo il Post.

Sui mercati, intanto, è già finita l’euforia. Dopo i guadagni di lunedì, ieri Wall Street ha chiuso in forte ribasso sulle preoccupazioni che qualsiasi ritardo nei negoziati possa di far saltare una soluzione concreta.

 

 
 
 

Andalusia, l’estrema destra scuote la Spagna. Ma Vox ha molte contraddizioni

Post n°4355 pubblicato il 04 Dicembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Mondo | 4 dicembre 2018 

 

 

La prima leader europea a far sentire la sua voce per il successo dell’estrema destra nelle elezioni in Andalusia è stata Marine Le Pen. È bastato un tweet di soddisfazione per esprimere la vicinanza tra il Fronte nazionale francese e Vox, movimento guidato da Santiago Abascal che si inserisce nel solco della destra identitaria e protezionista affermatasi all’altro capo del mondo.

Abbiamo avvicinato Miguel Mora, direttore della rivista Contexto – per anni corrispondente da Roma de El País – il quale ci ha spiegato: «E’ un risultato effetto di varie cause, la cavalcata globale Trump-Bolsonaro, l’ “austericidio” europeo, il logorio del partito socialista (Psoe) da troppo tempo vicino alle lobby dei potenti e la questione catalana, capace di accendere la fiamma del nazionalismo».

E’ così che la ‘regione rossa’ di Spagna, terra dell’ex premier Felipe Gonzalez da sempre fortino inespugnabile del Psoe, rischia di passare nelle mani di una coalizione di destra: i conservatori del Partido Popular, la formazione di centro Ciudadanos e Vox, il nuovo partito che per la prima volta entra nelle istituzioni con un bottino di 400mila voti (il 10,96%) e ben 12 deputati. Un raggruppamento che raggiunge i 59 seggi, 4 al di sopra della soglia richiesta per la maggioranza assoluta.

In queste ore a Cordoba, Malaga e Siviglia, principali centri andalusi, migliaia di manifestanti, principalmente giovani, occupano le piazze al grido comune “Aquí están los antifascistas”.
E pur di fermare l’avanzata della ultradestra c’è chi avanza l’ipotesi di un accordo tra le forze progressiste, il Psoe e Podemos (presentatosi sotto le insegne di Adelante Andalucía), e i centristi di Ciudadanos, aspri antagonisti delle formazioni di sinistra sul fronte scivolosissimo della questione indipendentista in Catalogna.

A poche ore dallo scrutinio Vox ha già scosso la Spagna. Il paese adesso si interroga, ma al di là delle letture sulle controversie interne o sulle consolidate tendenze transnazionali è sufficiente un approfondimento sul microcosmo dei piccoli centri per capire di più. A El Ejido, un agglomerato di 90mila abitanti disteso lungo le enormi coltivazioni intensive della provincia di Almeria, Vox è il primo partito. Lo stesso accade a Albuñol, centro rurale con chilometri e chilometri di serre a coprire una terra fertile, qui un terzo dei 7mila abitanti sono magrebini, impegnati principalmente nel lavoro nei campi, come succede da noi nella piana di Eboli, nel ragusano o nell’agro-pontino.

Un voto contro l’immigrazione, l’argomento principe della formazione di destra.
Nel programma di Vox si legge di un controllo rigoroso dell’immigrazione, con restrizioni per il lavoro delle Ong, un rigoroso sistema di quote d’ingresso e la ferma preclusione per gli irregolari di oggi di sanare la loro posizione in futuro. E poi temi identitari che sanno di “reconquista”: stretta sulla cultura musulmana, un secco ‘no’ all’entrata della Turchia di Erdogan nella Ue, maggiore peso della Spagna sulla scena internazionale, antichi fasti da rinvigorire.

Con una contraddizione finale che ha il sapore del paradosso: Vox vuole recuperare Gibilterra, territorio non autonomo sotto influenza della Corona britannica, e proteggere con mura altissime Ceuta e Melilla, enclavi spagnole nel nord-Africa. Come dire, le nostre vecchie espansioni territoriali sono manifestazione di vitalità, il piede in casa è segno di decadenza…

Mondo | 4 dicembre 2018

 

 

 

 
 
 

Manovra, Goldman Sachs: “Pressione dei mercati imporrà disciplina di bilancio”. Dombrovskis: “Cambio di toni non basta”

Post n°4354 pubblicato il 03 Dicembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano di | 3 dicembre 2018

Il “più probabile catalizzatore per un ritorno alla disciplina di bilancio” sarà “un’ulteriore pressione dei mercati“. In questo momento “l’Italia getta una nube scura” sullo scenario dei mercati in Europa e “le cose potrebbero dover peggiorare prima di vedere un miglioramento”. E’ la previsione della banca d’affari Goldman Sachs, che interviene dopo un fine settimana che doveva essere decisivo ma durante il quale la maggioranza Lega-M5s non ha trovato la quadra sull’eventuale modifica ai saldi della legge di Bilancio e in particolare sulla riduzione del rapporto deficit/pil. Secondo gli analisti di Goldman, dopo la retromarcia della crescita registrata nel terzo trimestre 2018 l’economia italiana all’inizio del prossimo anno “flirterà con la recessione” e il pil nel 2019 aumenterà solo dello 0,4 per cento, contro l’1,5% previsto dal governo.

Intanto il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis ha ribadito le richieste di Bruxelles, spiegando che il “cambio di tono” delle ultime settimane, con il governo italiano che appare “pronto a discutere e impegnarsi a cambiare la sua traiettoria di bilancio”, è ben accetto ma non basta: “Non si tratta solo di cambiare il tono della discussione ma di avere una correzione consistente“. L’iter della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, come confermato dal commissario agli affari economici Pierre Moscovici, va quindi avanti, in parallelo con l’avanzamento della manovra a Roma. I ministri dell’economia riuniti nell’Eurogruppo lunedì hanno dato il via libera alle conclusioni sui piani di bilancio 2019, nelle quali appoggiano le opinioni della Commissione inclusa quella sulla manovra italiana anche se si dicono a favore della prosecuzione del dialogo tra governo italiano e Commissione.

La “strategia” espansiva di bilancio “che il governo italiano ha adottato” con la manovra economica per il 2019 “non sembra funzionare ed è importante per l’economia italiana che questa strategia venga corretta”, ha aggiunto Dombrovskis, facendo riferimento alla tesi sostenuta dal governo secondo cui l’aumento della spesa in deficit dovrebbe spingere la crescita del pil fino all’1,5% l’anno prossimo. Un numero sempre più difficile da raggiungere alla luce degli ultimi dati Istat. “Ci sono nuove proposte e idee sul tavolo che vanno nella giusta direzione”, ha confermato Moscovici, “ma il gap con le regole del Patto di stabilità è ancora ampio e quindi ancora non ci siamo“.

Secondo Repubblica e La Stampa, il ministro dell’Economia Giovanni Tria dal G20 di Buenos Aires ha confermato che la trattativa con la Ue si sta concentrando su una riduzione del deficit/pil dal 2,4 all’1,9-2%. Ma il mandato a negoziare è stato attribuito ufficialmente dai vicepremier e azionisti di maggioranza Luigi Di Maio e Matteo Salvini al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Alla domanda se sia possibile trovare un punto di incontro su un numero vicino al 2%, Dombrovskis non ha voluto commentare, limitandosi a dire che “dove siamo è largamente noto: secondo la decisione del Consiglio di luglio l’Italia dovrebbe effettuare una correzione strutturale pari allo 0,6% del pil, invece vediamo, secondo i piani dello stesso governo, un deterioramento dello 0,8%. Secondo le previsioni della Commissione è anche peggio, è un deterioramento pari all’1,2% del pil. Vediamo che la differenza è molto grande. Anche la correzione che serve è molto sostanziale, ma non posso commentare ogni decimale di punto”.

Intanto lunedì mattina in commissione Bilancio alla Camera è ripreso l’esame degli emendamenti, dopo che nel weekend il Carroccio e i pentastellati hanno presentato un pacchetto di 54 proposte di modifica. Assenti, al momento, le norme sui due cavalli di battaglia del governo giallo-verde: reddito di cittadinanza e quota 100 per andare in pensione. Su questo la partita si giocherà tutta al Senato. In nottata dopo un lungo empasse la commissione ha votato per un’ora approvando una sola proposta di modifica, che introduce una detrazione forfettaria di 1000 euro per i cani guida. E l’esame potrebbe proseguire a oltranza anche venerdì notte. L’arrivo in aula è previsto per mercoledì 5 ed è slittato dalla mattinata alle 14.

di | 3 dicembre 2018

 
 
 

L’austerità è inutile. Il problema non è lo spread, ma la qualità della manovra

Post n°4353 pubblicato il 02 Dicembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 1 dicembre 2018 

 

di Felice Roberto Pizzuti *

Spread e reazione dei mercati possono compromettere l’efficacia della manovra economica italiana? Felice Roberto Pizzuti contesta questa tesi di Blanchard e Zettelmeyer e spiega che quello che conta non è lo spread ma la qualità delle misure previste.

1. Nel dibattito sulla Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza (Nadef) 2018 si evidenziano contributi anche autorevoli che, tuttavia, rischiano di aumentare gli elementi di confusione che lo caratterizzano. La manovra, anche per come viene presentata dal governo nelle trattative con l’Unione europea, presenta delle criticità che ne pregiudicano l’efficacia e, nel suo insieme, mostra di non avere la visione di lungo respiro necessaria ad affrontare i problemi organici della nostra economia, approccio che sarebbe particolarmente congruo all’inizio di una legislatura “di cambiamento”. Tuttavia, le critiche che la manovra merita non dovrebbero distogliere l’attenzione dalla maggiore pericolosità insita in altri ingiustificati rilievi che le sono rivolti, con i quali si cerca di riproporre la stessa concezione economica della “austerità espansiva” già rivelatasi molto dannosa non solo per il nostro Paese, ma per la stessa costruzione europea la quale, peraltro, è resa sempre più necessaria dall’evoluzione degli equilibri economici e politici globali.

2. In un articolo tradotto sulla Voce.info del 27 ottobre, Olivier Blanchard (tra l’altro, ex capo economista del Fmi) e Jeromin Zettelmeyer (tra l’altro, ex direttore generale per le politiche economiche del Ministero tedesco degli Affari economici e l’energia), attualmente entrambi membri del Peterson Institute for International Economics, sostengono che l’obiettivo della crescita del Pil perseguito dal governo italiano con l’aumento del deficit di bilancio al 2.4% non sarà raggiunto, poiché l’intento espansivo sarà più che compensato dall’effetto contrario derivante dall’aumento dei tassi d’interesse provocato dalla stessa manovra.

I due autori concordano che “nonostante ‘strette fiscali espansive’ e ‘espansioni fiscali restrittive’ siano teoricamente possibili, una politica fiscale espansiva generalmente aumenta la produzione e una restrittiva la rallenta – anche in Paesi con un alto debito pubblico”. L’affermazione (almeno la parte successiva alla virgola) può sembrare scontata, ma va considerato che, nei due decenni a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, molti economisti appartenenti al mainstream del pensiero economico e istituzioni economiche internazionali come il Fondo monetario internazionale (Fmi), hanno sostenuto e applicato la tesi che le politiche di consolidamento fiscale (cioè di riduzione del debito) favorirebbero la crescita. Secondo questa posizione, che si riassume nell’ossimoro della “contrazione o austerità espansiva”, l’effetto restrittivo esercitato dalla riduzione della spesa pubblica e dall’aumento del saldo dei bilanci pubblici sarebbe più che compensato dal loro stimolo espansivo sulla spesa privata, con il risultato complessivo di favorire la crescita. L’effetto espansivo delle politiche di “austerità” era considerato tanto più efficace quanto maggiore era elevato il debito pubblico. Successivamente, una consistente serie di studi analitici ed empirici ha dimostrato l’inconsistenza di queste posizioni.

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* Sapienza Università di Roma

 

 

 
 
 

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