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Messaggi di Settembre 2018

Lussemburgo, covo degli evasori fiscali europei

Post n°4308 pubblicato il 19 Settembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 10 marzo 2017, di Alberto Battaglia

 

Il Gran Ducato del Lussemburgo è già ben noto per le pratiche attraverso le quali è riuscito ad attirare grandi quantità di capitali esteri; non ultime, le agevolazioni che esso avrebbe concesso a grosse società come, ad esempio, Amazon (il caso è noto giornalisticamente come “Luxleaks”).

Meno evidenza era stata data fino ad ora, invece, al ruolo che il Lussemburgo avrebbe avuto nel favorire il riciclaggio di somme guadagnate illecitamente. Un indizio, però, emerge chiaramente da una tavola pubblicata dal Financial Times, elaborata sui dati della Bce: il Lussemburgo dall’introduzione dell’euro, ha stampato moneta fisica in quantità pari “a Belgio, Irlanda, Olanda e Spagna” messe assieme. Un po’ strano per un Paese così piccolo. In Europa, solo Germania, Francia e Italia (le tre più grosse economie del blocco comunitario) hanno stampato più denaro.

Una possibile spiegazione, scrive il Financial Times, sta nell’eventualità che numerosi soggetti possano aver convertito in contanti guadagni illeciti che erano depositati presso banche lussemburghesi; così facendo avrebbero prevenuto eventuali accertamenti a loro carico portandosi a casa (oltre confine) il denaro. I dati Bce “implicano che circa 100 miliardi di euro potrebbero essere stati oscurati al fisco in questa maniera dall’introduzione dell’euro”, scrive il Financial Times.

Il sospetto che sollevano questi dati è grande, ma le ragioni per essere ottimisti su possibili cambiamenti in futuro scarseggiano.

“Dato l’uomo che era a capo del Lussemburgo durante la maggioranza del periodo e la sua posizione attuale, vi lasciamo stimare la probabilità che possano esserci risorse investigative volte a determinare se questo genere di criminalità è in corso”, scrive con una certa ironia il Financial Times. Per i pochi che non l’avessero intuito, l’ex premier del Lussemburgo in questione è l’attuale presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.

 

 
 
 

Lehman Brothers, salvando l’alta finanza abbiamo creato solo disuguaglianze

Post n°4307 pubblicato il 18 Settembre 2018 da ninograg1
 

Fonte Il Fatto Quotidiano Economia Occulta | 16 settembre 2018 

 

 

Questa settimana tra gli impuniti del crollo della Lehman Brothers c’è stato chi ne ha festeggiato l’anniversario perché per costoro sono stati dieci anni di grassa, basta ricordare che l’indice Standard & Poor durante questo periodo è salito del 325 per cento. L’alta finanza, dopo il crollo ha ricominciato a fare ciò che faceva prima, giocando con una leva finanziaria semplicemente più piccola. Chi ha pagato il conto è la classe media e quelle più basse.

Tuttavia è presto per poter esprimere un giudizio sul 2008, dieci anni sono troppo pochi per analizzarne le conseguenze socio-politiche. Forse si potrà farlo alla fine del XXI secolo, in fondo più la prospettiva storica è lunga meglio è. Possiamo però immaginare cosa scriveranno gli analisti e gli storici di fine secolo. In primis è molto, molto probabile che il concetto di villaggio globale non esisterà più, è possibile che la globalizzazione avrà ingoiato gli stati nazione dando vita a super-nazioni, e.g. Usa, Cina, Russia, circondate da stati o regioni satelliti; oppure torneremo alla decentralizzazione politica antecedente la nascita dello stato nazione, con città stato come Singapore, regioni più o meno piccole sotto il controllo di ricchi signori o di regimi totalitari, come la Turchia.

Neppure l’internet sarà più quella forza democratica prorompente, o sarà censurato, o l’accesso non sarà più libero o sarà talmente pieno di fake news che diverrà impossibile distinguere il vero dal falso. Fantapolitica? E perché no, in Italia in fondo ci viviamo dentro da tempo. Per confermarlo basta porsi un paio di domande: avreste creduto possibile un anno fa che il Movimento 5 Stelle si sarebbe alleato con la Lega per governare il paese? E avreste mai pensato che uno dei fautori di questa alleanza sarebbe stato Steve Bannon, il sacerdote della destra americana, consigliere speciale di Donald Trump durante la campagna elettorale? Eppure è successo.
La fantapolitica ormai ci offre un’immagine più realista dell’analisi politica classica del mondo in cui viviamo. Ed ecco un bell’esempio di surrealismo.

Macron, il Pd, il Movimento 5 Stelle litigano sulla paternità del concetto di reddito di cittadinanza anche se nessuno di loro lo ha mai realizzato. Poco importa che l’assegno mensile realmente esista e che ci siano i soldi perché’ non venga emesso a vuoto, l’importante è sostenere che lo stato è finanziariamente responsabile dei cittadini che non hanno un reddito. Seguendo questa logica, secondo me lo Stato viene descritto come un ente assistenziale piuttosto che l’espressione politica, economica e sociale di un popolo.

Non sarebbe meglio domandare allo Stato un’economia in grado di offrire lavoro ed un salario equo a tutti? Come succedeva ai tempi del socialismo classico? Ma questo nessuno lo può fare, non solo perché pronunciare la parola “socialismo” è rischioso quanto dichiararsi pedofili, ma perché né Macron, né il Pd e tantomeno i pentastellati o il loro socio Salvini o qualsiasi politico in carica controllano il sistema economico occidentale. E la prova è come fu gestita la crisi del 2008.
Alla fine del secolo sarà divulgata anche un’altra verità. Il salvataggio dell’alta finanza e delle élite del denaro, che la guidavano nel 2008, avvenuto per evitare una catastrofe simile a quella del ’29 ne ha creata un’altra, altrettanto drammatica: l’avvento delle diseguaglianze.

Quella tra i ricchi e la classe media, ormai alle soglie della povertà, è solo uno delle tante. Esiste anche la diseguaglianza di razza, di nazionalità, di sesso, di chi ha un lavoro e di chi non lo ha e così via, concetti di esclusione che circolano regolarmente nelle democrazie occidentali e che sono appoggiati, non solo tollerati, da una fetta della popolazione in costante aumento. Quando Salvini lancia lo slogan “prima gli italiani” non fa che tradurre quello di Trump “make America great again”, si tratta dei messaggi della politica di esclusione dove il mandato è occuparsi delle proprie pecore e disinteressarsi del gregge altrui, a meno che questo pascoli nello stesso prato nel qual caso va cacciato.

Il messaggio politico vincente oggi è quello che distingue e classifica gli individui secondo criteri non universali ma nazionali o razziali. In altre parole, gli uomini non sono più uguali come si pensava ai tempi della rivoluzione francese o della dichiarazione di indipendenza americana o della nostra costituzione, sono diversi. Dato che l’uguaglianza non esiste, allora bisogna a tutti i costi difendere i propri privilegi, proteggerli da chi è più in alto o più in basso nella piramide sociale. Per farlo ci vogliono guerrieri politici, gente disposta a tutto per difendere il proprio gregge, politici come Trump, Salvini, Orban.

Ecco la genesi della rivoluzione della destra occidentale che sta per travolgersi. Alla fine del XXI secolo scriveranno che a partorire questo mostro fu proprio il grande crollo finanziario del 2008 e forse avranno ragione.

 

 

 
 
 

Germania: “Europa sull’orlo di una guerra civile”

Post n°4306 pubblicato il 17 Settembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Wall Street Italia 17 settembre 2018, di Daniele Chicca

 

L’Europa è sull’orlo di una guerra civile. Lo avrebbe riferito off-the-record un politico tedesco al giornalista di orientamento conservatore e libertario James Delingpole, che ha lavorato per diverse testate inglesi tra cui il Daily Mail, il Daily Express, il Times, il Daily Telegraph e The Spectator.

Delingpole, vicino all’alt-right americana (la destra radicale e populista), racconta di aver trascorso le ultime settimane a Francoforte, in Germania, dove si respira un clima di tensione per via della politica di apertura ai rifugiati e richiedenti asilo politico del governo.

Secondo le cifre ufficiali in Germania sono arrivati 1,5 milioni di migranti da quando la cancelliera Angela Merkel ha deciso di accogliere cittadini siriani e altri popoli in fuga dalla guerra favorendo milioni di domande di asilo.

Stando agli ultimi sondaggi politici, se si andasse a votare oggi il partito di estrema destra anti immigrazione Alternative für Deutschland (AfD) otterrebbe circa il 16% dei voti su scala nazionale, una percentuale che potrebbe essere sufficiente a diventare il secondo partito più influente nella prima economia d’Europa.

Tuttavia, osserva Delingpole in un articolo provocatorio, è “la discrepanza enorme” tra il pensiero delle élite al potere in merito alla questione dell’immigrazione e quelli che sono l’opinione pubblica e il pensiero dominante della gente comune, che potrebbe scatenare un conflitto intestino in Europa, la quale è chiamata a delle elezioni chiave l’anno prossimo, tra il 23 e il 26 maggio.

Da un sondaggio condotto quest’estate è emerso che il 62% dei cittadini tedeschi vorrebbe che i migranti senza documenti che arrivino al confine siano respinti, appoggiando quindi la linea dura del ministro degli Interni Horst Seehofer, mentre l’86% sarebbe favorevole ad accelerare le espulsioni di quelli che si sono visti negare le cui richieste di asilo.

 

 
 
 

Savona presenta riforma Ue, per renderla “più forte e più equa”

Post n°4305 pubblicato il 13 Settembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Wall Street Italia 13 settembre 2018, di Alessandra Caparello

 

Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa è il titolo di un documento che il Ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona, comunica di aver inoltrato a Bruxelles.

“Il Governo italiano riconosce che il mercato comune, di cui l’euro è parte indispensabile, è componente essenziale del suo modello di sviluppo, ma ritiene che l’assetto istituzionale dell’Unione Europea e le politiche seguite non corrispondano pienamente agli scopi concordati nei Trattati. La crisi finanziaria globale esplosa nel 2008 ha mostrato i limiti delle istituzioni create soprattutto dal 1992 in poi e le conseguenze insoddisfacenti delle politiche seguite. Anche l’accelerazione dei flussi immigratori illeciti ha mostrato analoghi limiti istituzionali nelle scelte e ha creato uno stato di tensione intraeuropeo pericoloso per il futuro dell’Unione”.

Il riferimento a una politeia invece della consueta governance – si legge in una nota pubblicata sul ministero e a firma proprio di Paolo Savona –  è dovuto al fatto che la prima esprime una politica per il raggiungimento del bene comune, mentre la seconda – mutuata dalle discipline di management – indica le regole di gestione delle risorse. Politeia è quindi qualcosa di più di governance.

Il documento analizza tre argomenti:

  1. L’architettura istituzionale della politica monetaria;
  2. L’architettura istituzionale della politica fiscale e la conformazione da questa assunta;
  3. Le regole della competizione anche in relazione agli aiuti di Stato
  4. Da qui la proposta del ministro: creare un gruppo di lavoro che sottoponga al Consiglio europeo, prima delle prossime elezioni, suggerimenti utili a perseguire il bene comune, la politeiache manca al futuro dell’Unione e alla coesione tra gli Stati membri.

“La conclusione è che il Governo italiano assumerà tutte le iniziative per dare vita a un Gruppo di lavoro ad alto livello, composto dai rappresentanti degli Stati membri, del Parlamento e della Commissione, che esamini la rispondenza dell’architettura istituzionale europea vigente e della politica economica con gli obiettivi di crescita nella stabilità e di piena occupazione esplicitamente previsti nei Trattati (…) Il Governo italiano intende trovare una forma di collaborazione con i 27 Stati membri per studiare e risolvere le debolezze istituzionali e politiche che si riflettono in un saggio di crescita reale permanentemente inferiore al resto del mondo sviluppato, con sacche territoriali elevate di disoccupazione”.

 

 
 
 

Direttiva copyright, un bene o un male? Cosa rischia ora il diritto d’autore in Europa

Post n°4304 pubblicato il 12 Settembre 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Media & Regime | 12 settembre 2018 

 

È finita come era iniziata: il Parlamento europeo ha approvato, a larga maggioranza, la proposta di direttiva di riforma del diritto d’autore nella formulazione – salvo pochi colpi di maquillage – originariamente proposta dal relatore Alex Voss. Nel nuovo diritto d’autore europeo ci sarà un nuovo diritto connesso in forza del quale gli editori di giornali avranno diritto a un “equo compenso” da parte di chi utilizzerà i link ai loro articoli accompagnati da un estratto – ancor che breve – e un doppio giro di vite sui gestori delle piattaforme che pubblicano contenuti degli utenti e che saranno, by default, responsabili per tali contenuti sotto il profilo di eventuali violazioni del diritto d’autore.

È il momento dell’onore delle armi che su un campo di battaglia di un tempo i vincitori riconoscerebbero ai vinti ma che, forse, in questo caso, gli uni dovrebbero tributare agli altri perché, sfortunatamente, l’impressione è che – al di là di quello che ha segnato il tabellone dei voti nell’Europarlamento di Strasburgo – oggi non ci sono né vinti, né vincitori. E, per dirla tutta, è lecito anche dubitare del fatto che la parola “onore” sia associabile al dibattito che si è appena concluso e che di onorevole, almeno a tratti, ha avuto davvero ben poco. Ma indugiare sull’accaduto è poco utile e val la pena, invece, iniziare a guardare a domani con più serenità e obiettività possibile.

1. Il primo aspetto da non dimenticare – da una parte e dall’altra – è che domani non cambia nulla rispetto a oggi perché la direttiva non sarà legge nei singoli Paesi dell’Unione prima del 2021. Non c’è certezza – e non può esservi – che domani le dinamiche di circolazione delle informazioni e dei contenuti online saranno ancora quelle di oggi e che le conquiste o sconfitte – a seconda dei punti di vista – registrate oggi siano ancora utili o effettivamente dannose. È una questione di metodo che – a livello europeo e nazionale – si continua a sottovalutare: mentre ha senso usare le leggi per fissare principi generali e astratti,  non ha alcun senso – specie quando si parla di digitale – pretendere di spingersi al livello di dettaglio cui si spingono le regole appena approvate dal Parlamento europeo. L’innovazione è un processo di trasformazione rapida e costante, le leggi monoliti pressoché immodificabili.

2. Il secondo aspetto è che quella nella quale si colloca la battaglia che si è appena conclusa è una “guerra” – mi si perdoni l’orribile espressione trattandosi di un confronto tra idee contrapposte – sostanzialmente “civile”, tra appartenenti a uno stesso, unico e inscindibile ecosistema informativo e mediatico. Grandi piattaforme, editori di giornali, industria audiovisiva e, soprattutto, utenti, infatti sono “cittadini” di quella stessa comunità globale che, per brevità, abbiamo imparato a chiamare Web e, oggi, difficilmente – pur nel rispetto delle posizioni di ciascuno – l’uno potrebbe “vivere” senza l’altro. I rapporti economici tra i gestori delle grandi piattaforme, gli editori di giornali, l’industria musicale sono quotidiani e valgono già miliardi di euro in tutto il mondo. E, naturalmente, senza gli utenti, i loro dati, le loro visite nessuno dei protagonisti commerciali di questo confronto ha un futuro.

3. Il terzo aspetto è il più importante: i rischi di effetti collaterali della proposta di direttiva capaci di limitare il pluralismo informativo e la libertà di comunicazione online – senza indugiare ora a chiedersi se siano stati o meno esasperati e strumentalizzati da una delle due fazioni – sono innegabili, reali, sussistenti, presenti già nel quotidiano. È, per questo, indispensabile che, a cominciare dalle negoziazioni tra le istituzioni europee alle quali il Parlamento oggi ha dato l’ok, nessuno, da oggi, perda di vista per un solo istante il problema: iper proteggere i diritti d’autore sacrificando altri diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino – pari-ordinati – come pluralismo e libertà di comunicazione online è una sconfitta per tutti, editori di giornali in testa.

Quando il fragore della battaglia avrà lasciato il posto al silenzio, sarebbe bello, se vinti e vincitori – ammesso che ce ne siano – si ritrovassero attorno a un tavolo a firmare un armistizio con il quale riconoscere che i diritti d’autore tutti – a cominciare da quelli degli utenti del web troppo spesso dimenticati – sono sacrosanti esattamente quanto lo è la libertà di comunicazione elettronica e che chi ha torto o ragione online in relazione alla pubblicazione di un contenuto deve essere sempre questione decisa da giudici e autorità, auspicabilmente dotati delle miglior tecnologie e risorse disponibili allo stato della tecnica.

Media & Regime | 12 settembre 2018

 

 

 
 
 

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