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Messaggi di Novembre 2019

5G, i rischi per la salute richiedono prevenzione. Ma le parole contano meno dei numeri

Post n°4525 pubblicato il 14 Novembre 2019 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Patrizia Gentilini Scienza - 14 Novembre 2019

 

Si è svolto il 5 novembre alla Camera il partecipatissimo convegno “Moratoria nazionale 5G, tra rischi per la salute e principio di precauzione” promosso dall’Alleanza Stop 5G e da parlamentari delle più svariate appartenenze politiche. Presenti relatori di grande spessore scientifico quali Olle Johnsson, Annie J. Sasco, Marc Arazi; in questo contesto prestigioso ho avuto l’onore di aprire i lavori in rappresentanza di Isde, inquadrando il contesto in cui il 5G andrà a operare, indubbiamente contraddittorio e confuso.

A fianco delle relazioni di carattere strettamente scientifico, importanti contributi sono venuti da associazioni di malati, dallo studio legale torinese che ha ottenuto sentenze favorevoli circa i rischi da elettrosmog e da amministratori locali. In particolare Franca Biglio, sindaco di Marsaglia e presidente dell’Associazione Nazionale Piccoli Comuni di Italia (Anpci), guida la rivolta dei primi cittadini contro il 5G e ha denunciato come ancora una volta i piccoli comuni subiscano scelte imposte dall’alto, senza alcuna preventiva informazione. Fortunatamente sono sempre più numerosi i sindaci che, consci del loro ruolo, difendono la salute delle loro comunità dai rischi dell’elettrosmog e seguono l’esempio della Biglio.

Come ha detto con forza Annie Sasco, non si tratta di invocare il principio di precauzione, ma quello di prevenzione, perché una corposa letteratura scientifica attesta che gli effetti biologici dei campi elettromagnetici (Cem) vanno ben oltre la sola azione di riscaldamento acuto, quella su cui si basano i limiti di legge. Le onde del 5G, in particolare, penetrano nella cute fino a 10mm, con effetti sia locali (cellule cutanee, terminazioni nervose, microcircolo) che sistemici per rilascio di mediatori infiammatori.

E’ emersa con chiarezza l’inadeguatezza dei limiti vigenti anche in Italia – che pur vanta una delle legislazioni più cautelative – che ha limiti a 6 V/m, anche se come media su 24 ore e non più “puntuali”, ma se si pensa che fino agli anni 40 il fondo naturale pulsato era pari a 0,0002 V/m ben si capisce l’enorme aumento del groviglio elettromagnetico cui siamo tutti esposti.

Il Comitato europeo per i rischi da radiazioni (Ecrr), tenendo conto degli studi pubblicati nel 2018 dal National Toxicology Program (Ntp) e dall’Istituto Ramazzini, ha recentemente proposto di adottare anche per le radiofrequenze limiti che – come per le radiazioni ionizzanti – tengano conto dell’effetto cumulativo e adottino fattori correttivi legati alla frequenza, all’età e alla tipologia delle persone esposte. A questo proposito esiste una vera “schizofrenia” perché ad esempio da un lato il Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di fissare soglie preventive che non superino gli 0,6 V/m e di ridurre questo valore a 0,2; dall’altro la Commissione europea raccomanda la commercializzazione su larga scala del 5G, con cui si prevede un aumento dei limiti fino a 61 V/m.

Se si aggiunge che non esistono attualmente strumentazioni in grado di misurare i campi elettromagnetici generati dal 5G, che le agenzie di protezione ambientale dispongono solo di modelli teorici da validare nella pratica e che la normativa attuale è del tutto inadeguata e impreparata a regolamentare gli scenari generati dal 5G, come si potrà stabilire se i limiti vengono superati, se non c’è neppure la possibilità di eseguire misurazioni?

Rispetto ai rischi sanitari già evidenziati in precedenti post, segnalo il contributo di Olle Johnsson circa l’aumento in batteri esposti al telefono cellulare e Wi-Fi dell’antibiotico-resistenza, problema ubiquitario che sta generando enorme preoccupazione.

Marc Arazi è il medico francese che ha denunciato lo scandalo Phone Gate e portato alla luce l’inganno cui sono stati esposti i consumatori con l’utilizzo di cellulari che 9 volte su 10 superavano i limiti stabiliti.

Di grandissimo rilievo infine l’intervento della prof. Annie J. Sasco, medico epidemiologo che ha lavorato per 22 anni alla Iarc e che ha parlato in particolare dei rischi per i bambini da esposizione a cellulari, problema del tutto trascurato nel 2011 dalla Iarc che classificò le radiofrequenze “2B” (cancerogeni possibili). Da esperta epidemiologa Sasco ha affermato che negli studi epidemiologici non si devono considerare le parole (troppo spesso tranquillizzanti) con cui i risultati degli studi vengono riportati, ma i risultati numerici, affermando ad esempio che se fossero stati disponibili i risultati di Cefalo – studio condotto per valutare il rischio di cancro cerebrale in bambini e adolescenti in relazione al cellulare e giunto a conclusioni rassicuranti – la Iarc avrebbe classificato le radiofrequenze a livello I (cancerogeni) e non 2B. Guardando numeri e tabelle di Cefalo, emergono infatti rischi trascurati dagli autori, ma dimostrati da altri.

Ma un’altra questione particolarmente inquietante è stata sollevata dalla Sasco su Mobi-kids, studio condotto in 14 paesi, compreso l’Italia (Università di Torino) che ha preso in esame i tumori cerebrali nell’età 10-24 anni, in relazione all’uso dei cellulari. Lo studio, finanziato con fondi pubblici europei, ha analizzati 898 casi insorti fra 2010 ed 2015 e 1912 controlli sani. Il 13 gennaio 2017 i dati sono stati inviati alla Commissione Europea, ma a distanza di tre anni non si ha ancora alcuna pubblicazione dei risultati, neppure parziale. Come è possibile? Sono forse emersi risultati “scomodi” che si preferisce non diffondere? Sasco ha ribadito con forza che è necessario avere subito i risultati di Mobi-kids “perché si parla dei nostri bambini e anche dei nostri soldi, perché sono stati utilizzati fondi pubblici”!

Questo silenzio è inaccettabile e ogni paese dovrebbe adoprarsi per conoscere almeno i risultati del proprio paese. Spero che questo appello venga raccolto perché prima di esporre l’infanzia ai rischi ulteriori del 5G, è urgente sapere cosa già succede loro con il sempre più frequente uso che giovani e bambini fanno dei telefoni mobili.

 

 
 
 

Presidenziali Usa: l’economia non sarà il fattore chiave, i temi caldi per le prossime elezioni

Post n°4524 pubblicato il 12 Novembre 2019 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 11 Novembre 2019, di Mariangela Tessa

 

Nonostante la paura di una recessione imminente sia radicata tra gli americani, nelle elezioni presidenziali 2020 l’economia non sarà l’elemento chiave nelle decisioni di voto.
Secondo un sondaggio della CNBC e Acorns Invest in You condotto da SurveyMonkey, quasi due terzi degli americani (61%) affermano che a spingere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra saranno questioni diverse dall’economia.

Tra disoccupazione storicamente bassa, forte spesa al consumo e un mercato azionario record, gli americani si sentono nel complesso finanziariamente più sicuri rispetto a quattro anni fa. E questo spinge il focus politico su altre questioni.

Solo il 34% degli americani afferma che voterà, tenendo in considerazione l’andamento dell’economia: una questione rilevante per meno della metà dei repubblicani (42%). E che scende al 27% nell’elettorato democratico.

Per i più giovani la priorità è l’ambiente

Alla domanda quale sia il tema “più importante in questo momento”, il 24% degli intervistati ha risposto citando l’occupazione e l’economia. Tra i “temi caldi”, seguono l’ assistenza sanitaria (21%), l’immigrazione (15 %) e l’ambiente (13%).

Le uniche fasce di età in cui lavoro e l’economia non costituiscono il problema principale sono i più giovani (il 24% di quelli di età compresa tra 18 e 24 anni che citano l’ambiente) e i più anziani (età pari o superiore a 65 anni che citano assistenza sanitaria o immigrazione).

“Abbiamo un’economia in crescita da molto tempo. Fino a quando la situazione non muta, le persone non avranno motivo di pensare o vedere le cose in modo diverso”, ha dichiarato Laura Wronski, ricercatrice senior di SurveyMonkey.

Recessione, paura concreta 6 elettori su 10

Il vento però potrebbe cambiare. E anche presto. Sono infatti il 65% degli americani a considerare come probabile una recessione il prossimo anno: i più pessimisti sono i democratici : 8 su 10 che vedono questa possibilità come concreta. Seguono a ruota Indipendenti (72%) e Repubblicani (46%).


 

 
 
 

il muro:30 anni e li dimostra..

Post n°4523 pubblicato il 09 Novembre 2019 da ninograg1
 

Son passati 30 anni dalla sua 'caduta'. Si, la divisione fra est e ovest cadde: possiamo dire che fu il giorno in cui un intero mondo finì. Due sistemi alternativi, ma simili, pronti a distruggersi a vicenda e a fare a pezzi il pianeta che si mostrano i muscoli vicendevolmente; eppure... eppure la distruzione reciproca non c'è stata, anzi si è conosciuto  un periodo di buona stabilità e, si, di democrazia (pur se controllata e parzialmente disattesa.. soprattutto nelle colonie estreme dell'impero americano d'occidente come l'Italia) sociale dove nelle costituzioni antifasciste si stabilivano diritti e facoltà mai viste prima nella storia umana: paradossalmente essere sotto il tiro nucleare reciproco ha dato vita a libertà e democrazia. Perchè? Semplice: gli spiriti animali del capitalismo erano tenuti a freno e quindi parte dei capitali che mordevano il freno (non potendo saccheggiare, come fanno oggi, intere economie) erano impiegati per i ceti poveri cercando di rendergli meno attraente il sistema opposto: quello che si faceva passare per 'comunismo' ma che sarebbe meglio definire come 'sovietismo' ossia applicazione degenere di quanto scritto da Marx. Di là dalla cortina 'sognavano' l'occidente e le sue lucu e le sue libertà; di qua i partiti comunisti e socialisti, che non ci pensavano nemmeno per l'anticamera del cervello di far entrare cosacchi nelle proprie capitali nazionali occidentali, sventolavano il vessillo rosso per ottenere maggiore attenzione ai ceti più poveri e marginali del mondo occidentale spaventando i ricchi e gli straricchi. Naturalmente non poteva continuare all'infinito e uno dei due fratelli coltelli doveva pur cedere: ed infatti è accaduto, ossia il mondo sovietico è miseramente crollato sotto il peso della struttura, ormai anacronistica, sovietica. In realtà entrambi i sistemi si sorreggevano a vicenda e prima o poi sarebbero comunque crollati e i segnali erano chiari: si diveva solo capire quale sarebbe crollato per primo.

Il punto era cruciale: La caduta cosa avrebbe comportato? Ci stanno ancora lavorando ma alcune cose gli storici le hanno già stabilite:

  1. in Europa la riunificazione della Germania spaventava sia la Francia (allora Presidente era Mitterand) e l'Inghilterra (c'era la Thatcher); si temeva lo strapotere di una nazione tedesca riunificata, il quarto reich insomma.... e si pensò di accelerare il processo di unificazione europea partendo da quella che sembrava il tallone di achille dei tedeschi, ossia la moneta: il Marco era forte e se si riusciva a riunirlo a una moneta sovranazionale veniva ridimensionato. Sapevano che gli altri paesi non erano pronti ma si sa.. la ragion di stato è più importante del resto e poco importa che le cassandre che prevedevano problemi e 'rigetti' da parte dei popoli avevano ragione: oggi a 30 anni di distanza si è fatta un europa, debole, politica preda della finanza e dei ragionieri. Europa Sociale? Zero. Europa dei diritti? 0,9.. quasi uno se si pensa che oggi  un burocretino seduto dietro una scrivania decide se la cipolla di tropea è tale se è rossa e non rosa o se dal 2020 dobbiamo mettere nei carrelli euri e non altro o se un paese deve fallire perchè le banche tedesche, inglesi, francesi devono rientrare dei soldi e delle speculazioni fatte in quel paese. Ecco la prima conseguenza di quella riunficazione.
  2. Negli USA la finde della guerra fredda comportò soprattutto che gli spiriti animali del capitalismo fossero liberati.... dando vita al cosiddetto 'turbocapitalismo (prima che qualche solone mi dia lezione su chi ha creato per primo questo termine dico subito che il primo a citarlo fu un 'certo' Luttwak)' il cui principio base è: nessuna regola ma solo 'la mano invisibile del mercato libero (libero?)' che è sinonimo di libertà (libertà?); tutto è mercato (salvo qualche presidio per i morti di fame) e tutto si basa sulla regola della domanda e dell'offerta: dal lavoro alla prosituzione tutto si basa su domanda e offerta; nessuna preclusione o meglio nessun diritto sociale e sindacale e se ci sono resistenze.. non c'è problema perchè si può andare a produrre in Cina o in Vietnam ecc. dove agli operai gli si da l'elemosina e nei paesi 'liberali' o si adattano alla competizione, salari bassi e nessun lavoro stabile o fisso, o si possono accomodare nel mondo invisibile della povertà;
  3. Nel resto del pianeta? Fin dagli anni '50 avevano avuto assaggi di quel che sarebbe accaduto se crollavano i due sistemi: l'impoverimento generalizzato e l'emersione di ceti corrotti 'occidentalizzati'. Direte che c'entra, giusto? C'entra perchè laddove i paesi non erano schierati erano terreno di scontro fra le due superpotenze: da un lato la guerriglia 'comunista' dall'altro il FMI e la World Bank ossia una inesorabile tenaglia che stritolava i popoli e li rapinava, oltre che del futuro, anche delle loro risorse.... l'Africa ne è un esempio: da sempre luogo di scontro indiretto fra superpotenze (coloniali e non poco conta ed infatti poco è cambiato con la fine ufficiale del colonialismo e dell'imperialismo) e sempre più povera di risorse e braccia. Come meravigliarsi se nei due terzi del pianeta le ideologie, prima, e la religione islamica, poi, hanno attecchito e sono germogliati i semi dell'odio per l'occidente e della rivalsa nei suoi confronti?

.. si potrebbe continuare all'infinito nell'elencare i guasti che quella caduta ha provocato: i costi hanno ampiamente superato i benefici e, pur a malincuore, si deve ammettere che la storia non è finita (Fukuyama lo sosteneva) e che, nonostante le montagne di soldi buttati nell'ex Germania comunista e nei paesi dell'est, la situazione non è affatto migliorata anzi si è sviluppato una serie di movimenti anti-euro, anti-europa e anti-globalizzazione (infatti si parla di movimenti 'glocal') proprompenti alla cui testa ci sono proprio gli ex comunisti o nuovi integralisti.. il che significa che non solo il messagio 'sano' di un europa dei popoli è un miraggio (ma questo lo si sapeva da sempre) ma che pure quel barlume di europa messo su è respinto al mittente senza esitazioni e con un vivo senso di soddisfazione e di liberazione dall'oppressione (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, ex Germania est dove sono fortissimi i movimenti neo-nazi e quelli anti-euro, ecc. ecc.).

Si poteva fare altrimenti? Certo: bastava seguire il tratto originale del capitalismo democratico (quello teorizzato da uomini come Berlin, Keynes, Schumpeter, ecc.) senza deviazioni da esso negli USA; e in europa? Anche qui: abbiamo gli Spinelli, i Giannini, gli Adenauer, ecc. a dare il percorso e tracciare il pensiero.... ma non è andata così e i risultati si vedono tutti: compresi quelli che prevedono il modello di persone che invocano o evocano il 'ce lo chiede l'europa o qualcosa di simile' pur di evitare di perdere quel pizzico di benessere acquisito sulla pelle degli altri loro concittadini... che tristezza

 
 
 

Manovra di tasse? Ecco i numeri

Post n°4522 pubblicato il 08 Novembre 2019 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano | 8 Novembre 2019

 

La legge di Bilancio per il 2020 è o non è “la manovra delle tasse“? Da giorni il premier Giuseppe Conte zittisce le polemiche ricordando che eviterà il temuto aumento dell’Iva per 23 miliardi e va quindi considerata la finanziaria che “ha operato il taglio di tasse più cospicuo degli ultimi anni”. A ben guardare nuove imposte e aumenti ci sono: ammonta a circa 5,8 miliardi il gettito aggiuntivo che arriverà nelle casse dell’Erario l’anno prossimo per effetto degli aggravi previsti. Il grosso andrà però a colpire banche, assicurazioni, imprese produttrici di plastica e bevande zuccherate, concessionari autostradali e chi possiede azioni in società non quotate o terreni. C’è poi un aumento dell’accisa su petrolio e gas naturale usati per produrre energia, salgono le royalties versate dai gruppi petroliferi e arriva la web tax sui servizi digitali per le multinazionali di internet.

I balzelli che nel 2020 potrebbero avere un impatto diretto sul bilancio di una famiglia tipo valgono in tutto circa 880 milioni di euro (il 15% degli aggravi totali) di cui 118 dalle accise sui tabacchi e dall’imposta su filtri e cartine e 51 dalla stretta sui buoni pasto cartacei. L’unificazione di Imu e Tasi invece, secondo i tecnici, costerà ai cittadini 14,5 milioni. La voce più pesante è la “tassa sulla fortuna” che riguarda ovviamente solo chi vince al gioco. Questo al netto della stretta sulla flat tax per le partite Iva che comporta 492 milioni di entrate aggiuntive. Dal 2021 inizierà poi a farsi sentire l’effetto della riduzione delle detrazioni fiscali per chi ha redditi alti (si azzereranno oltre i 240mila) e per chi sceglie di pagare in contanti: vale 977 milioni di euro, di cui 110 a carico dei circa 300mila contribuenti che dichiarano più di 120mila euro.

Banche e assicurazioni, plastica e bevande zuccherate, concessionari autostradali – Dagli allegati alla manovra depositati in Parlamento emerge che l’aumento fiscale più corposo è legato allo slittamento della deducibilità di svalutazioni e perdite su crediti di cui godono “enti creditizi e finanziari” – in sostanza banche e compagnie assicurative. A seconda della tipologia, saranno deducibili solo dal 2022, dal 2025 o dal 2028. La stretta vale, nel 2020, 1,6 miliardi. Un intervento simile è previsto anche per i concessionari autostradali: viene limitata all’1% del costo dei beni la deducibilità dalle tasse delle quote di ammortamento, cioè le “rate” in cui viene diviso un investimento che dispiega effetti su più anni, come quelli nelle infrastrutture che gestiscono. Il risultato è un aumento degli imponibili e un maggior gettito per 340 milioni.

Dalla plastic tax di 1 euro al chilo su imballaggi e prodotti monouso in plastica arriverà poi 1 miliardo. Che non dovrebbe pesare sul consumatore finale a meno che i produttori non decidano di aumentare i prezzi: l’impatto, nel caso per esempio delle bottigliette di acqua minerale, si fermerà comunque a 2-3 centesimi di euro. La sugar tax invece, stando alla relazione tecnica, è una “tassa sul consumo di bevande con zuccheri aggiunti” ma colpirà fabbricanti, importatori e acquirenti di prodotti importati. Il gettito atteso è di 233 milioni. Difficile stimare l’impatto sulle tasche del cittadino medio, ma il punto fermo è che l’obiettivo dichiarato del governo è ridurre un consumo dannoso per la salute.

Imposta su partecipazioni e terreni – Ma, andando in ordine di gettito atteso, al terzo posto – ben prima della sugar tax – c’è la rivalutazione (sulla base di una perizia giurata) del valore delle partecipazioni in società non quotate e dei terreni sia agricoli sia edificabili posseduti da persone fisiche e società semplici. Sul valore rideterminato verrà applicata un’imposta sostitutiva dell’11%. Vale oltre 820 milioni di euro di introiti.

Paletti sulla flat tax e stretta sulle auto aziendali – Subito dopo si piazza la stretta sulla flat tax al 15% per le partite Iva con ricavi inferiori a 65mila euro. Sommando il maggior gettito che arriverà da chi esce dal regime agevolato perché ha percepito redditi da lavoro dipendente superiori a 30mila euro o ha pagato più di 20mila euro a collaboratori o dipendenti e dalla cancellazione della prevista estensione della tassa piatta a chi fattura tra 65mila e 100mila euro, lo Stato ci guadagna 492 milioni. Segue, con 330 milioni di euro di gettito previsto, il discusso balzello sulle auto aziendali mirato a rendere meno inquinante la flotta: sale dal 30 al 60% la quota di percorrenza per uso privato tassabile, con l’eccezione delle macchine ibride ed elettriche. Ad essere colpiti sarebbero 1,5 milioni di veicoli, dalle city car e utilitarie che sono il 40% del mercato alle berline che valgono poco più del 20%. La tassa però è nel mirino di Italia viva e potrebbe essere rimodulata durante il passaggio parlamentare per ridurne l’impatto.

Aumenta la tassa sulla fortuna, arriva la web tax – Un’altra voce pesante è la “tassa sulla fortuna” che peserà su chi vince al gioco e si aggiunge agli aumenti del prelievo sui concessionari previsti dal decreto fiscale: sale dal 12 al 15% l’imposta unica sulle vincite superiori a 500 euro sia alla lotteria sia ai “giochi numerici a totalizzatore” che vanno da Superenalotto a Win for life. I ricavi dalle concessioni che saranno messe a gara l’anno prossimo si materializzeranno invece solo nel 2021 e ammonteranno stando alla relazione tecnica a 909 milioni l’anno. Rimanendo in tema di imposte sui big, dall’1 gennaio 2020 si applicherà un’imposta sui servizi digitali del 3% sui ricavi realizzati dai gruppi del web con fatturato globale superiore a 750 milioni di cui almeno 5,5 milioni in Italia. La tassa, che non colpirà i consumatori, vale per il primo anno 108 milioni di euro.

I microbalzelli, dai certificati penali ai diritti consolari – Gli altri microbalzelli previsti dalla legge di Bilancio hanno un impatto minimo: ci sono per esempio l’imposta di bollo di 2,4 euro a foglio per il rilascio di certificati penali, l’incremento dei diritti consolari per i visti per soggiorni di lunga durata (da 116 a 130 euro) e per la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne (da 300 a 600 euro) e l’imposta sulla plusvalenza ottenuta da chi rivende casa entro 5 anni dall’acquisto che passa dal 20% al 26%. Valgono rispettivamente 25, 23 e 19 euro di gettito. Spiccioli nel bilancio dello Stato.

 

 
 
 

Fmi: anche i Paesi Ue indebitati considerino “espansioni fiscali temporanee”

Post n°4521 pubblicato il 06 Novembre 2019 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 6 Novembre 2019, di Alberto Battaglia

 

La crescita europea è destinata a subire un deciso colpo negativo nel 2019: secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale, pubblicate nel Regional economic outlook, il Pil dell’Eurozona crescerà dell’1,4% nel 2019, quasi un punto in meno rispetto a un anno prima, e ripartirà a ritmo cauto, +1,8%, nel 2020. A soffrire di più il rallentamento saranno le economie più avanzate all’interno del blocco (+1,3% nel 2019, +1,5% nel 2020).

Il timore è che le difficoltà del settore manifatturiero, dovute alle tensioni commerciali, possa trasmettersi anche ai servizi, ha scritto il Fmi.
Al cuore del rallentamento c’è proprio la locomotiva tedesca, il cui Pil è previsto in rallentamento allo 0,5% per l’anno in corso e comunque sotto il punto di crescita nel 2020 (0,8%). Ancora una volta, l’appello del Fmi, in continuità con l’era Lagarde, è di coordinare a livello europeo “una risposta fiscale”, che si presuma debba partire proprio dalla spesa pubblica in Germania – un Paese in cui finanze sono fra le più solide. Ma non solo.

Anche i paesi con deficit e debito elevati, si legge nel report, dovrebbero considerare un “ritmo temporaneamente più lento di consolidamento fiscale o un’espansione temporanea” se si materializzeranno gli scenari negativi. E qui il messaggio potrà essere facilmente fatto proprio anche dal governo italiano, intenzionato a strappare dall’Ue quanta più flessibilità di bilancio sia possibile ottenere.

Sulla crescita dell’Italia il Fondo si era espresso già il mese scorso, portando le stime per il Pil del 2019 da una crescita dello 0,1% a zero; nei due anni successivi le previsioni sono di un progresso dello 0,5 e dello 0,8%.

Sul fronte dell’inflazione il Fmi prevede ancora una notevole distanza fra i livelli dei prezzi ritenuti ottimali dalla Bce, vicini ma al di sotto del 2%. Nel 2019 l’inflazione si fermerebbe all’1,2%, per poi salire nei due anni successivi all’1,4 e all’1,5%: se così fosse, difficilmente le politiche monetarie potrebbero spostarsi in senso restrittivo, come auspicato apertamente da vari banchieri del Nord Europa.

 

 
 
 

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