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Messaggi del 08/04/2020

Notizie da Mercurio

Post n°2730 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Focus..

La grafite di Mercurio è ciò che resta della crosta del

pianetaUna nuova ipotesi per spiegare le macchie

sulla superficie di Mercurio: è grafite nativa del pianeta,

non portata dalle comete.

mercu2Il cratere Degas, 52 chilometri di diametro: attorno e

all'interno, una grande quantità di grafite. 

| NASA/JOHNS HOPKINS UNIVERSITY APPLIED PHYSICS

LABORATORY/CARNEGIE INSTITUTION OF WASHINGTON  

Quando la sonda della Nasa Messenger entrò in orbita

attorno a Mercurio, nel 2011, si videro subito particolari

macchie scure che attirarono immediatamente l'attenzione

dei ricercatori.

Qualcosa di simile era già stato osservato durante il sorvolo

della Mariner 10, nel 1974, ma la bassa risoluzione delle

fotografie non permisero di approfondire il problema.

 

Adesso, grazie alla spettrografia ad alta risoluzione, ossia

al sistema che permette di studiare i componenti chimici

presenti su un corpo celeste, i planetologi hanno capito

che il materiale scuro è grafite, proprio quello che si usa

per le matite, uno stato allotropico del carbonio.

 

Mercurio in "falsi colori" ripreso dalla sonda Messenger.

Con questo sistema si possono mettere in luce le principali

componenti chimiche del pianeta. | NASA

Il materiale è pochissimo riflettente e si trova soprattutto

vicino a bocche vulcaniche o a crateri da impatto.

In un primo tempo si pensò che il carbonio fosse stato

depositato dalle comete (di cui sono ricche) che, in grandi

quantità, devono aver bombardato il pianeta ai primordi

della storia del Sistema Solare.

È "ORIGINALE". Questa ipotesi per spiegare la grafite è

stata però affiancata da un'altra idea: è possibile che il

minerale venga dall'interno del pianeta.

Secondo questa ipotesi, Mercurio, quando era ancora in gran

parte fuso, aveva una crosta composta per lo più proprio da

grafite.

«Partendo dal materiale di cui è composto il pianeta, i modelli

e una serie di esperimenti ci hanno suggerito l'ipotesi che

quando Mercurio, da fuso, iniziò a solidificarsi, la maggior parte

dei minerali sprofondò, a eccezione del carbonio che formò

invece una crosta di grafite», spiega Rachel Klima, del Johns Hopkins

University Applied Physic Laboratory.

Secondo il ricercatore quelle macchie sono ciò che resta della

crosta primordiale e «studiandole abbiamo la possibilità di

capire com'era Mercurio 4,5 miliardi di anni fa».

ANCORA ENIGMI. 

Questa nuova interpretazione rinforza l'idea che Mercurio,

pur essendo in apparenza simile ad altri pianeti e alla

nostra Luna, per via del gran numero di crateri, potrebbe

avere avuto un'evoluzione diversa, forse unica.

 

 

Un'area molto scura in prossimità del polo nord di Mercurio. 

| NASA/JOHNS HOPKINS UNIVERSITY APPLIED PHYSICS

LABORATORY/CARNEGIE INSTITUTION OF WASHINGTON

La presenza di grafite in grandi quantità è infatti solamente

l'ultima delle scoperta che raccontano la differenza tra quel

pianeta e gli altri del Sistema Solare.

Sottolinea Larry Nittler, coautore della ricerca:

«Il ritrovamento di vaste aree ricche di carbonio ci dice che

oggi vediamo pezzi della crosta antica di Mercurio misti a

crateri e aree vulcaniche che si formarono in momenti

successivi della sua storia».

La scoperta non spiega perché la grafite sia così abbondante,

e neppure perché il pianeta abbia avuto una simile evoluzione:

per saperne di più dovremo probabilmente aspettare BepiColombo,

la missione Esa/Jaxa prevista per l'inizio del 2017.

 
 
 

L'origine di marte, Venere, Mercurio e Terra.....

Post n°2729 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Focus

Mercurio, Venere, Terra, Marte: come sono nati?

Come si sono formati i pianeti rocciosi alla giusta

distanza dal Sole? Una nuova ipotesi sembra rispondere

meglio di altre alla domanda, e spiega anche perché

Marte è più piccolo di quanto dovrebbe.

ss5Il Sistema Solare potrebbe essere nato per aggregazione

di corpuscoli sempre più grandi, ma il meccanismo all'origine

non è chiaro: una nuova ipotesi aiuta a risolvere alcuni

problemi. | NASA  

Sulla nascita del Sistema Solare vi sono molte ipotesi e

ancor più problemi irrisolti, alcuni dei quali riguardano anche

la formazione dei pianeti rocciosi, come la Terra.

Una nuova idea, che prende forma da uno studio pubblicato

su Astrophysycal Journal Letters, se troverà conferma, sposta

l'attenzione sulle prime fasi di vita del Sole, quando la sua

iperattività avrebbe innescato e permesso i processi che hanno

poi portato alla formazione del Sistema Solare.

Secondo l'ipotesi più accreditata per spiegare la nascita dei

pianeti, il tutto prese avvio da una nebulosa ricca di gas e

granelli di polvere che si aggregarono tra loro per originare

piccoli corpuscoli.

Con il trascorrere del tempo questi si unirono tra loro fino a

dare vita a corpi sempre più grandi e poi a planetesimi, che

infine, unendosi, diventarono pianeti.

 

FU Orionis e la nebulosa da cui ha preso forma.

 | ESO

«Ma questa narrazione della nascita del Sistema Solare ha

dei punti deboli, in particolare per ciò che riguarda la forma-

zione dei pianeti terrestri», spiega Alexander Hubbard,

planetologo, autore dello studio.

pianeti terrestri sono quelli più vicini al Sole: nell'ordine,

Mercurio, Venere, Terra e Marte, che sono composti da rocce

silicatiche e ferro, le cui particelle non si aggregano facilmente

fra loro.

FU ORIONIS. Si sarebbero potute unire tra loro se avessero

avuto un rivestimento di ghiaccio e sostanze organiche, ma

nonostante gli oceani e la vita basata sul carbonio, il nostro

pianeta, ad esempio, ha troppo poca acqua e carbonio perché

ciò sia stato possibile.

Hubbard avrebbe trovato la soluzione al problema avanzando

una intrigante ipotesi.

Il tutto inizia nel 1937, quando una stella giovane inizia a brillare

via via sempre più intensamente, fino a 100 volte la luminosità

iniziale: è FU Orionis, a 1.600 anni luce da noi, che da allora

non ha mostrato altre variazioni.

Ma FU Orionis non è stata l'unica giovane stella a comportarsi

in quel modo: una seconda fu vista nel 1970 (V1057 Cygni), e

poi altre ancora - al punto che venne infine ufficializzata una

nuova classe di stelle, denominata variabili FU Orionis (FUor).

 

Il sistema Kepler-11: è composto da almeno 6 pianeti di tipo

terrestre che ruotano molto vicino alla stella madre. | NASA

Qui arriva l'idea di Hubbard riguardo al Sole: se anche la

nostra stella si fosse comportata allo stesso modo nelle

fasi iniziali della sua vita, l'energia prodotta sarebbe stata

sufficiente per fondere parzialmente i primi granuli di polvere,

che in quelle condizioni avrebbero potuto più facilmente

unirsi fino a diventare semi dei pianeti terrestri.

PERCHÉ MARTE È PICCOLO. Nei sistemi stellari con stelle che

non hanno sperimentato questo potente accrescimento di

energia iniziale, i grani di polvere si sarebbero fusi solo in

prossimità dell'astro, dando origine a sistemi planetari simili

a Kepler-11, dove i pianeti di tipo terrestre sono appunto molto

vicini alla stella madre.

 

La nuova ipotesi spiega anche perché Marte è molto più

piccolo rispetto alla Terra e a Venere. | NASA

L'idea di Hubbard sembra però ancora più potente, perché

risponde anche a un altro dilemma, una questione mai

del tutto chiarita che riguarda la dimensione di Marte.

Il Pianeta Rosso ha un raggio che è poco più della metà

di quello della Terra: si ritiene che non crebbe ulteriormente

a causa dell'interferenza gravitazionale di Giove.

Il gigante gassoso potrebbe però non aver avuto influenza

su Marte che, a quella distanza dal Sole, avrebbe potuto

giovarsi solo in parte del surplus di energia messo in campo

dalla nostra stella.

Se diamo credito all'ipotesi di Hubbard, le temperature nella

zona di Marte non erano abbastanza alte da favorire in modo

adeguato quella parziale fusione delle polveri, col risultato che

vediamo oggi: il nostro affascinante vicino ha una massa

che è di circa l'11% della nostra.

 
 
 

Notizie da Encelado

Post n°2728 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Focus

Indizi di vita su Encelado, altri geyser su Europa

Nell'oceano della luna di Saturno ci sono tutti gli

elementi indispensabili a sostenere la vita: non

si può dire se ci sia per davvero oppure no, ma

adesso tutti guardano a quel mondo (quasi) così

vicino.

Intanto, sul satellite di Giove Europa, si conferma

il fenomeno dei geyser.

en2Geyser al polo sud di Encelado: nei vapori sono stati

rilevati elementi chimici che possono essere associati

alla vita. | NASA  

IN SINTESIDopo gli annunci e le anticipazioni di

questa settimana, la NASA ha svelato in una conferenza

stampa un'importante scoperta scientifica che riguarda

 Encelado, sesta luna di Saturno in ordine di grandezza.

La sonda Cassini ha confermato che nell'oceano sotter-

raneo di Encelado ci sono ci sono tutti gli elementi chimici

e le fonti energetiche necessarie per ospitare forme di vita,

almeno batteriche.

Con gli stessi elementi e ragionamenti, però, si può anche 

affermare il contrario.Dunque, non resta che andare a

vedere...Una seconda scoperta è la conferma del fenomeno

dei geyser di vapore acqueo su Europa, satellite di Giove.

I pennacchi fuoriescono da una frattura della crosta ghiacciata

e corrispondono a un'anomalia termica sulla superficie

Oggetti planetari con grandi oceani: questi sono gli obiettivi

della ricerca della vita fuori dalla Terra, proprio perché l'acqua

è l'elemento primo necessario alla vita, per come la conosciamo.

L'acqua da sola però non basta: servono carbonio, idrogeno,

azoto, ossigeno, fosforo, zolfo...

E soprattutto serve una fonte di energia che - in presenza di

tutti gli elementi indispensabili - permetta agli elementi stessi

di reagire tra loro.

Ci sono prove convincenti della presenza di acqua su altri corpi

del Sistema Solare, per esempio su alcuni satelliti di Giove e

Saturno, ma finora nessuna evidenza di un "motore" per la vita,

ossia una fonte di energia.

 

cassini, nasa, encelado, saturno, sistema solare, ricerca della vita, basi della vita

La struttura di Encealdo: sotto la crosta ghiacciata si nasconde

un oceano che circonda interamente un nucleo caldo di silicati. 

| NASA

L'ANNUNCIO. È proprio di oggi, però, la pubblicazione su

Science del lavoro del team coordinato da J. Hunter Waite

(Southwest Research Institute, Texas), che in diretta tv dalla

Nasa ha illustrato nuove scoperte che fanno pensare che

all'interno di almeno di uno dei satelliti di Saturno, Encelado,

vi sia l'energia che serve.

Spiega Waite che «i potenti geyser espulsi dall'oceano di acqua

liquida attraverso le fenditure dell'armatura di ghiaccio che

ricopre interamente il satellite contengono idrogeno molecolare

(H2), ossia molecole di idrogeno composto da due atomi dello

stesso elemento, che insieme a molecole di carbonato, rilevate

in precedenti studi, stanno a indicare uno stato di squilibrio chimico 

nell'oceano di Encelado».

Se c'è squilibrio... sono in corso reazioni chimiche e c'è energia

in gioco! Energia sufficiente anche a sostenere le reazioni chimiche

di organismi viventi.

LE SOMIGLIANZE. Encelado è un satellite di medie dimensioni, con

un diametro di 504 chilometri (meno di un terzo della Luna), e

possiede un nucleo roccioso composto da silicati, ossia da (minerali)

composti da silicio, ossigeno e altri elementi chimici.

Il nucleo è interamente circondato da uno strato di acqua di spessore

variabile, da 2 a 60 chilometri.

L'acqua di questo oceano planetario è protetta dallo spazio esterno

da uno strato di ghiaccio ed è mantenuta allo stato liquido dal calore

dal nucleo - calore prodotto dalle forze di marea cui è sottoposto il

satellite nella sua orbita attorno a Saturno.

 

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Bocche idrotermali sottomarine (fumarole) sul fondo di un oceano

terrestre: potrebbero esserci anche su Encelado e, come sulla

Terra, essere habitat di organismi viventi. | NASA

Nonostante le temperature estremamente basse che caratteriz-

zano la superficie e il fatto che nelle profondità dell'oceano non

arriva luce (e quindi non sono possibili processi di fototosintesi),

si ritiene che sia possibile la vita (o quantomeno non si esclud

e questa possibilità).

Sulla Terra, nelle profondità degli oceani (dove la luce non arriva)

vi sono ecosistemi la cui sostenibilità è garantita dall'energia chimica

disponibile nei fluidi che risalgono dall'interno del pianeta e che

fuoriescono sul fondo marino (vulcani di fangobocche idrotermali

sottomarinefumarole).

Alcuni degli organismi microbici che vivono in questi ambienti, e

persino sotto il fondale oceanico, ricavano l'energia di cui hanno

bisogno trasformando l'anidride carbonica e l'idrogeno molecolare

in metano (metanogenesi).

SPERANZA E PRUDENZA. 

Ed è proprio qui che sta il collegamento tra la Terra ed Encelado.

Durante il sorvolo della sonda Cassini del 2015, gli strumenti

rilevarono la presenza, nel vapore emesso dai geyser, di un

contenuto tra lo 0,4 e l'1,4 per cento in volume di idrogeno

molecolare, e di un contenuto compreso tra 0,3 e 0,8 per cento in

volume di anidride carbonica, ossia degli ingredienti fondamentali

per la metanogenesi.

Da ciò si deduce che nell'oceano di Encelado ci sono gli elementi

che permettono l'esistenza di forme di vita simili a quelle che si

ritrovano sui fondali oceanici del nostro pianeta: l'acqua allo

stato liquido, il calore (cioè l'energia necessaria per le reazioni

chimiche), gli elementi chimici che possono sostenere semplici

forme di vita.

 

cassini, nasa, encelado, saturno, sistema solare, ricerca della vita, basi della vita

Un'elaborazione 3D della superficie ghiacciata di Encelado.

 | NASA

Waite ha tuttavia fatto notare che per chiudere il cerchio è

necessario trovare risposte ad alcune domande importanti.

Per esempio... da dove arrivano i fluidi caldi sul fondo

dell'oceano di Encelado?

Sulla Terra si formano come conseguenza della tettonica delle

zolle, fenomeno assente su Encelado. Non è da escludere che

possano derivare direttamente dal nucleo del satellite.

Ma, fa notare lo scienziato, la presenza di quantità notevoli

di idrogeno molecolare potrebbe anche significare esattamente

l'opposto di ciò che speriamo: può infatti anche essere un

indizio della totale mancanza di vita.

Sui fondali oceanici della Terra tale sostanza viene elaborata

in metano dai batteri metanogeni: su Encelado risale l'oceano

e sfugge nello spazio... Al momento attuale non è dunque da

escludere neppure questa ipotesi: in quel lontano mondo non

c'è alcuna forma di vita capace di compiere la trasformazione.

DI NUOVO GEYSER SU EUROPA.

 (Aggiornamento alle 20:28 del 13/04/2017): una seconda

scoperta pubblicata sul The Astrophysical Journal Letter riguarda

le osservazioni compiute da Hubble sulla luna di Giove Europa

nel 2016.

Il telescopio spaziale ha individuato un pennacchio di vapore

acqueo nella stessa area in cui il fenomeno era stato osservato

nel 2014, la prova che l'attività eruttiva sul satellite è reale e

non un caso isolato.

Il nuovo getto di materiale è stato visto innalzarsi per 100 km

dalla superficie (contro i 50 di quello di tre anni fa).

Entrambi sono stati generati in una regione insolitamente calda,

che mostra spaccature nella crosta ghiacciata della luna, così

come erano state documentate dalla sonda Galileo alla fine

degli anni Novanta.

Come per Encelado, i pennacchi di acqua sono associati a regioni

più calde: può essere che il materiale eruttivo riscaldi l'area

circostante o che ricada sulla superficie di Europa come una

nebbia sottile che modifica il materiale della crosta, rendendolo

capace di trattenere il calore più a lungo.

La missione della Nasa Europa Clipper, programmata per il

decennio 2020, dovrebbe contribuire a spiegare meglio il

fenomeno.

13 APRILE 2017 | LUIGI BIGNAMI

 
 
 

Un pollo preistorico...

Post n°2727 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

 

Wonderchicken, il pollo di 66 milioni di anni faIl pollo

meraviglia: il cranio fossile di un piccolo uccello vissuto

insieme ai dinosauri potà fare luce su aspetti ancora

incerti dell'evoluzione degli uccelli.

Fossili: Wonderchicken, il pollo di 66 milioni di anni faFossili: cranio di Asteriornis mastrichtensis (Wonderchicken),

il pollo di 66 milioni di anni fa. | UNIVERSITY OF CAMBRIDGE  

Wonderchickenpollo meraviglia, così lo hanno chiamato

i paleontologi, e c'è davvero di che meravigliarsi: è il più antico

fossile mai scoperto di un uccello del tutto simile a quelli dei

nostri giorni, vissuto 66,7 milioni di anni fa, quando i dinosauri

ancora popolavano la Terra.

Wonderchicken, non solo perché aiuta a ricostruire la storia

degli uccelli, ma anche perché potrebbe rivelare come gli uccelli

siano riusciti a scampare alla catastrofe planetaria che 66 milioni

di anni fa portò all'estinzione dei dinosauri e del 70 per cento

delle specie viventi.

 

Wonderchicken: la dimensione del cranio fossile di Asteriornis mastrichtensis, un uccello di 66 milioni di anni faWonderchicken: la dimensione del cranio fossile di Asteriornis

mastrichtensis, un uccello di 66 milioni di anni fa.

Illustrazione: scene di vita quotidiana del Wonderchicken, il pollo meraviglia

Illustrazione: scene di vita quotidiana del

Wonderchicken,

il pollo meraviglia. | UNIVERSITY OF CAMBRIDGE

Il fossile è stato rinvenuto in Belgio, estratto da un

pezzo di roccia raccolto in una cava di calcaredi cui si

conosce con precisione l'età. Nella cava, l'attenzione

dei paleontologi si era fissata su di un masso dal quale

spuntavano quelle che sembravano essere frammenti di

zampe di un uccello: raccolto con grande attenzione,

perché i reperti di uccelli di quel periodo sono preziosissimi,

è stato sottoposto a una particolare TAC.

L'esame ha rivelato all'interno della roccia il cranio integro

di un uccello, «uno dei reperti fossili di uccello meglio

conservati al mondo», afferma Daniel Field, del dipartimento

di scienze della Terra di Cambridge (UK), primo autore dello 

studio pubblicato su Nature.

Nel nome scientifico attribuito all'animale, Asteriornis

mastrichtensis, c'è un riferimento ad Asteria, la dea che

per sfuggire alle prepotenti attenzioni di Zeus si trasformò

in una quaglia e si gettò nell'Egeo, dove diede forma

all'isola di Ortigia (isola delle quaglie).

Le analisi del cranio fossile rivelano caratteristiche che

avvicinano molto l'Asteriornis agli uccelli moderni, con tratti

 che per alcuni versi lo rendono del simile alle anatre e per

altri ai galliformi di oggi, quali il pollo, il tacchino e altri uccelli

da selvaggina.

Secondo lo studio l'Asteriornis pesava circa 4 etti, aveva zampe

lunghe e, complessivamente, poteva avere le dimensioni

di un piccolo gabbiano.

Il suo habitat era la terraferma in prossimità delle coste.

 

«Un reperto di grande importanza paleontologica»,  , uno dei

ricercatori, «perché sull'origine della diversità degli uccelli viventi

ci sono ancora molti aspetti da chiarire.

Ci è noto che gli uccelli moderni si svilupparono a un certo punto

verso la fine dell'era dei dinosauri, ma sono pochissimi i

 reperti pre-asteroide.

Questo fossile permette di gettare uno sguardo sull'evoluzione degli

uccelli nelle fasi iniziali della loro evoluzione.»

31 MARZO 2020 | LUIGI BIGNAMI

 
 
 

Un mini dinosauro

Post n°2726 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Focus

La scoperta del mini dinosauro (che forse non lo era)

Tesori nell'ambra: una testa fossile ben conservata,

lungo appena 7 cm becco compreso, è stato classificato

come mini dinosauro, suscitando però molti dubbi

nella comunità scientifica.

Il fossile di Oculudentavis khaungraae conservato dall'ambra.Il fossile di Oculudentavis khaungraae conservato

dall'ambra. | LIDA XING  

Era il 2016 quando in una miniera del Myanmar

(l'ex Birmania) un gruppo di minatori trovò un pezzo

di ambra con incastonato quello che sembrava il cranio

di un piccolo uccello.

Ora siamo nel 2020 e quel fossile straordinario è stato

descritto e battezzato in uno studio pubblicato su Nature,

condotto dall'università di Pechino: si chiama Oculudentavis

khaungraae ed era, secondo gli autori, un mini dinosauro 

vissuto 99 milioni di anni fa, in pieno Cretaceo.

Lungo appena 7 cm, l'animale sarebbe quindi il dinosauro

più piccolo mai scoperto. Non tutto il mondo della paleontologia,

però, è d'accordo con queste conclusioni.

EVOLUZIONE ESTREMA. 

In realtà, su un dettaglio sono tutti d'accordo: il fossile è

straordinario, perché minuscolo (ciò che l'ambra ha presevato

è lungo meno di 1 cm, becco escluso) e conservato alla

perfezione, qualcosa di molto raro quando si parla di strutture

così piccole e fragili.

«È più piccolo del cranio di un colibrì», commenta uno degli

autori dello studio, Lars Schmitz, e secondo la collega Jingmai

O'Connor «l'animale è minuscolo perché con ogni probabilità

viveva su di un'isola»: gli ambienti isolati, in particolare quelli

insulari, sono infatti favorevoli a processi di "evoluzione

estrema", proprio come la miniaturizzazione a cui sarebbe

andato incontro l'Oculudentavis.

DINOSAURO, O ANCHE NO. Se nessuno mette in discussione

l'eccezionalità del fossile, ci sono però dei dubbi sulla sua

attribuzione: molti paleontologi (tra cui l'italiano Andrea Cau),

dopo aver letto lo studio, hanno scritto che secondo loro

non si tratta di un dinosauro o di un uccello, ma di una "lucertola",

o meglio di un rettile non-dinosauriano.

Anche la stessa O'Connor appare indecisa: in un'intervista a Yahoo 

uscita il giorno della pubblicazione, spiegava che «quella forma

del cranio si vede solo negli uccelli e in qualche dinosauro, ma

non esistono vere e proprie caratteristiche del cranio che definiscono

gli uccelli, quindi potrebbe essere un dinosauro... o anche

qualcosa d'altro».

19 MARZO 2020 | GABRIELE FERRARI

 
 
 

Un dinosauro simil pipistrello

Post n°2725 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Focus

Il dinosauro con le ali di pipistrelloUn nuovo fossile

conferma l'esistenza di piccoli dinosauri con arti e

ali simili a quelli dei pipistrelli: un'ipotesi a lungo

considerata bizzarra.

dinosauro-pipistrello_ambopteryx-longibrachiumIllustrazione: il dinosauro pipistrello. |

 CHINESE ACADEMY OF SCIENCES  

Se pensate a un dinosauro probabilmente vi immaginate

un T. rex, o magari un velociraptor, un brachiosauro (i

giganteschi erbivori di Jurassic Park), forse anche un

 Suskityrannus hazelae (il nuovo, piccolo parente dei T. rex)...

Pensereste mai a un pipistrello? Adesso avete anche questa

scelta: un gruppo di paleontologi cinesi ha annunciato la

scoperta delle tracce fossili di un piccolo sauro, battezzato 

Ambopteryx longibrachium, vissuto 163 milioni di anni fa:

un dinosauro che, in vita, sfoggiava caratteristiche simili

ai pipistrelli.

IL DINOSAURO-PIPISTRELLO.

 «Quando abbiamo visto il fossile nelle rocce del Giurassico

a Liaoning pensavamo fosse un uccello», afferma il paleontologo

Min Wang (Chinese Academy of Sciences, Pechino), coordinatore

dello studio pubblicato su Nature, per via degli arti anteriori

relativamente lunghi rispetto al corpo, come gli uccelli moderni.

Lo studio del fossile ha però portato alla luce una verità

differente, a partire dalle "dita" lunghe, una caratteristica

assente negli uccelli e alle tracce di tessuti molli attorno agli

arti anteriori e al tronco dell'animale, interpretati come lembi

di pelle che probabilmente assomigliavano alle ali di pipistrello.

 

Giurassico, dinosauri, Ambopteryx longibrachium, paleontologia, fossili, dinosauro pipistrelloIl fossile rinvenuto in uno strato di rocce datate a circa

163 milioni di anni fa e, a fianco, una ricostruzione

schematica dell'animale basata sullo studio del fossile.

 | CHINESE ACADEMY OF SCIENCES

IL VOLO DEL DINOSAURO.

 Il fossile si aggiunge all'unico altro reperto che aveva

fatto pensare all'esistenza di sauri pipistrelli, chiamato 

Yi qi, entrato in possesso del Museum of Nature di

Shandong (Cina), nel 2007.

Lo studio su quel fossile fu pubblicato su Nature nel 2015,

ma la comunità scientifica giudicò "bizzarri" il reperto e

le conclusioni dello studio.

«Se chiedessi a un paleontologo di disegnare un dinosauro

molto particolare, non ne verrebbe mai fuori qualcosa di

simile a quanto si era ipotizzato per Yi qi», ammette il

paleontologo Stephen Brusatte (Università di Edimburgo):

«questo è il motivo dello scetticismo.

Ma l'ambopteryx cambia tutto: un tempo davvero vivevano

anche dinosauri-pipistrello.»

 

Giurassico, dinosauri, Ambopteryx longibrachium, paleontologia, fossili, dinosauro pipistrelloIllustrazione: il dinosauro pipistrello. 

| CHINESE ACADEMY OF SCIENCES

Sulla questione delle "ali" Jingmai O'Connor, co-autrice della

scoperta recente e dello studio, afferma che «al momento è

molto difficile fare ipotesi sul come e sul se l'ambopteryx

potesse volare.

Un'idea su cui stiamo lavorando è che il volo dell'animale

potesse essere qualcosa a metà tra il "volo" di uno scoiattolo

volante e quello di un pipistrello».

Difficilmente se ne verrà a capo senza trovare altri fossili di

 Ambopteryx longibrachium, ma una cosa adesso è certa:

con questa scoperta l'albero genealogico dei dinosauri è

diventato più ricco e affascinante.

 
 
 

News sulla forza di gravità

Post n°2724 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

La gravità si può modificare?Un campo gravitazionale

è prodotto dalla presenza di masse di qualunque tipo,

da una stella fino a un granello di sabbia: la gravità è

una proprietà della materia.

Si può modificare la gravità?| ZASTOLSKIY VICTOR / SHUTTERSTOCK  

Un campo gravitazionale è il prodotto della presenza

di una o più masse di qualunque tipo, da un'intera

galassia di stelle al più piccolo granello di sabbia:

basta spostare una di queste masse, aggiungerne una

al sistema che stiamo considerando o farne svanire una

per modificare il campo gravitazionale.

È anche possibile vincere l'attrazione gravitazionale, per

un po': quando lanciamo un razzo, per esempio,

contrastiamo la gravità del nostro pianeta con una energia

(quella potenziale del combustibile) che ci permette di

allontanarci - finché abbiamo carburante o non siamo

abbastanza lontani nello Spazio e ci siamo liberati dal

guinzaglio gravitazionale del pianeta, enormemente

superiore al nostro.

Quello che invece purtroppo non si può fare è agire sulla

gravità con altri mezzi, per esempio con un congegno che

annulli il nostro peso (che è l'effetto della gravità sulla

nostra massa) e ci permetta di galleggiare, come

astronauti nello Spazio: tutti i sistemi di "levitazione"

oggi allo studio fanno uso di un campo magnetico in

grado di contrastare quello gravitazionale, ma non lo

modificano.

 
 
 

I denti fossili....

Post n°2723 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

 

Homo sapiens e Neanderthal: quando si sono separate le due specie?L'ultimo antenato comune tra le due specie potrebbe essere molto più antico del previsto: è l'ipotesi elaborata dallo studio sui denti di Neanderthal vissuti in Spagna.

uomo-di-neanderthal-antenatiUna riproduzione dell'Uomo di Neanderthal esposta al MUSE di Trento. | SHUTTERSTOCK  

Quello con i Neanderthal fu un rapporto così intimo da lasciare tracce indelebili nel nostro DNA. Tuttavia, se gli incroci con questa specie di ominini risalgono a un'epoca relativamente recente (fino a poco prima della scomparsa definitiva dei "cugini", avvenuta circa 40 mila anni fa), c'è stata un'epoca in cui condividevamo un antenato comune. A quando risale la separazione?


La maggior parte delle stime basate su studi genetici indicava, finora, un periodo compreso tra i 500 mila e i 300 mila anni fa. Ma secondo uno studio pubblicato su Science Advances, le strade di Sapiens e Neanderthal si sarebbero divise almeno 800.000 anni fa, molto prima di quanto credessimo.


EVOLUZIONE A MORSI. La ricerca di Aida Gomez-Robles, antropologa dell'University College London, si basa sull'analisi di denti fossili di Neanderthal e altri ominini: in particolare, si concentra sulla rapidità di differenziazione della dentatura tra individui della stessa specie, caratteristica che rimane piuttosto costante, nella storia evolutiva dei proto-umani.

 


UN DATO CHE NON TORNA. Lo studio è partito da un'incongruenza nota agli archeologi, che riguarda alcuni denti fossili ritrovati nella Sima de los Huesos, una grotta delle montagne di Atapuerca, in Spagna, abitata circa 430.000 anni fa. Al suo interno sono emersi i fossili di una trentina di individui, che per le caratteristiche genetiche e anatomiche sembrerebbero essere Neanderthal della prima ora.

GIÀ DIFFERENZIATI. Le loro mascelle presentano infatti molari e premolari molto piccoli, simili a quelli dei Neanderthal successivi, e molto diversi dai denti più larghi e primitivi che si attribuiscono all'ultimo antenato comune con i Sapiens. La forma dei denti evolve in modo simile in tutte le specie di ominini, incluse quelle con denti molto piccoli o molto grandi.

Analizzando i denti rinvenuti nella grotta spagnola e quelli di altre sette specie di ominini (inclusi un Australopithecus afarensis e un Paranthropus robustus), Gomez-Robles ha cercato di capire quando avremmo dovuto separarci dai Neanderthal, per dare tempo alla loro dentatura di assumere caratteristiche così specifiche, molto diverse da quelle di partenza.


I denti fossili delle varie specie analizzate, a confronto. |

AIDA GOMEZ-ROBLES, ANA MUELA AND

JOSE MARIA BERMUDEZ DE CASTRO

TROPPO IN FRETTA.

 Se questa separazione fosse avvenuta 500-300 mila anni fa, come

creduto finora, la dentatura Neanderthal non avrebbe avuto tempo

a sufficienza per assumere le caratteristiche che mostrano i reperti

della Sima de los Huesos.

La spiegazione più probabile è, pertanto, che il più recente antenato

in comune con i Sapiens risalga ad almeno 800.000 anni fa: solo

considerando questa distanza temporale il ritmo dell'evoluzione dei

denti rinvenuti nella grotta è coerente col ritmo evolutivo riscontrato

con altre specie di ominini.

Se l'ipotesi si rivelasse corretta, potremmo escludere dall'album di

famiglia condiviso con i Neanderthal tutte le specie di ominini vissute

prima di 800 mila anni fa.

 
 
 

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