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il massacro istituzionale contro i migranti. Parla Laura Boldrini, dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati
Post n°4536 pubblicato il 01 Aprile 2011 da cile54
«A quest’Italia mancano slancio e solidarietà» La portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Laura Boldrini, punta il dito contro «la macchina dell’accoglienza, inadeguata e lenta». I migranti? «Percepiti come invasori». Nei giorni dei trasferimenti in massa verso la penisola, la portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Laura Boldrini, conferma che «la situazione più preoccupante è ancora Lampedusa». Come valuta la gestione dell’emergenza sull’isola? Lampedusa da troppi giorni sta vivendo una situazione davvero incredibile. Avere 6.000 migranti su un’isola di 5.000 persone crea un disagio sia ai migranti stessi che non ricevono l’adeguata assistenza sia agli abitanti dell’isola che si sentono spossessati dalla loro terra. Così come agli operatori umanitari perché mancano i presupposti per poter offrire un’accoglienza dignitosa alle persone e le stesse forze di polizia e dell’ordine sono in affanno. Una situazione che sta restituendo una brutta immagine dell’accoglienza italiana. Quando in passato si sono registrati molti arrivi, (nel 2008 oltre 30mila persone contro i 20mila di questi giorni) non era mai accaduto che i migranti dovessero dormire sul molo, che ci fossero queste situazioni di degrado. Cosa è cambiato rispetto al passato? Manca un ingranaggio importante alla macchina messa in piedi. È stata sottovalutata l’importanza di avere un’organizzazione logistico-sistematica e i trasferimenti delle persone che arrivavano sono stati più lenti. L’emergenza è dovuta al fatto che il sistema non ha funzionato come avrebbe dovuto. In passato il procedimento funzionava bene: il soccorso in mare, il trasferimento dal porto al centro di prima accoglienza; poi l’identificazione, noi completavamo l’informativa e nel giro di 48 ore i migranti ripartivano. I lampedusani - e i turisti - nemmeno si accorgevano di quanto stava accadendo. In questo caso, invece, con un flusso di persone molto concentrato, la macchina dei trasferimenti non è stata adeguata. Crede opportuna l’individuazione di tredici nuovi siti sulla penisola da destinare all’accoglienza? Questo non sta a me valutarlo, sono i territori a doversi esprimere su cosa sia più fattibile pragmaticamente. Quello che vedo è c’è molto poco slancio nel dare aiuto. Dispiace veramente dover constatare che questi arrivi vengono percepiti come invasioni. Contrariamente, in passato c’è sempre stata una gara di solidarietà tra enti locali, associazioni, Ong, circoli, scuole. Durante la crisi del Kosovo, per esempio, si innescò una vera competizione a chi faceva di più, chi offriva di più. Tutto questo oggi si è perso. A prevalere sono l’ansia, la paura e la non disponibilità; ed è riduttivo per un Paese che in termini di accoglienza non aveva nulla da invidiare. Cosa contribuisce a creare questa percezione? E' cambiato il lessico, innanzitutto. Non si parla di gente che sta arrivando dal Nord Africa per motivi umanitari, bensì di “clandestini”, che è una parola con un’accezione negativa che dovrebbe essere messa al bando, soprattutto da chi svolge funzioni istituzionali. Inoltre, finora sono arrivati soprattutto tunisini fuggiti per motivi economici, quindi migranti irregolari. Ma da sabato scorso sono giunti anche i richiedenti asilo in fuga dalla violenza e dalla guerra in Libia. Persone con bisogni umanitari e quindi da tutelare. Cosa potrebbe far rientrare l’emergenza? Per quanto riguarda i tunisini le soluzioni devono essere trovate negli accordi bilaterali tra Stati, se non c’è un’intesa con lo Stato di provenienza non si risolve nulla. Per il flusso dalla Libia molto dipende dalle attività militari e dal futuro del Paese. Dina Galano
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
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