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Un viaggio a basso impatto ambientale alla scoperta del Cilento. Il mare come una discarica e nessuno controlla

Post n°5102 pubblicato il 23 Agosto 2011 da cile54

La nostra odissea in barca a vela. Tra inciviltà, rifiuti e zero servizi

 

Andare per mare a basso impatto ambientale. Fare campeggio nautico senza inquinare. Non è un’utopia. Con delle semplici accortezze si evita di trasformare il mare in una fogna a cielo aperto. Il problema, semmai, è di tipo culturale. Oltre che legato all’assenza di servizi in banchina per i diportisti. La nostra traversata inizia dal porto commerciale di Salerno. A bordo di una barca a vela da 9 metri, veleggeremo facendo rotta verso il Cilento. Già dalla scelta del natante si può capire la sensibilità ambientale di chi va per mare. L’uso del vento per navigare al posto di motoscafi plananti della stessa lunghezza, che consumano in media 130 litri di gasolio l’ora, è già un buon sinonimo di sostenibilità e rispetto per l’ecosistema. All’arrivo nel porto turistico di Salerno, in pieno centro, ci rendiamo subito conto dell’impatto ambientale che può avere sul mare un certo tipo di diportismo estivo. Lo specchio d’acqua è diventato una pattumiera: assorbenti, bottiglie di plastica, carta igienica, pomodori, lattuga, un mare di alghe e schiuma, circondano le barche ormeggiate piene di turisti. Eppure in porto è vietato tenere aperte le prese a mare.

 

 Lo scarico del bagno e del lavello della cucina devono cioè finire nei serbatoi per le acque nere che poi vanno svuotati in banchina laddove ci sono gli appositi aspiratori. Mentre quelle che non hanno la cisterna possono usarli solo in mare aperto. Proprio per questo, nei porti dovrebbero esserci bagni e lavatoi per i diportisti. Ma, soprattutto al Sud, spesso non ci sono e così ognuno fa come gli pare. E nessuno controlla e sanziona. Chiediamo spiegazioni al gestore del pontile che non si scompone: «Appena cambiano le correnti si ripulisce tutto». Vuol dire che nessuno si prenderà la briga di raccoglierli. Così quando cambierà il vento quella discarica galleggiante invaderà le vicine spiagge, inquinando ancora di più, per la gioia dei bagnanti. A vigilare sui diportisti, fare formazione e pretendere il rispetto del mare, dovrebbe essere proprio chi gestisce i pontili. Appena carichiamo a bordo gli zainetti con i vestiti, i viveri e i detersivi, rigorosamente biodegradabili, il motoscafo ormeggiato a fianco a noi accende i motori e libera nell’aria un nauseabondo odore di gasolio.

 

 Poi, appena molla l’ormeggio, alghe e rifiuti gli inceppano un motore e funzionando solo il sinistro va a sbattere conto un’altra barca. Toccherà al gestore del molo tuffarsi in quell’acqua ricoperta da una patina oleosa per liberare le eliche. Anche noi dobbiamo uscire a motore, visto che in porto è pericoloso e soprattutto vietato andare a vela. Avendo un solo motore con una grande elica, usciamo però dal porto senza problemi. E una volta al largo issiamo le vele, sia la randa che il fiocco. A quel punto le barche a motore dovrebbero darci la precedenza dato che navighiamo sfruttando il vento. Peccato che i motoscafi appena escono dal porto iniziano a planare a tutta velocità incrociando la nostra rotta. Oppure ci passano di fianco facendoci ballare per le onde che generano i loro potenti motori. Forse nemmeno conoscono le regole del mare. Non per niente per chi naviga entro le sei miglia dalla costa e con motori non superiori ai 40 cavalli di potenza, la patente nautica non è obbligatoria.

 

 Se a questo sommiamo che in media almeno il 70 per cento dei diportisti usa la propria imbarcazione un mese l’anno è facile capire come mai soltanto nel mese di agosto negli scontri in mare tra natanti siano morte 7 persone. La nostra prima notte la trascorriamo nel porto di Agropoli, porta del Cilento. Costo dell’ormeggio, 40 euro. Le colonnine sul pontile ci consentono l’allaccio all’energia elettrica, così da ricaricare le batterie e usare i servizi di bordo, e avere l’acqua potabile per riempire il serbatoio della barca. Ma l’offerta del porto finisce lì. Non ci sono bagni, figuriamoci lavatoio o lavatrici a gettoni, e manca l’isola ecologica. Tanto che la mattina seguente, sul motoscafo ormeggiato a fianco a noi, una donna fa tranquillamente il bucato. Lava i panni in una bacinella col normale detersivo domestico, che poi finisce direttamente in mare. Nel frattempo, il marito pulisce i vetri con uno sgrassatore da cucina, manco fossero intrisi d’olio.

 

 Il risultato, tra le nostre proteste, è una grande chiazza di schiuma in mare. Inutile dire che noi laviamo la barca con un prodotto naturale a base di aceto e limone mentre in cucina usiamo un apposito detersivo biodegradabile che a contatto con l’acqua di mare si scioglie senza lasciare tracce in pochi minuti. In tarda mattinata facciamo rotta verso Policastro, attraversando la parte più rinomata del Cilento: Palinuro e Punta Infreschi. Una zona bellissima, nella quale a primavera, navigando a vela, è facile incontrare delfini che giocano inseguendo la barca. Ma ad agosto Punta Infreschi si trasforma invece in una distesa, senza soluzione di continuità, di yacht ormeggiati con tante persone che fanno il bagno, prendono il sole e mangiano, lavando ancora una volta i piatti col normale detersivo che finisce dritto in mare. Schiuma in acqua per l’ennesima volta. L’unica nota positiva è che per salvaguardare la poseidonia sui fondali, l’ente parco ha vietato l’uso dell’ancora, installando numerose boe alle quali ormeggiare. Del resto la maggior parte della gente che vediamo in mare esce in barca la mattina per poi ritornare in porto a fine giornata.

 

 La sera ormeggiamo a Policastro, dove si attracca per 30 euro al giorno. Il porto è stato rinnovato da poco e il piano rifiuti estivo del Comune ci lascia positivamente sorpresi. Su tutte le spiagge, come del resto in banchina, ci sono decine di isole ecologiche per la raccolta differenziata. Lo scalo è dotato di bagni e docce. L’unica nota dolente è che l’acqua è fredda. Di un pannello solare nemmeno l’ombra. Inoltre, mancano gli specchi sui lavelli. Il risultato è che per fare la barba al mattino, sfruttiamo lo specchietto di un auto. Altri, invece, la fanno in barca. Scaricando ancora un volta in mare la schiuma. Stessa cosa per il bucato. Anche qui, insomma, i servizi restano un miraggio. La banchina principale è per fortuna dotata di aspiratori per le acque nere e gli oli esausti. Peccato siano inutilizzabili perché hanno fatto ormeggiare anche davanti alle pompe che non sono abbastanza lunghe per essere adoperate ugualmente.

 

 Sogniamo altre strutture, come il porto calabrese di Tropea o quello abruzzese di Pescara, dove in banchina ci sono minimarket, bar, ristoranti, noleggio biciclette e motocicli, docce calde, lavabi, lavanderie self service, stirerie e addirittura teatri all’aperto. L’inquinamento in mare provocato dai diportisti sarà anche un problema culturale, ma di certo anche l’assenza di servizi nei porti non aiuta affatto. Chissà che qualche sindaco illuminato non cominci ad essere d’esempio per molti altri colleghi, decisamente meno lungimiranti.

Alesssandro De Pascale

22/08/2011

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