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A Milano l'Ambulatorio Medico Popolare gratuito è sotto sfratto e lo sgombero incombe

Post n°5318 pubblicato il 08 Ottobre 2011 da cile54

I diritti non chiudono bottega

 

L'Ambulatorio Medico Popolare gratuito è sotto sfratto e lo sgombero incombe. Non è la prima volta.

L'annosa vicenda si trascina da anni ma, ironia della storia, è proprio nell'anno del "cambio del vento" che la minaccia si fa più seria. Lo scorso 29 settembre la forza pubblica non si è vista, ma l'ufficiale giudiziario ha dato appuntamento al 15 novembre.

Ma cosa vogliono eliminare dallo scenario milanese? Siamo nel 1994, è la Milano da bere, della moda. Una Milano il cui costo sociale è altissimo. Così i consultori cominciano a chiudere o a funzionare a singhiozzo; l'assistenza sanitaria ai migranti, fra i quali molte donne, è inesistente; l'educazione sessuale, anche in chiave di prevenzione all'Aids, è ferma al palo; il disagio psichiatrico in aumento. Che fare? Da una assemblea cittadina sui diritti negati arriva l'idea: Ambulatorio Medico Popolare gratuito aperto a tutti, italiani e non. Medici volontari, telefono viola e sportello per gli abusi psichiatrici, infopoint per indirizzare i migranti alle corrette strutture sanitarie, consultorio autogestito.

E' un collettivo di donne che si occupa di salute che mette a disposizione gli spazi: un negozio parte della storica palazzina occupata di via dei Transiti 28. I lavori partono: impianto di riscaldamento, arredi ed attrezzature per allestire un ambulatorio accogliente e funzionale che rispetti i criteri igienico sanitari e riunioni su riunioni per dare forma e consistenza ad un progetto tanto ambizioso quanto provocatorio.

Sono passati ormai 17 anni e l'Ambulatorio Medico Popolare (Amp) è ora un'associazione autogestita e autofinanziata. Ai servizi sanitari pensati nel lontano '94 si è ultimamente aggiunto uno sportello legale, Punto San Precario.

I numeri sono importanti: trenta visite gratuite a settimana, cinquemila persone visitate, un continuo lavoro di formazione ed informazione nelle scuole, accompagnamenti, mediazione culturale, cause di lavoro. Ma la strada è stata lunga e sempre in salita soprattutto se teniamo presente che siamo in una Lombardia che, da Tangentopoli in avanti, ha visto susseguirsi solo giunte di destra e dove la privatizzazione della sanità ha trovato un laboratorio d'eccezione. La prima battaglia riguardò il diritto alla maternità responsabile. Era l'epoca in cui per la legge Martelli gli stranieri irregolari semplicemente non esistevano, qualsiasi tipo di assistenza sanitaria era a pagamento, le immigrate pagavano fino a un milione e mezzo di lire per un aborto. Per questo elaborammo nel 1995, con Naga, Medicina Democratica, Caritas e Camminare Insieme, una legge di iniziativa popolare per l'accesso alle strutture sanitarie con il parzialissimo esito, ben lontano dalle nostre intenzioni, di ritrovarci gli articoli da noi elaborati sul diritto alla salute travasati in una legge liberticida come la Turco-Napolitano (ora Bossi-Fini) che istituisce i campi di detenzione per stranieri.

Nel 1998 viene approvata la Legge sanitaria regionale Borsani che sancisce il cambiamento del sistema sanitario da "servizio" ad "azienda", ovvero soldi ai privati - modello Clinica Santa Rita - a fronte di ticket, chiusura di servizi, dequalificazione del servizio pubblico. Un sistema sanitario basato sul rapporto tra il numero di prestazioni effettuate e il profitto di chi le produce, senza spazio per politiche di prevenzione e di diritto alla salute. Insomma, una strategia pianificata per favorire affari privati, ora sotto gli occhi di tutti, che prontamente l'Amp denunciava come strettamente connessa alla sottrazione dei diritti dei migranti a partire dal delittuoso legame tra lavoro e permesso di soggiorno.

Dal 2002 ad oggi, infatti, le cosiddette sanatorie diventano maxicondoni per i datori di lavoro che lucrano sul lavoro migrante e schedatura di massa per le persone immigrate. Quelle badanti e quei muratori, quei venditori ambulanti e quelle colf, quei bambini e quelle famiglie che vediamo nel nostro quotidiano lavoro di cura ci sembrano sempre tanto stridentemente lontane dalla immagine violenta e razzista che ne ha chi vede il mondo solo da uno schermo televisivo.

Nel nostro quartiere multietnico (non ce ne vogliano i leghisti, è questo il futuro) abbiamo visto diffondere ad arte la cultura della paura e il mito della "sicurezza" incarnato da camionette ed esercito, e abbiamo visto la paura vera delle percosse nel corso dei rastrellamenti, della lunga prigionia nei Cie, dell'espulsione, la rabbia per le truffe in corso di sanatoria, per gli affitti da rapina, per comportamenti razzisti e discriminatori in uffici e strutture sanitarie e soprattutto per l'assoluta ricattabilità nel lavoro.

Eppure all'Ospedale San Paolo di Milano, anche sotto l'impulso del nostro lavoro, è nato un ambulatorio per migranti senza tessera sanitaria che garantisce le cure - come peraltro previsto dalla legge - all'interno del servizio pubblico, con costi certamente inferiori a quelli richiesti dalle camionette, dagli sgomberi dei campi Rom, dalle retate sugli autobus.

L'apertura di altre strutture simili è uno dei nostri obiettivi, perché tutelare i diritti è il solo modo di tutelare la sicurezza di tutti. Altro nostro obiettivo, non sembri strano, è quello di chiudere: lo faremo nel momento in cui a tutti e a tutte venga garantito il diritto alla salute. Questo è l'Amp, questo è quanto non capirà mai chi ha comprato i locali per poche lire nel 2002, che ha provato a farci chiudere con l'assurda accusa di esercizio abusivo della professione medica, ovviamente perdendo la causa, e che ora vuol mettere a frutto il suo «buon affare» pretendendo un risarcimento per presunti danni di oltre 15mila euro. Perché mai la legge del profitto dovrebbe essere l'unica a prevalere?

Questa è l'esperienza che rischia di chiudere. Noi non chiediamo nulla per la nostra associazione, chiediamo "solo" che venga garantita la medicina di base a tutti come già avviene in altre regioni italiane, che si alzi una voce istituzionale contro la vergogna che si ripete giorno dopo giorno nel Cie di via Corelli, dove rivolte e pestaggi sono cronaca quotidiana da quando sono stati vietati i cellulari. Tra immigrazione e diritti negati, primo il diritto alla salute, sta il crinale delle trasformazioni possibili su cui una "sinistra", comunque la si voglia intendere, deve interrogarsi e schierarsi. Per dirla con uno slogan, i diritti non si sfrattano.

 

A cura dell'Ambulatorio Medico Popolare di Milano

06/10/2011

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Roma, 12 maggio 1977

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