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Questi sciacalli sanno bene che la crisi si sconfigge solo cambiando i trattati dell’Unione Europea e fermando la BCE

Post n°5650 pubblicato il 08 Dicembre 2011 da cile54

Manovra, crescerà soltanto la miseria

 

Tiriamo le somme. Quelle economiche e quelle politiche che fatalmente ne deriveranno. Enormi le une e le altre. La manovra, per la parte attribuibile alla volontà del governo Monti, è cosa fatta. Vedremo fra breve, ma ne dubito alquanto, se il parlamento sarà in grado di spostarne anche solo una virgola.

Cominciamo con le pensioni, in primo luogo quelle di anzianità, ormai avviate sui binari dell’estinzione. Per fruirne, d’ora in poi occorreranno 42 anni di contributi, mentre la facoltà di accedervi con il doppio requisito (anagrafico + contributivo, attraverso il meccanismo delle quote) è del tutto abrogata. Cosa significa? Semplicemente che quanti alla data odierna avevano raggiunto “quota 95” (per esempio: 36 anni di contributi versati e 59 anni di età) e fra poco, con la normativa in vigore, avrebbero potuto maturare il diritto alla pensione, ora dovranno lavorare altri sei anni, fino a raggiungere la soglia contributiva minima. Né finisce qui, perché coloro che, avendo cominciato a lavorare molto giovani (e tali sono, molto spesso, proprio i dannati dei lavori manuali, alla catena di montaggio, nell’edilizia et similari), ove raggiungessero i fatidici 42 anni di contribuzione, poniamo all’età di 60, se non vorrano subire penalizzazioni economiche ne dovranno lavorare altri due. Anche la pensione di vecchiaia viene elevata a 66 anni (62 per le donne, che la vedranno progressivamente crescere fino a raggiungere la parità nel 2018). Dunque, si lavorerà molto di più per ricevere sensibilmente di meno, anche grazie all’introduzione, per tutti, del contributivo “pro-rata”. Come si vede, una solenne mazzata. Di più. Con i nuovi requisiti, in ragione della labile copertura garantita dagli ammortizzatori sociali, oggi sopravvissuti, i lavoratori più anziani, anello debolissimo del mercato del lavoro, che incapperanno nel licenziamento, rischiano di non sapere più come campare. A tutto ciò si aggiunge l’infame balzello imposto alle pensioni già in essere che, al di sopra della franchigia di 980 euro lordi (due volte la minima) non saranno più indicizzate al costo della vita. Misura questa ancor più insopportabile se si pensa che essa è stata introdotta non per assicurare al sistema un equilibrio contabile che già c’è, ma soltanto ed unicamente per fare cassa. Invece, verso il basso, l’accanimento rincrudisce, perché l’Iva, la più indecente delle imposte indirette, crescerà in modo indiscriminato, di due punti.

Della patrimoniale, persino nella blanda versione evocata da Confindustria, si sono perse le tracce.

L’enorme ricchezza privata, concentrata nel decimo più ricco della popolazione, resta intonsa. Il governo non ha saputo andare oltre un prelievo, in extremis, dell’1,5% sui capitali “scudati”, quelli cioè fraudolentemente accumulati, esportati all’estero e poi ripuliti attraverso un risibile prelievo del 5%: un autentico riciclaggio di Stato a cui ora si aggiunge un tenero buffetto. Le banche, invece (cosa di cui si parla pochissimo), sono state gratificate di un regalo: i debiti da esse accumulati saranno ripianati dallo Stato.

L’ineffabile Presidente del Consiglio ha presentato questa manovra con toni da ultima spiaggia, come un primo passo «per evitare la fine della Grecia». Ma ha mentito. Perché le risorse per una manovra antidepressiva guidata alla mano pubblica nella manovra non ci sono e l’Italia si sta avvitando in una recessione pesantissima destinata a vanificare i durissimi sacrifici imposti al Paese. Monti - avendo eletto a mantra incontestabile il pareggio di bilancio - è prigioniero del diabolico teorema monetarista che combatte il male riproducendolo. Quando fra breve si vedrà che il rapporto debito/pil non migliora e che l’Italia non sarà in grado di onorare il proprio debito, la speculazione, libera di agire senza contrasto, si abbatterà di nuovo sull’Italia, con contraccolpi non più governabili. Merkel e Sarkozy lo hanno già messo a preventivo, ipotizzando per la prima volta, in modo esplicito, che l’euro potrebbe sopravvivere solo per un’élite di paesi europei.

Malgrado tutto ciò sia di una chiarezza lampante, il Pd, come avevamo previsto, si appresta a far sua la manovra. «Va aggiustata un pochino», ha detto Bersani, mostrando tutta la patetica impotenza di quella che fu l’opposizione parlamentare. Chissà se in cuor loro i Democrats non si stiano chiedendo se non sarebbe stato meglio andare alle urne per chiedere ai cittadini il consenso ad un’altra manovra, dentro un’altra strategia, per un altro progetto di Paese e di Europa. Forse una porzione di quel partito è assalita da questo dubbio. Ma soccomberà perché, come abbiamo già detto, vi sono atti “costituenti”, che nei momenti “topici” ti fanno precipitare da una parte o dall’altra del crinale, dove le mezze misure, le aree grige non sono più praticabili. Con conseguenze irreversibili. Almeno per un tempo lungo.

Vedremo oggi se i sindacati che hanno giudicato iniqua la manovra e annunciato uno sciopero per lunedì prossimo, sapranno andare oltre un atto di mera testimonianza.

 

Dino Greco

07/12/2011

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