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Mega progetto della multinazionale Usa. 211 km quadrati di pozzi di petrolio ai margini del parco nazionale del Cilento

Post n°6063 pubblicato il 05 Marzo 2012 da cile54

Vallo di Diano: No Shell

I contadini dissotterrarono le vanghe di guerra, i cittadini di Sala Consilina si riscoprirono tali a suon di assemblee, i politici che avevano fiutato l’affare furono costretti a fare buon viso a cattivo gioco e a salire sulle barricate per fermare chi voleva trasformare una cittadina del sud Italia in una grande piattaforma petrolifera. Oggi, quindici anni dopo quei giorni, dopo la Texaco a riprovarci, negli stessi luoghi, è la Shell, con un mega progetto di trivellazioni ai margini del più grande parco nazionale d’Italia, quello del Cilento e Vallo di Diano. Di fronte si troverà ancora una volte personaggi come Mimmo Calicchio, un mite professore barbuto con in tasca il manifesto che si trovò proiettato sul fronte solo per aver deciso di andarsene a vivere poco fuori dal paese, e in men che non dica si trasformò nel subcomandante della Selva cilentana. Poi, qualche tempo dopo, sventata la minaccia di affacciarsi tutte le mattine su un pozzo di petrolio e di veder scorrer nero dai rubinetti, da leader della protesta «no oil» fu catapultato alla testa di una «lista zapatista» che tentò l’assalto al comune. Il miracolo però non si ripetè e i politici di professione del luogo si dimostrarono infinitamente più forti della Texaco, che pure le aveva provate tutte per convincere le persone che il petrolio avrebbe portato finalmente il lavoro e benessere che a queste latitudini mancavano da troppo tempo. Ingegneri prezzolati inviati alle infuocate assemblee cittadine a sostenere le ragioni dei petrolieri, documentari sugli effetti benefici delle trivellazioni in Amazzonia mandati in onda sulle tv locali a chissà quale prezzo, non bastarono a convincere gli abitanti del Vallo di Diano, Non era accaduto lo stesso qualche anno prima nella confinante Val d’Agri, dove in cambio di qualche prebenda (royalties ai comuni e assunzioni a termine di alcuni disoccupati) i cittadini si erano convinti che sarebbero diventati il Texas italiano e avevano abbandonato le terre che coltivavano per investire i loro risparmi in camion che sarebbero dovuti servire, come in effetti fu ma solo finché non fu ultimato l’oleodotto, a trasportare l’oro nero a Taranto. Dopo qualche anno i contratti a termine non furono rinnovati, i camion divennero inutili e i miraggi di crescita e sviluppo furono archiviati senza neppure l’appello di una possibile riconversione ecologica o di un ritorno alla terra e ai suoi prodotti. Accadeva nel 1997, questa val di Susa ante litteram ubicata ai piedi della Campania ai confini con la Basilicata, e mai l’avremmo rievocata se non fosse accaduto che, proprio in questi giorni, otto comuni del Vallo di Diano si sono visti recapitare una lettera della Shell intestata così: «Intervento di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma denominato Monte Cavallo, in provincia di Salerno, nei comuni di Atena Lucana, Montesano sulla Marcellana, Padula, Polla, Sala Consilina, Sant’Arsenio, Sassano, Teggiano». Allegati, il progetto e uno studio di impatto ambientale. L’«Operazione Monte Cavallo bis» è, se possibile, ancora peggiore di quella tentata 15 anni fa dalla Texaco, perché i pozzi sarebbero disseminati su un’area vastissima, ben 211 chilometri quadrati, non tra monti e colline bensì in aree urbanizzate. A dirla tutta, il monte Cavallo non c’entra nemmeno granché, visto che dal progetto è stata tenuta fuori, probabilmente non a caso, l’area geografica che all’epoca fu bocciata per via dell’impatto ambientale. Una furbata che costringe i protagonisti della battaglia dell’epoca e i tanti giovani che non sono emigrati come i loro coetanei a tornare in trincea ritirando fuori tutte le buone ragioni di allora, fortificate dal fatto che oggi, con l’esperienza diretta di 25 anni di petrolio nella vicina val d’Agri, nessuno crede più al miraggio dell’oro nero. Torna a galla anche il lavoro del geologo Franco Ortolani, che da allora è il punto di riferimento per qualsiasi comitato ambientalista nasca in Campania. In estrema sintesi, le obiezioni del professore (e del comitato «no petrolio») si possono raccontare così come il subcomandante Calicchio le aveva esemplificate ai suoi studenti in un chiarissimo libretto di qualche anno fa, «Il petrolio in terza H»: i pozzi sarebbero ai margini del più grande polmone verde di una regione che di scempi ne ha conosciuti già troppi; tutta la vallata è ad alto rischio sismico, e chi c’era la sera del 23 novembre del 1980 sa di cosa si parla; e, cosa affatto marginale, nel sottosuolo non c’è solo petrolio ma una falda acquifera tra le più importanti della regione. Il problema, non di poco conto, è che tutti sanno che sotto quel «panno di biliardo» (la felice definizione è del paesologo Franco Arminio) già punteggiato da troppe villette e capannoni che è il Vallo di Diano l’oro nero c’è eccome. Lo sanno le multinazionali e lo sanno alcuni imprenditori locali (pochi, per la verità) che si sono schierati con la lobby del petrolio. I sindaci invece stanno compatti dall’altra parte della barricata, a Montesano sulla Marcellana hanno convocato immediatamente un consiglio comunale aperto e a Sala Consilina è nato un comitato «No al petrolio» che sta organizzando la resistenza nell’intera vallata, non accettando di essere trattata come gli indios di un romanzo di Manuel Scorza. Per ora tutti aspettano di sapere cosa deciderà il ministro Passera. Dovesse arrivare un sì alle trivelle, scommettiamo su un boom delle vacanze «no oil» nel Cilento e nel Vallo di Diano.

Angelo Mastrandrea

04/03/2012

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