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Denunciamo l’indegnità di coloro che dovrebbero rappresentarci, e invece si pongono “su di noi”, con boria e prepotenza

Post n°6999 pubblicato il 24 Ottobre 2012 da cile54

Denunciamoli tutti!

Ogni volta c’è da rimanere stupefatti. Poi, complice la nostra memoria corta, e il susseguirsi vertiginoso di eventi, riprendiamo il cammino: ma se ci si ferma un momento, lo spazio per la speranza nell’autoriforma del ceto politico e amministrativo del Paese Italia appare giorno dopo giorno più ridotto.

Non sono soltanto ministri e sottosegretari, assessori e presidenti regionali e via discendendo, ma, anche troppo spesso, funzionari pubblici di vario grado e livello, che appaiono convinti di poter gestire il piccolo o grande potere nelle loro mani come se fossero tanti feudatari che godono di totale impunità, giuridica e prima ancora morale.

Non ci eravamo ancora ripresi dall’agghiacciante scena presentatasi nel Padovano, di un nugolo di agenti, maschi e femmine, che strappano un bimbo alla sua scuola e ai parenti di parte materna – strappano, letteralmente, incuranti dei pianti del pericoloso criminale (un bambino di dieci anni) e delle urla degli adulti, sconvolti da tanta stolida brutalità – che altri episodi si sono materializzati sulle cartacee pagine dei quotidiani o sugli schermi di pc e televisioni. Un bimbo iperattivo e dislessico, in una scuola elementare trevisana strattonato bruscamente dalla maestra, le scaglia contro un tubetto di colla, ed ecco che l’autorità scolastica non trova di meglio che… chiamare i carabinieri. Siamo alla follia.

 

Che il nostro Stato, del resto, abbia una tendenza antica, nel mutare dei governi e dei climi politici, a presentarsi come Stato di polizia, è assodato. La politica nata come arte della convivenza nella città, e diventata poi del buon governo, quindi scienza del potere, intendendosi comunque il potere sempre come un mezzo per realizzare il “bene comune”, si è andata trasformando in mera tecnica di esercizio di quel potere, secondo fini che spesso esulano del tutto dagli interessi generali. Se a questo processo aggiungiamo lo specifico italiano, con Giovanni Botero che fin dal 1589 teorizza lo Stato nei termini di un “dominio fermo sui popoli”, con le aggravanti di certe tradizioni come quella borbonica e papalina e anche sabauda, possiamo affermare che prima e dopo l’Unità, lo Stato è la divisa militare, la “lucerna” del carabiniere, il moschetto del soldato impegnato in azioni di ordine pubblico, il manganello del poliziotto, e via seguitando. Fino a quell’inappuntabile “ispettore di polizia” (grado di un certo livello, che richiede studi ed esperienza, tanto negli uffici, quanto sulla pubblica via), che, davanti alle proteste della zia del bimbo “rapito” (su richiesta di un padre a dir poco disinvolto, certo, e su ordine della magistratura), le ha tappato la bocca con un ineffabile: “Io sono un ispettore di polizia. Lei non è nessuno!”.

Certamente non mancano le giustificazioni: lo stress del servizio, la tensione nervosa, il crollo emotivo; ma dopo aver assistito, sempre grazie a un benedettissimo filmato (evviva i telefonini!), alla sceneggiata indecorosa di un “Prefetto della Repubblica Italiana” (con sovrabbondanza di maiuscole), che ha fatto tacere, con un’aggressione verbale degna di tutt’altra causa, un prete anticamorra, reo di essersi rivolto a una collega del funzionario limitandosi a chiamarla “Signora”, invece che “Signora Prefetto”, ebbene si è capito che abbiamo una lunga strada da fare. E che le lauree in Giurisprudenza e in Scienze politiche concesse generosamente da alcune Facoltà universitarie ad agenti e funzionari di polizia, in seguito ad accordi interministeriali, a fronte di un pugno di esami e un gruzzolo di denaro, sono state un errore gravissimo. Abbiamo capito che l’abc della Costituzione, unitamente alle buone maniere, restano obiettivi lontani per larga parte del funzionariato tanto militare, quanto civile.

Quel tale prefetto – di Napoli, per la precisione; e con la minuscola – che ritenendosi depositario di chissà quale carisma sacrale, ha apostrofato duramente il sacerdote – mille volte più degno di lui, su ogni piano –, che gli rappresentava il problema dei rifiuti bruciati dalla camorra, ebbene quel prefetto non solo è indegno, come la sua collega ispettore, del ruolo che occupano, ma meriterebbero ambedue di essere inviati in una casa correzionale, a studiare le materie essenziali, a cominciare dall’Educazione civica, dalla psicologia al diritto, dalla storia alla sociologia. Eppure, se ciò accadesse, cambierebbe qualcosa? Temo di no. Di prefetti arroganti, poliziotti supponenti, presidi (o “dirigenti scolastici”) privi di buon senso, ne rimarrebbero anche troppi. È necessario intanto, però, “che gli scandali occorrano”, come si legge nel Vangelo di Matteo; il quale però aggiunge: “ma guai a coloro attraverso cui arrivano”. Per noi oggi, in questo contesto storico, laici o credenti che siamo, ogni canale di comunicazione è buono. “Denunciamoli tutti”, recita lo slogan di un movimento della società civile piemontese contro gli inceneritori; un motto che va ripreso e rilanciato ben oltre la lotta agli inceneritori, alla Tav, e così via. Denunciamo l’indegnità di coloro che dovrebbero rappresentarci, e invece si pongono “su di noi”, con boria e prepotenza; documentiamola, con lo scritto e la parola non teniamoci la verità in tasca, quando ne veniamo a conoscenza. Non voltiamoci dall’altra parte.

Angelo D'0rsi

23/10/2012 www.micromega.it

 
 
 
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