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« Gli italiani hanno perso...Lavoro, ambiente e salut... »

Oggi si tratta infatti di battersi per vivere, per non morire, nella micidiale indistinzione di orizzonte esistenziale

Post n°7626 pubblicato il 12 Aprile 2013 da cile54

Esperienze di rivolta di vite schiacciate dal patto di stabilità

Il pregio di un libro che racconta i conflitti sociali degli ultimi tre anni in Italia, dal 14 ottobre 2010 al 14 novembre 2012, è arrivare fuori tempo massimo nella cronaca della crisi che esso tematizza. A differenza di un istant-book, preda delle inevitabili distorsioni dello spettacolo allestito dai media in tempo reale, il primo libro scritto da Angela Azzaro, Nuove tecniche di rivolta (Fandango editore, euro 10) testimonia la giusta distanza nei confronti di eventi traumatici che la crisi scrive sui corpi e sulle parole. Il libro infatti è un'utile traccia per ricostruire un'archeologia del presente, nello scarto tra il progressivo affievolirsi dell'intensità dei conflitti e quanto accaduto con le proteste studentesche e precarie alla fine del 2010, le primavere arabe, le acampadas indignate del 2011 e le occupazioni di teatri, cinema, officine, campi coltivati, stabili dismessi del 2012, per finire con le nuove occupazioni degli studenti medi, il 6 dicembre scorso. Laddove sembrava di contare sul potere di ricomposizione che, due anni fa, ad esempio il movimento NoTav o la vicenda Pomigliano avevano additato, quell'istanza di ricomposizione scompare negli incerti e faticosi inizi del 2013. O meglio, rivela un'inadeguata percezione della realtà da parte degli stessi soggetti che quei conflitti hanno prodotto. Ecco perché è importante generare teoria critica, cioè far valere il tempo dell'elaborazione concettuale in cui l'istanza critica si manifesta prima e non dopo l'accadere delle lotte e delle rivendicazioni. È quanto affermano le testimonianze di donne, uomini e ragazzi che Angela Azzaro, ex-redattrice di Liberazione e oggi vicedirettrice del settimanale Gli Altri, ha raccolto, viaggiando nel paese del precariato diffuso, delle partite Iva ridotte sul lastrico, degli impenditori che si suicidano per debiti con Equitalia. Ma anche dei lavoratori dello spettacolo che si autorganizzano, degli studenti che occupano. Privilegiando però le nuove figure della povertà che trent'anni di postfordismo hanno generato e altrettanti di liberismo hanno costretto nel patto di stabilità delle vite: pastori, agricoltori, camionisti, commesse, accomunati non da un orizzonte di cambiamento sociale ma dall'abitare una forma di vita. Oggi si tratta infatti di battersi per vivere, per non morire, come l'autrice scrive nell'introduzione, nella micidiale indistinzione di orizzonte esistenziale e ruolo sociale, condizione materiale di esistenza e rappresentazione di sé nel non lavoro, dimensione biografica singolare e racconto che altri, più potenti, fanno della crisi. Per Giovanna, precaria in un negozio di biancheria intima, per Maria, portavoce dei pastori sardi, per Alessando occupante del teatro Valle, come per Flavio, studente di liceo, Gianni camionista e Danilo dei Comitati riuniti agricoli, come per gli operai che la Fiat è costretta a riassumere, non è importante lottare per il salario, ma per non essere schiacciati da quella inesorabile indistinzione di esistenza e attività (o produttività), forma di vita e lavoro, che è lo strumento più potente approntato dal liberismo. La crisi fa emergere il fatto ineludibile che la mercificazione delle vite è una prassi di soggettivazione tanto quanto un apparato di cattura del desiderio. Un dispositivo per schiacciare qualsiasi tentativo di riappropriazione di vite future, comunque destinate a sostituire uno stato sociale scarnificato e ridotto in briciole. Di questo ci parla l'attacco esteso e continuo che la governance europea ha attuato negli uffici e nelle fabbriche, nelle piazze e nelle scuole, nei campi e nelle piccole imprese contro la riqualificazione di spazi e tempi, saperi e poteri. In questa situazione la riappropriazione di sé precede la ricomposizione, e può esserne il presupposto, come dichiarano le voci qui raccolte. Non troppo paradossalmente, ciò che manca nel libro indica ciò a partire da cui potrebbe generarsi un movimento, magari sulle macerie della non rappresentanza rappresentata dal movimento 5stelle: la vicenda dell'Ilva, unica storia non finita perché la sua cronaca ci presenta in forma sintetica il profilo di possibili conflitti.

Paolo B. Vernaglione

11/4/2013 www.ilmanifesto.it

 
 
 
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G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI

Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

Più di 240 pagine e 250 vignette e illustrazioni/storie per raccontare (dal 2005 al 2012) com’è che siamo finiti così.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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