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Le ignobili reazioni politiche e giornalistiche di fronte al gesto di un disperato nascondono la follia delle loro politiche
Post n°7693 pubblicato il 30 Aprile 2013 da cile54
Ipocrisie e cattiva coscienza di regime Dosi massicce di ipocrisia e di cattiva coscienza nutrono i commenti di molti politicanti che oggi puntano il dito contro quanti criticano con veemenza gli inquilini dei palazzi del potere. Chiunque si opponga all’ordine di cose esistente è accusato di essere il mandante morale che ha armato la mano di Luigi Preiti. E’ un vecchio vizio manigoldo, quello di criminalizzare il dissenso politico, che oggi si ripete con ancor meno fondamento di ieri, in un’Italia totalmente diversa da quella degli anni di piombo. Un’Italia sfibrata e sdegnata dal malgoverno, dalla corruzione, dall’ingiustizia, dalle inaudite soperchierie, dai privilegi, dalle gozzoviglie trimalcionesche delle classi dominanti che incarnano un recidivante insulto alla povertà, alla disoccupazione, alla precarietà di tanta parte dei cittadini. Eppure, nel Paese, non c’è l’ombra di una reazione che inclini alla violenza. Ha dovuto ammetterlo persino il neo-ministro degli interni Angelino Alfano, subito contraddetto dalla marmaglia fascista degli Alemanno, dei Gasparri, dei la Russa, lesti a spiegare che le parole dure, le manifestazioni di piazza finiscono per istigare atti inconsulti. Solo con una punta di prudenza in più, ma sostanzialmente nello stesso senso e con gli stessi intenti, si muove il “giornalettismo” cortigiano a cui Giorgio Napolitano aveva chiesto di sostenere il nuovo governo e la fraudolenta “coesione nazionale” che dovrebbero corroborare il “governo delle larghe intese”. La verità è che quasi nessuno, fra coloro che menano una vita grama, che soffrono sotto i colpi dell’austerity, impugna un arma per colpire a caso o chi ritenga responsabile della propria infelicità. Sono invece molti quelli che chiudono il conto con atti estremi di autolesionismo, puntando un’arma contro di sé o appendendosi ad una trave. Sono coloro che sono stati convinti a pensare che della propria condizione sono essi stessi responsabili e colpevoli. Anche la vergogna di cui parlano i messaggi dei loro drammatici commiati sono spesso un atto di autoaccusa, maturato nella solitudine e nella disperazione più nera in cui ciascuno è lasciato. Qualcuno glie la fa a resistere, altri gettano la spugna, ma il vissuto di abbandono è ormai la cifra esistenziale della quotidianità di tante persone che sopravvivono, ma senza uno straccio di speranza. Quegli episodi, in crescita esponenziale, sono ritenuti meno gravi. Come se, in fondo, fossero fatti privati. Un pò di retorica e la commozione di circostanza viene rimossa dal discorso pubblico. I fautori delle politiche sociali che portano la responsabilità di questa situazione, i procuratori di disgrazie altrui che con le terga al sicuro oggi rovesciano la frittata e intimano a chi si rivolta di tacere per non scaldare gli animi se ne vadano pure a quel paese: di “questo” Paese a loro non importa nulla. Dino Greco 29/04/2013 www.liberazione.it |
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Roma, 12 maggio 1977
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