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Dove andrò quando il nulla non mi permetterà altre vie di fuga? Dormiranno sereni quelli che hanno permesso tutto questo?

Post n°8249 pubblicato il 06 Novembre 2013 da cile54

La Storia di Anna

La Storia di Anna, che credeva di essere nell'Eden (la Banca Unicredit) e si ritrova ad essere un semplice numero: una Serva della Gleba. Ma il finale della storia apre alla speranza:  Anna ha la forza di alzare gli occhi e di guardare i suoi colleghi... e capisce che è necessario lottare, lottare, lottare.

Saluti

Gino Carpentiero

sez. Pietro Mirabelli di Medicina Democratica Firenze

 

Diciamo che mi chiamo Anna, e sono una donna di circa 35 anni, una persona come tante: un marito, due figli, di cui una piccola che va ancora all'asilo, e l'altro alle medie, e fino a qualche tempo fa lavoravo con un certo orgoglio nel più grande gruppo bancario d'Italia: Unicredit Group.

Ho sempre amato il mio lavoro, stavo bene con i miei colleghi, ed in coscienza credo di avere sempre dato il massimo nelle mie attività.

Nel 2009, mi venne proposto con tanto entusiasmo di partecipare ad un progetto innovativo che avrebbe dato l'esempio a molte altre aziende su come si poteva e doveva evolvere la gestione delle risorse umane, ed io felice accettai.

Pensavo che se tra tanti avevano scelto me, voleva dire che mi ritenevano brava e capace di affrontare nuove e stimolanti sfide, in più avevo il vantaggio di avere l'asilo aziendale proprio nel palazzo dove avrei svolto il mio lavoro, a tutto vantaggio, quindi, anche della serenità della mia bambina e quindi della mia famiglia.

Lavorai molto, e con tanto impegno a questo progetto, e tutte le mattine ero contenta di andare a lavorare perchè sentivo che stavamo costruendo davvero qualcosa di nuovo.

I miei dirigenti, poi, continuavano a prospettarci un futuro veramente roseo, ed io mi fidavo di loro. Perchè non avrei dovuto?

Anche i miei colleghi la pensavano come me, ed anche se eravamo un gruppo eterogeneo: c'erano persone con esperienza trentennale, ed anche giovani appena affacciatisi al mondo del lavoro, ci eravamo amalgamati bene, e l'ambiente lavorativo era veramente piacevole.

Quindi ero serena, e tutto ciò influiva positivamente anche sulla mia vita privata. D'altra parte si sa che non si può scindere il lavoro dal resto della propria esistenza.

In ufficio passiamo moltissimo tempo, e se si passa del buon tempo, a casa si arriverà con il sorriso sulle labbra pronte ad affrontare i piccoli grandi guai quotidiani che una famiglia deve gestire. Ma, ripeto ero serena: lavoro soddisfacente, uno stipendio sicuro per dare un tetto sulla testa ai miei figli, insomma tutto a posto.

Un giorno d'estate arrivarono i nostri dirigenti a chiederci di firmare una lettera, un pro forma, dissero. Passavamo dalla Holding ad una società consortile appena creata, ma non cambiava nulla, la proprietà restava al 100% unicredit, era solo una questione fiscale.

Io ebbi qualche perplessità mettendo quella firma, ma ancora una volta mi fidai. Se lo dicevano i miei responsabili, in modo così sereno, perché dovevo preoccuparmi? In effetti apparentemente non cambiò nulla.

Si c'erano delle voci sul fatto che si stessero preparando a creare tante piccole società end to end da cedere un pezzetto per volta, ma non c'erano prove concrete, erano solo voci.

E così passo dell'altro tempo. Io ero un po' turbata, ma facevo il mio lavoro con il solito spirito coscienzioso di sempre, anche perché continuavano a ripeterci che noi eravamo "le mele buone" il "gioiellino" di Unicredit.

In quei mesi uscì un film si intitolava "il gioiellino", appunto e parlava del tracollo della Parmalat. Io andai a vederlo con mio marito e ne rimasi turbata, ma mi detti della sciocca. Cosa centravamo noi con quella vicenda?

Nulla.

Ed il tempo passava, quelle voci sulle società end to end aumentavano, e la crisi economica mondiale mordeva le caviglie anche di Unicredit. Ed io non ero più tanto serena e felice di andare in ufficio tutte le mattine. Un giorno ci giunse la notizia che c'era uno studio di fattibilità in corso che

prevedeva la nostra vendita ad HP, ma venimmo come sempre tranquillizzati, solo che questa volta il dubbio, il tarlo si insinuò profondamente nella mia testa.

Cosa diavolo c'entravamo noi con HP, un'azienda che produce computer, non eccelsa nel suo campo, anzi che stava pesantemente effettuando tagli di personale e che addirittura stava cedendo il suo core business, perchè in pesante perdita?

Incominciai ad avere piccoli problemi di salute: mal di testa, stanchezza, ero sempre irritata, preoccupata e triste. Come prima raccontavo tutto ciò influiva anche sul resto della mia famiglia.

Iniziarono a tremarmi le gambe: cosa stava succedendo davvero?

E lo scoprii presto: ci stavano vendendo davvero ad HP. Le mele buone, il gioiellino era diventato qualcosa di cui ci si poteva disfare con tranquillità.

Mi sentii come si dovevano sentire i servi della gleba: venduti ad un altro padrone insieme alla loro terra, come persona non contavo nulla. I miei sogni, le mie speranze, il mio lavoro di tanti anni, il mio impegno, via sparito tutto.

Venduta come si vende una cosa inanimata.

Ovviamente venimmo tranquillizzati ancora dai nostri dirigenti nuovi, ed anche da quelli "vecchi": eravamo parte  di un progetto innovativo che avrebbe dato l'esempio a molte altre aziende su come si poteva e doveva evolvere la gestione delle risorse umane, parole già sentite, a cui non credevo però più.

E le cose da allora sono peggiorate, giorno per giorno sono peggiorate.

Tante parole, tante promesse, ma dietro di esse il nulla.

Restavo la serva della gleba, che vedeva portarsi via il lavoro verso un paese lontano dove sarebbero state fatte promesse ad altre persone ingenue.

Promesse che neppure lì verranno mantenute, ne sono certa.

Mi hanno spostato in tre uffici diversi, nel giro di pochi mesi. Non facevo in tempo ad imparare un'attività che già dovevo andare da qualche altra parte, perchè il mio lavoro finiva in Polonia, e nel frattempo nessuna commessa è arrivata, nessuna nuova attività ha sostituito quelle che hanno preso il volo.

Era come stare nel libro di Ende: Fantasìa. Dove il tuo mondo si sgretola, c'è il nulla che avanza e tu devi fare di tutto per non essere inghiottita da quell'enorme buco nero.

Ora non vado più in ufficio serena, i miei problemi a casa di sono aggravati, i miei unici pensieri sono: troverò ancora la mia scrivania e fino a quando? Quale futuro potrò dare ai miei figli: quella bambina che si fida così tanto della sua mamma, ed a quel ragazzino che sta arrivando troppo velocemente all'adolescenza? Dove andrò quando il nulla non mi permetterà altre vie di fuga? Dormiranno serene le persone che hanno permesso tutto questo? Farò la fine dei tanti disperati operai che arrivano ai gesti più estremi pur di difendere la propria dignità di persona calpestata con tanta noncuranza? Cosa dovrò fare per difendere il mio diritto al lavoro, perchè non scordiamoci mai il primo articolo della Costituzione: " l'Italia è un Paese fondato sul lavoro". Ed io amo la nostra Costituzione.

Ed è pensando a tutto ciò che un giorno ho alzato gli occhi dal mio dolore personale e dalla mia scrivania ed ho visto, forse per la prima volta, i visi dei miei colleghi: avevano i miei stessi occhi, soffrivano dei miei stessi mal di testa, provavano il mio stesso dolore. Allora ho capito: insieme, dobbiamo alzare tutti gli occhi dalla scrivania, e guardare gli occhi dell'altro accanto a noi e lottare, lottare, lottare per la nostra dignità di persone e perchè per una volta, non sia il nulla ad avere la meglio su degli esseri umani.

Divulgata da Massimo Torelli

2/11/2013

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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