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DONNE, MEDIA E SALUTE DELLA GIUSTIZIA

Post n°247 pubblicato il 29 Aprile 2007 da cile54

immagineIl dramma secondo gli organi di stampa

Da una ricerca Auxilia su infanticidio e abbandono dei minori emerge che su un totale di 71 casi di infanticidi e abbandoni il 27% è causato da straniere e il 73% da donne italiane. Tra le donne straniere, le madri vengono in Italia per partorire e lasciare qui il bambino, altre sono clandestine e spesso sono costrette a lasciare il loro bambino perché convinte di non avere nessuna forma di assistenza e tutela.

Dal 1995 abbiamo valutato 46 infanticidi e 25 neonati abbandonati. Gli anni in cui la stampa sembra aver dato maggiori notizie riguardanti questo problema sono stati il 1996 e il 2002. Da questi dati, soprattutto se confrontati con i dati ISTAT, si potrebbe dedurre che la sofferenza nata da una gravidanza indesiderata produce un malessere delle donne sempre più presente o che ci sono sempre più donne senza la tutela necessaria a sopportare una gravidanza non desiderata o non riconosciuta.

Motivazioni e modalità operative

In letteratura si evidenzia l’importanza della situazione psicologica della donna che commette un infanticidio o abbandona un neonato. Spesso la donna non riconosce la sua maternità e non accetta la gravidanza. I soggetti coinvolti in questi drammi sono donne che spesso vivono difficoltà legate a problemi di tipo sociale ed economico, hanno un basso livello di autostima, hanno subito violenze, hanno famiglie difficili, sono giovani, non vogliono raccontare o compromettere la vita futura ed hanno ambizioni. Spesso le gravidanze sono vissute di nascosto dai familiari, dai mariti, dai fidanzati. In molti articoli si legge la testimonianza di zie o madri che riferiscono “Non mi sono accorta di nulla, questi giovani vestono maglie larghe non si nota la pancia.” Fidanzati che raccontano ”Non mi aveva detto niente”. Il fatto di nascondere al marito, o al padre del figlio è un fatto molto importante e determinante per capire la sofferenza psicologica della donna, che può non essere cosciente di essere gravida.

Dalla ricerca emerge che il rifiuto della gravidanza nella maggior parte dei casi si esprime attraverso il gettare il feto nei cassonetti dell’immondizia, spesso avvolto in un panno e messo in un sacco di nylon. Dagli articoli emergono molte testimonianze di operatori ecologici che si sono accorti troppo tardi del piccolo, quando gli ingranaggi dei mezzi adibiti alla raccolta dei rifiuti lo stavano schiacciando e uccidendo. Raramente si riesce a salvare il bambino abbandonato nel bottino. Alcune volte il neonato viene soffocato, messo nella lavatrice o in una stufa. Altre madri invece partoriscono in casa mettono il bambino in un sacco e lo chiudono nell’armadio. In questi casi spesso il fetore allarma i vicini o la donna delle pulizie che scopre il caso. Alcune volte il bambino viene abbandonato sui binari, ai cigli delle strade, sulla rive del fiume. Con minor frequenza il neonato viene lasciato sulle scale di un condominio, di un convento, in un ospedale. In questo caso la donna probabilmente spera che il bambino venga accolto da qualcun altro che se ne possa prendere cura. Questo aspetto è di rilevanza importante, perché nei primi casi i luoghi non sono compatibili con la vita e la donna focalizza il neonato ma non riconosce la gravidanza, mentre nelle modalità di abbandono in luoghi dove la vita è possibile la donna prende coscienza della gravidanza e del figlio ma non della maternità. Un elemento che permette di scoprire il dramma è che permette alla magistratura di valutare il reato commesso è che la donna non è in grado a gestire tutto il parto da sola. Questo provoca un collasso od un’emorragia o un infezione per ritenzione di materiale placentare che costringe la donna a recarsi in ospedale.

Emerge che su un totale di 71 infanticidi e abbandoni il 27% delle donne coinvolte sono straniere e il 73% italiane. Tra le donne straniere, le madri vengono in Italia per partorire e lasciare qui il bambino, altre sono clandestine e spesso sono costrette a lasciare il loro bambino perché convinte di non avere nessuna forma di assistenza e tutela. Il fattore età è risultato rilevante solo nel 50% dei casi. Dai dati emerge che nella maggior parte dei casi ad abbandonare o uccidere il proprio bambino sono donne mature, la loro età va dai 20 ai 40 anni. Poche sono minorenni o giovani ragazze, solo il 6%, e spesso esse sono impaurite o inesperte. Molte di queste donne sono studentesse che non hanno voluto il bambino e che, nopn essendo riuscite ad abortire, vogliono continuare a studiare a vivere la loro vita senza un bambino.

Dalla letteratura scientifica e criminale, emerge che solitamente un fattore significativo è la presenza di una situazione di disagio vissuta dalla donna, che può andare dalla povertà alla dipendenza da alcol e droghe. Dai dati scientifici risulta che le madri assassine sono piuttosto giovani, affette da forti sindromi depressive, che provocano fenomeni di distacco emotivo o alterazione della realtà, oppure hanno subito gravi stress a causa di perdite e lutti. Non c’è dubbio che i mass media abbiano un ruolo fondamentale nel focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo fenomeno ma risulta che al loro interesse attuale corrisponda un incremento dei casi registrati.

Quanto scritto, su elementi conoscitivi presi dal sito Social News, vuole essere una prima riflessione sullo spettacolo del delitto di COGNE. Pare che dal 1995 al 2005 di tutte queste povere donne 70 siano in carcere ed 1 fuori. Non mi sento e non sono un giustizialista, mi pare però che in questo caso salti agli occhi che la giustizia è una roba da ricchi; ergo chi ha i soldi, gli appoggi e quant’altro la scampa, per contro chi non ha nulla va al carcere. In tutta questa faccenda mi ha colpito tantissimo un’affermazione del Procuratore Vittorio Corsi:- nessuno è parte civile del bimbo Samuele-

Arnaldo Sanità

 
 
 
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Roma, 12 maggio 1977

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