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QUANDO L'OMICIDA E' ITALIANO I MEDIA SONO TENERI
Post n°1334 pubblicato il 13 Giugno 2008 da cile54
la mura dentro casa Lei peruviana, lui italiano. Allora vale meno?
Brianza. Da Muggiò vanno a Usmate Velate. E' venerdì, inizia il fine settimana. Devono vedere come procedono i lavori della nuova casa. Ma per Anabela Paz, 35 anni, peruviana, quella casa diventa una tomba. L'ultima, terribile, dimora. Il compagno, Luigi Gennaro, 48 anni, brianzolo, fa l'ennesima scenata di gelosia. La donna, forse stanca di quell'atteggiamento, gli urla che il figlio di quattro anni lo ha avuto da un'altra relazione. Lui le mette le mani al collo e la uccide. Ma questo è - quasi - niente. Le costruisce un sarcofago in muratura poi va a comprare dell'acido che le versa addosso sperando di far sparire il cadavere. La sfigura, ma non riesce a dissolvere il corpo. La seppellisce in una tomba costruita tra le mura della casa. Fin qui avremmo dovuto usare il condizionale. Perché il racconto è quello fornito dallo stesso assassino ai carabinieri di Muggiò, presso i quali si è recato il lunedì successivo per denunciare la scomparsa della compagna. Troppe contraddizioni. I militari non gli hanno creduto e il giorno dopo lo hanno sottoposto a un interrogatorio durato molte ore. Alla fine ha ceduto e ha ammesso l'omicidio. Non sappiamo se è andata veramente così. Che cosa si sono detti. Ma il corpo è lì, è stato ritrovato. Sfigurato. Deturpato. Senza più la possibilità di dirci come è andata. Che cosa ha pensato in quegli atroci momenti. Colui che dice di amarti che ti vuole uccidere. Ti uccide. E' un caso emblematico e per questo lo raccontiamo. Come si sa gli omicidi da parte di compagni mariti fidanzati fratelli rappresentano il 90% delle violenze contro le donne. Una strage che non si ferma e che continua nel silenzio. Il nome di Anabela Paz è stato scritto dalle agenzie molto dopo che la notizia era stata dettata la prima volta. Il nome di Giovanna Reggiani, la donna uccisa lo scorso novembre, fu subito reso pubblico a caratteri cubitali. Ma solo dopo aver scoperto che era italiana e non romena come si pensava all'inizio. La sua uccisione da parte di un uomo romeno è diventata la giustificazione per tentare di far approvare dal governo Prodi un decreto sicurezza razzista contro un intero popolo. Anabela non interessa. Il suo nome conta poco. E' una migrante uccisa da un italiano. Non serve alla destra e neanche al Pd. E' una donna uccisa dal suo compagno. Non è stata uccisa per strada da un delinquente, dall'uomo nero, da qualcuno da mandare volentieri in prigione come esempio per tutti. La notizia ha probabilmente avuto rilievo per la mancanza totale di pietas . L'acido buttato sul corpo come gesto simbolico di odio, di disprezzo. Ma forse ha anche inciso il fatto che l'uomo è un muratore, un operaio. Avrebbero fatto lo stesso se era un famoso professionista? Eppure si sa, gli uomini che uccidono le donne non hanno distinzione di età, classe sociale, paese di provenienza. Le agenzie chiamano raptus il gesto di Luigi Gennaro. Cioè un atto improvviso di follia, una perdita di controllo momentanea dovuta all'orgoglio offeso. Ma lo stesso reo confesso ha detto il contrario. Litigavano spesso, lui e Anabela. Lei era esasperata dalle sue continue crisi di gelosia. Non è stato un raptus da padre ferito. E' stata la conseguenza di un rapporto, di un modo di vivere la relazione come proprietà, come dominio. Anabela Paz è stata uccisa dalla normalità. La normalità dei rapporti di coppia, dei ruoli, di una società che vive nella contraddizione tra libertà delle donne e tentativo di ripristinare un ordine maschile. Fa paura guardare quella normalità. Si dovrebbero mettere troppe cose in discussione. Alla radice. Per questa ragione si continua ad inseguire la cosa più facile e più comoda. Ma anche più terribile. Punire, aumentare la morsa del controllo e della sicurezza, mettendo le donne sotto tutela. Così le donne continueranno a morire per mano dei mariti e la società, tutta la società, diventerà peggiore.
Angela Azzaro Liberazione 13/06/2008 |
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
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