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« Questa è la crisi reale....SOMMARIO SETTIMANALE 24/... »

Attenti al governo di transizione, è una sola! E' il berlusconismo senza Berlusconi, con Marchionne ministro ombra!!!

Post n°3648 pubblicato il 31 Luglio 2010 da cile54

Sarebbero felici Confindustria e banche del fatto che un bel "governone" tecnico possa gestire la crisi senza conflitto sociale in una rinata responsabilità nazionale da qui al 2013. Sarebbe la chiusura del cerchio e Napolitano firmerebbe con inchiostro dorato la nomina del nuovo premier. Un bel governone con qualche tecnico di AN agli interni e magari un premier "tecnico" mandato da Bankitalia a spiegarci che i numeri comandano sulla politica, un UDC ministro alla famiglia e qualcuno del centro sinsitra alla giustizia. Berlusconi è cotto ma non c'era ancora un progetto in grado di batterlo. In molti nei piani alti sarebbero contenti di sostituire un Cesare con un loro uomo di riferimento, che non dia altri scossoni al paese, ma ancora i tempi non sono maturi. Oggi come per incanto qualcosa ha cominciato a muoversi non appena Futuro e Libertà ha emesso i primi vagiti. Il primo a muovere il terreno è D'alema che ha aperto le braccia a Fini! A Casini che ci pensa da tempo una ipotesi del genere non disdegnerebbe ( sempre che il vaticano sia d'accordo). Pure Lombardo comincia a pensare a come contrattare il suo spazio dato che la pattuglia dell'MPA potrebbe pesare molto più di prima rispetto ai numeri ristretti di Berlusconi alla camera. Se il progetto avrà sostanza altri voti in uscita prima o poi arriveranno non appensa scatterà il si salvi chi può nelle file del PDL. La strada per un governo senza Belrusconi sembra tracciata, la terza repubblica rischia di nascere di nuovo con un colossale inciucio tra le classi dominanti di questo paese, e pensare che in giro c'è ancora chi pensa al centro sinistra come alternativa.

E’ finita la Seconda Repubblica 

«Mi sono tolto un peso, come con Veronica»: con questa frase volgare di Berlusconi, che dimostra, insieme, razzismo patriarcale e un presidenzialismo padronale che pretende fedeltà e odia la critica, viene sancito, di fatto, il crollo della Seconda Repubblica. Una fine volgare per una Seconda Repubblica meschina. L’avevamo previsto, ne abbiamo discusso, ne discuteremo per molto tempo.

Non abbiamo mai ritenuto, infatti, che la crisi politica fosse generata solo da rancori personali fra Berlusconi e Fini; si sgretolano, invece, posizioni di potere, fondate sull’intreccio organico tra economia legale ed illegale, tra mafia, politica, concezione della governabilità. La crisi della globalizzazione liberista, nella sua ferocia anti operaia e anti popolare, è costretta ad operare comunque ad un livello di trasparenza, senza ipocrisie e nascondimenti, «il re è nudo», gridò inascoltato, più di dieci anni fa, il movimento altermondialista; in contesti parzialmente diversi, ripartiamo da lì, ripartiamo da Seattle e da Genova. Sapendo di avere alle spalle una preoccupante passivizzazione di massa come autobiografia di una nazione e sapendo, quindi, che non servono furbizie populiste per ricostruire la buona politica, ma tattiche sociali, azioni dirette di massa, progetti (ed anche una identità ed una missione del mondo).

Dobbiamo «fare società», ricostruire pazientemente (ma velocemente) un linguaggio e un popolo di sinistra. Di cui non siamo avanguardia, ma, più modestamente, parte attiva. La crisi del capitale di questa fase storica ha due caratteristiche che incidono sul sistema politico: fallisce, definitivamente, insieme a quello che fu l’Ulivo mondiale, il liberismo temperato (basta leggere Fassino, Chiamparino, Marini, D’Alema in parziale lode a Marchionne in queste ore) che balbetta ipotesi insostenibili anche sul piano dei rapporti di forza, finendo con il lambire il campo avverso. Dall’altra parte questo campo, quello padronale, sempre più diviso ed articolato al suo interno (che non sceglie, incalzato dai processi di valorizzazione del capitale, una cooperazione multipolare, ma l’azzardo della competitività assoluta e distruttiva di diritti, saperi, culture, assetti territoriali, equilibri geopolitici e compatibilità ecologiche) non sopporta nessun livello di mediazione politica perché la sua concezione del profitto lo riporta ad una fase aspra e feroce di accumulazione.

Questo ci dicono le vicende di Pomigliano, della Fiat, della splendida resistenza progettuale (lucida, difficile ma non disperata) sia operaia che dei settori sindacali classisti come la Fiom e i Cobas.

Per questo più che mai, oggi, Pomigliano è paradigma fondativo di un conflitto che sa tenere insieme diritti sociali e diritti democratici. Non è tempo, quindi, di moderatismo centrista, della liturgica coazione a ripetere delle «unità nazionali in nome dello sviluppo» (e poi, quale sviluppo, quello di Marchionne, dell’acqua privatizzata, del nucleare, della scuola censitaria della Gelmini?).

E’ tempo di radicalità alternativa, non massimalista. Con la goffa e disperata cacciata di Fini dal Pdl si apre, infatti, una complessa stagione politica, che non ammette errori o precipitazioni da parte delle sinistre alternative. Il primo errore da evitare è quello di cominciare subito a fantasticare su un organico centrosinistra di nuovo conio. La dimensione del governo, a mio modesto avviso, è oggi preclusa a noi proprio dalla necessità di ricostruire una società più coesa. Non è un assoluto ideologico; ma oggi vi è un’alternatività. Cade un regime; crolla un sistema di potere putrescente, si sgretola il comitato d’affari che, in questi anni, ha guidato macellazione sociale e regressione democratica. La tentazione di scorciatoie va evitata proprio perché bisogna abbattere il tiranno ma senza lasciare intatte culture e comportamenti della tirannide.

Già nei primi anni 90, quando cadde la Prima Repubblica, le gravi sciocchezze nuoviste del populismo maggioritario ci regalarono il cavaliere Berlusconi al comando. Simbolicamente, si aprì un ventennio che mise tra parentesi partiti di massa, già di per sé in crisi, sindacati, strutture democratiche intermedie della società plurale, in nome della “democrazia governante”. Anche ora siamo, come allora, ad un crocevia. Sapendo che il tiranno può giocare la sua ultima carta, quella delle elezioni anticipate. Evitiamo di pensare, allora, che Berlusconi possa essere sconfitto dalla semplice contrapposizione di un “Berlusconi di sinistra”; bisogna, anzi, mettere a tema il fatto che la crisi di regime è innanzitutto crisi del bipolarismo maggioritario, che coniuga, al livello elettorale, soglie di sbarramento contro di noi con il plebiscitarismo del premio di maggioranza.

Berlusconi può rivincere le elezioni se non cambia la legge elettorale in senso proporzionale. Abbiamo bisogno di costruire una «alleanza per la Costituzione» che abbia il solo compito di cancellare il sistema bipolare con il doppio leader, bloccare i decreti per l’attuazione del federalismo secessionista e liberista, varare una legge sulla democrazia sindacale, che permetta alla Costituzione di rientrare nei luoghi di lavoro. Penso, intanto, che bisogna accelerare i tempi di costruzione del polo politico della sinistra alternativa. E’ questo il tempo della semina.

di Giovanni Russo Spena

(Editoriale di Liberazione del 31 luglio 2010)

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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