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« Circa 4 mila precari, fo...Igiaba Scego, scrittrice... »

Una cruda riflessione, senza sconti, su una forma dì mobilitazione che rischia di diventare fine a se stessa e consolatoria

Post n°4106 pubblicato il 10 Dicembre 2010 da cile54
Foto di cile54

La cecità selettiva dei “catoni di sinistra”

In Italia è corrente un luogo comune, una solfa, che si esprime di solito tramite formule del genere “dove sono gli intellettuali di sinistra?”, “perché non prendono posizione?”. Ogniqualvolta le circostanze esigono una presa di posizione pubblica contro un’ingiustizia palese, una scandalosa violazione di diritti fondamentali, un’infamia ai danni dei più sfavoriti, o in favore di chi sta lottando per difendere i propri diritti, questo o quel catone di sinistra si lascia andare alla tiritera sulla defezione degli intellettuali, ma a cose ormai fatte. Di solito si tratta di qualcuno che gode del privilegio di scrivere abitualmente per testate più o meno prestigiose o perfino d’essere ospite abituale di salotti televisivi. Il catone non ne approfitta per pronunciarsi al momento giusto, sollecitare la propria cerchia, proporre qualche iniziativa di solidarietà. No, si limita a prepararsi per la sua reprimenda ex post. Nel frattempo alcuni intellettuali - che egli disconosce come tali poiché non “vanno in televisione” e non scrivono per testate mainstream - pur negli ambiti limitati che sono loro concessi, denunciano l’infamia, protestano con vigore, solidarizzano con le vittime. Ancor peggio va se i meschini, non avendo altri mezzi per farsi ascoltare, lanciano un appello pubblico che magari raccoglie molte migliaia di firme, escluse quelle dei censori degli intellettuali di sinistra. La reazione abituale del catone è: “A che servono ormai gli appelli?”; oppure: “Che noia! Questi chierici di sinistra non sanno far altro che proporre e sottoscrivere appelli”.

Più o meno così è andata in occasione delle proteste della gru a Brescia e della torre di via Imbonati a Milano. E’ vero, questa volta sono stati davvero pochi, un numero sparuto, gli intellettuali che hanno preso posizione e solidarizzato pubblicamente. Ma lo hanno fatto in compagnia di un buon numero di associazioni, sindacati, coordinamenti studenteschi, partiti, organizzazioni di base, centri sociali, semplici cittadini o abitanti della zona. Dunque, parlare dell’“agghiacciante solitudine” che avrebbe caratterizzato la protesta della gru è alquanto inesatto e perfino controproducente. Si rischia, infatti, di avallare la tesi del gesto “disperato e isolato”, sostenuta da alcuni grandi quotidiani, per non parlare del ministro dell’Interno, per il quale quelle proteste non sono state altro che un “ricatto” da reprimere nel modo più duro possibile.

In realtà, dalla gru di Brescia e dalla torre di via Imbonati a Milano si è potuto guardare ancor più chiaramente la frattura che caratterizza, fra le tante cose negative, il panorama italiano: da un lato, c’è il palco mediatico-politico mainstream, di cui fanno parte tutti coloro che sono e/o si mettono in vista, compresi i leader di certi partiti dell’opposizione, anche di sinistra-sinistra; fuori del teatro, il piccolo mondo composito dei solidali: attivisti, intellettuali, militanti, sindacalisti, cattolici di base o solo persone “comuni”…I quali di solito sono percepiti come anonimi e senza importanza anche dopo che, per un attimo, qualcuno di loro sia riuscito a salire sul palco mediatico. E’ altrettanto vero, però – lo ha scritto di recente su questo giornale Laura Eduati - che la protesta clamorosa e coraggiosa di Brescia, seguita da quella di Milano, non è restata senza conseguenze. Negative, certo: la rappresaglia del Viminale e della Questura contro i migranti ha reso ancor più difficile la loro vita, è costata loro ulteriori sofferenze, persecuzioni, internamenti, espulsioni, come se ce ne fosse bisogno (e forse, a tal proposito si sarebbe dovuti essere più pessimisti e perciò lungimiranti). Ma anche positive: ha conferito un’ottima visibilità alla vicenda della sanatoria-truffa e alla rivendicazione della regolarizzazione. Soprattutto ha avuto un grande impatto simbolico: le proteste di questi giorni degli studenti e dei ricercatori hanno emulato l’andare verso l’alto dei migranti di Brescia e di Milano. Si può sperare che questa emulazione contenga il germe d’una possibile alleanza o almeno convergenza fra i vari soggetti sociali che in questa fase lottano per i propri diritti. Certo, non aiuta, anzi contribuisce ad allargare la frattura, il comportamento di certi politici dell’opposizione: li abbiamo visti fare la coda per salire sul tetto della facoltà di Architettura di Roma; non ci risulta che si siano messi in fila per scalare la gru di Brescia o la torre di Milano. Li si può comprendere, è una questione di stile. Infatti, fin dai primordi del movimento studentesco è chic farsi vedere ad Architettura occupata, dove oltre tutto si può incontrare tanta bella gente del jet set. Viceversa, che caduta di stile sarebbe arrampicarsi goffamente su una gru o su una torre per mostrarsi con quegli straccioni!

Invece noi, che apparteniamo alla piccola cerchia di intellettuali molto radical e poco chic (nondimeno coltiviamo un’eleganza tutta nostra), amiamo arrampicarci verso il basso della condizione sociale. Non per “populismo”, come chioserebbe l’ipotetico catone di cui prima, ma perché pensiamo che la vera volgarità risieda in tutto quel che oggi puzza di potere, comunque si travesta. E perché intuiamo che per essere al passo con i tempi e provare ad anticipare il futuro si debba stare dalla parte dei meteci. Ché meteci in fondo siamo pure noi, quantunque con qualche privilegio in più: artigiani della cultura, abitanti di rango inferiore della Città-Stato, esclusi dai suoi luoghi più simbolici - lo spettacolo, la Politica, l’Accademia. Perciò anche noi invisibili o disconosciuti da chi ciancia: “dove sono gli intellettuali di sinistra?”, “perché non prendono posizione?”.

Annamaria Rivera

08/12/2010

 
 
 
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