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La tragicomica commedia del PD a Torino: pregiudiziale anticomunista, si a Marchionne, si alla TAV. Vendola d'accordo!

Post n°4300 pubblicato il 01 Febbraio 2011 da cile54

Candidati, totem e tabù

 

Se i sogni rappresentano in qualche modo la complessità interiore, il sogno di un candidato sindaco della Torino che dice NO al ricatto di Marchionne può rivelarsi un autentico incubo.

Una legge costruita su misura per il leaderismo di una borghesia senza più alcuna capacità di indirizzo culturale e politico e che demanda al populismo di piccola taglia il compito di amministrare il territorio, ci costringe in vicoli angusti e maleodoranti quando stringe il tempo di elezioni comunali.

Il senso comune direbbe che alla scadenza elettorale si individuino le personalità che possano essere garanti di un progetto politico specifico chiamato nella contingenza “programma elettorale”. Ma, oggi, il motivo centrale per cui partecipare alle elezioni non pare più essere quel che ci si propone di fare, bensì chi si pone a rappresentare quell’intenzione. Che ci piaccia o no, la nostra attenzione viene spostata dal programma a chi lo sbandieri. La sinistra torinese impiegherebbe ben poco tempo nel formalizzare i punti salienti di un programma di amministrazione cittadina alternativo agli interessi delle lobbies e dei potentati sabaudi, essendo quei punti largamente condivisi nella pratica politica quotidiana e nelle lotte sociali fra le forze politiche a sinistra del PD e nel sindacalismo di classe. Ma, oggi, questo pare non essere sufficiente. E’ radicato il timore che quei motivi che muovono l’opposizione sociale non possano trovare forma senza un “nome” forte e famoso, questo timore nasconde in realtà la difficoltà a far conoscere il proprio programma in uno spazio di comunicazione che da molto ha espulso la sinistra dall’orizzonte. Come far sapere alla cittadinanza cosa proponi se i media, le TV e i giornali, lasciano spazio solo ai candidati del “centrosinistra” e del “centrodestra”? Certo, si possono organizzare mille assemblee ma sappiamo bene quanto poco possano incidere in confronto allo strapotere comunicativo di mezza dozzina di emittenti televisive e di due o tre giornali. Anche per questo, si spera nel miracolo del nome “alto”, conosciuto, famoso che possa portare alla sinistra una successo elettorale.

E’, in realtà, il sogno di superare il muro di silenzio dietro cui è stata relegata la sinistra politica e sindacale da un sistema di poteri, questi sì “forti” in ogni senso. Lo stesso sistema che può non darsi pena se alle primarie vinca Tizio o Tale, poiché entrambi funzionali e funzionari di fatto del sistema medesimo, garanti in sé stessi degli interessi primari sul territorio. Non occorre scomodare alcun veggente per conoscere quel “sistema”: Fiat, fondazioni bancarie, grandi costruttori. I loro interessi sono proporzionali ai mezzi di cui dispongono: enormi capitali, mezzi d’informazione, influenza politica, lobbies potenti e diffuse. La scelta tra Tizio o Tale nelle primarie del centro sinistra e, poi, fra centro sinistra e centro destra è la scelta lasciata all’elettore in una apparente libertà, la medesima libertà di cui godono i polli di uno o più pollai che assistono allo scontro fra più galli, all’interno del recinto del cortile in cui sono rinchiusi.

Lo scontro fra pretesi leaders politici locali nasconde inoltre la necessità di tracciare un vero bilancio del decennio chiampariniano. Il decennio che si conclude con Torino città detentrice del record dell’indebitamento pro-capite più alto fra le città italiane: oltre 3.900 euro per ogni abitante. Record che a sua volta cela una realtà ancor peggiore che non un incredibile debito lasciato alle generazioni future, una realtà in cui è stata smantellata l’assistenza sociale cittadina, in cui si sono precarizzati i dipendenti pubblici, in cui si è devastato il territorio cittadino, in cui è stata espulsa la popolazione a minor reddito, in cui si è facilitata la deindustralizzazione. Questo ha significato Chiamparino, oltre alle Olimpiadi ed al make up dei palazzi torinesi. Il debito che lascia il signor Chiamparino è, però, una vera e propria bomba ad orologeria, pronta a scoppiare in ogni momento: un debito costruito con strumenti bancari messi a disposizione dalla speculazione finanziaria più spregiudicata, un debito il cui valore assoluto può variare di giorno in giorno (il suo valore, quantificato oggi, è frutto di un calcolo i cui parametri possono cambiare costantemente, senza limiti) preda delle avventure delle borse e delle agenzie di rating. Non lasciamo ai nostri figli solo un carico ingiusto ma un vero incubo, di cui nessuno può quantificare l’orrore, neppure chi lo ha a suo tempo sottoscritto.

Fra gli ultimi e più significativi atti, il signor Chiamparino s’è fatto interprete attivo del ricatto mafioso di Marchionne, rinunciando così ad ogni dimensione della politica a favore dell’interesse immediato e materiale della speculazione del sistema Fiat. Con lui, per inconsistenza e per codardia, si sono allineati quanti pretendano alla sua successione, disegnando così un panorama del dopo Chiamparino tutto a disposizione dei prossimi ricatti targati Lingotto e Detroit, nella speranza di ricavarne una qualche misera, eventuale, prebenda.

No alle privatizzazioni, no alle grandi e inutili opere (C.so Marche, Variante 200, Tav), ricostruzione del sociale cittadino (servizi e vivibilità), vincoli alle delocalizzazioni industriali: tutti temi condivisi dalla sinistra torinese, sia politica che sindacale. Non manca certo il programma alla sinistra torinese, forse manca la capacità di chiarezza nel vedere come il programma elementare e semplice non possa avere alcun punto di mediazione con un centro sinistra che non sa trovare altra dimensione che il servilismo ai potentati economici e al mercatismo più becero, oramai non più distinguibile se non alla superficie da qualsiasi centrodestra.

E’ il voto di Mirafiori che autorizza e costringe al coraggio una sinistra troppo spesso succube delle propria marginalità cui è costretta da una comunicazione in catene e da meccanismi elettorali costruiti ad arte per marginalizzarla, per eliminarla. Anche gli operai di Mirafiori avevano paura, ben più paura dell’elettore torinese alle comunali, eppure il loro coraggio e la loro forza costringe oggi il colosso italo-americano a rifare tutti i conti, partendo da una condizione che fino a pochi giorni addietro non si osava sperare. La sinistra torinese deve saper uscire dall’incubo dell’inanità non più sulla base di un volontà più forte della disperazione ma facendo leva sulla vera realtà: l’opposizione sociale esiste, alla sinistra darle forma. Senza lasciarsi intrappolare dal tabù del candidato “famosetto”, senza lasciarsi incantare dal totem del populismo di un nome, una garanzia. Il programma c’è; persone per bene, intelligenti e affidabili nella Torino di sinistra non mancano certo. Non sarà Mario, non sarà Giovanni: sarà quel popolo che non si rassegna alla disperazione a candidarsi all’amministrazione di una Torino più giusta, più solidale, alternativa all’angoscia di un capitalismo di pirati.

 

Elio Limberti

segreteria PRC Torino

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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