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Il rispetto delle regole è di “destra”?
Ho due nipoti che studiano filosofia a Cassino e spero che non abbiamo, tra i loro professori, un certo Massimo Adinolfi!
O, almeno, che non abbiano avuto occasione di leggere una delle sue ultime “performance”. La trovo diseducativa.
Il tema era rappresentato dall’amnistia (e l’indulto), mentre l’obiettivo era Marco Travaglio; il - comunque - discusso editorialista de: “Il Fatto Quotidiano”.
In effetti, l’autore, favorevole a un provvedimento straordinario di clemenza pubblica (amnistia e/o indulto che sia), piuttosto che affrontare i problemi che sottintendono alla necessità e/o all’opportunità (anche “politica”, evidentemente) di ricorrere - oggi, dopo quella del 2007 - a tale soluzione, finiva per prodursi in una vera e propria “filippica” nei confronti del giornalista.
In sostanza il prof. confutava a Travaglio di sostenere quello che, personalmente, ritengo rappresenti un principio incontestabile: “Chi ha sbagliato deve pagare”.
Che poi questa formula sia “flessibile”, nel senso che debba necessariamente prevedere gradualità e intensità della pena da comminare, rappresenta un cardine della convivenza civile in qualsiasi Paese del mondo.
Per Massimo Adinolfi, invece, ciò rappresenterebbe un imprecisato bisogno di giustizia “non elaborato” nonché un “ruvido e inflessibile senso di giustizia” che, addirittura, farebbe rima con vendetta!
In breve: un’offesa all’umanità e alla dignità dell’uomo!
Una vera e propria requisitoria - con condanna inappellabile per Travaglio - contro un principio rispetto al quale è, per lo meno, inconsueto e sorprendente dover rammentare, a un docente di filosofia teoretica, quanto sostenuto da Cesare Beccaria nel capitolo dedicato alla pena di morte (“Dei delitti e delle pene” - MDCCLXIV).
“Non è l’intensione della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime, ma replicate impressioni che da un forte ma passeggero movimento”. Quindi non è l’intensità, ma sono l’estensione e la certezza della pena a esercitare un ruolo imprescindibile.
Non una parola, invece, da parte di Adinolfi, sull’efficacia dell’amnistia e dell’indulto rispetto all’annoso - e periodicamente proposto - problema del sovraffollamento delle carceri italiane.
Perché - piuttosto che mostrarsi cattivo “maestro” ed esprimere giudizi fuori luogo su Travaglio, che sarà pure antiberlusconiano “per principio”, ma tutt’altro che animato da “ruvido e semplicistico spirito di vendetta” - non operare lo sforzo per fare una proposta e offrire qualche opzione alla discussione generale?
Tra l’altro, considerato che il prof. è assiduo articolista del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, perché non svolge opera di persuasione e di convincimento presso gli autorevoli esponenti del suo partito di riferimento, al fine di intervenire per la revisione di quelle leggi “vergogna” che affollano le nostre carceri, senza produrre alcun effetto positivo rispetto ai reati che dovrebbero contrastare e punire?
Sarebbe troppo, per Adinolfi, chiedere al Pd di “stracciare” le ignobili norme della “Bossi/Fini”; con tutto quello che ne consegue in applicazione del reato di “clandestinità”?
Cosa gli impedisce di sollecitare il gruppo dirigente del Pd al fine di rivedere il Fini/Giovannardi “pensiero” in tema di detenzione, uso e spaccio di sostanze stupefacenti (anche in “modiche” quantità)?
Immagina il prof, quante migliaia di persone sarebbero sottratte a periodi di squallida “sosta” nelle patrie galere?
Gli risulta - altrimenti attinga precise informazioni presso fonti attendibili - che in Italia esistono istituti di pena “inaugurati” (da vescovi e politici) - locali e nazionali - che aspettano solo “ospiti” e agenti di polizia penitenziaria?
Possibile, mi chiedo, che oggi ci si debba - volenti o nolenti - riconoscere esclusivamente in uno di quei due grandi pentoloni del “bipartitismo”, grazie all’esistenza dei quali un rappresentante di quello che fu il “Centro-sinistra” arriva ad associare termini quali giustizialismo/vendetta/reazionario a una richiesta di semplice rispetto delle leggi e della legalità?
In definitiva, è normale che si arrivi a offendere l’altrui e la propria intelligenza, pur di “non disturbare il manovratore” e, per dirla all’Andreotti, “tirare a campare” piuttosto che “tirare le cuoia” all’attuale “inciucio”?
Renato Fioretti Collaboratore redazionale di lavoro e Salute 14/10/2013
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