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Terremoto e business: comè possibile che strutture industriali “recenti”, si siano sbriciolate come pasta frolla?

Post n°6469 pubblicato il 05 Giugno 2012 da cile54

Il morto in casa

A leggere o seguire molti dei reportage dei giornali e dei notiziari radiotelevisi sul terremoto dell’Emilia e ad ascoltare interviste di vittime e “protagonisti” investiti di una qualche responsabilità “istituzionale” (imprenditori, presidenti delle loro associazioni, ma anche amministratori pubblici) c’è di che rimanere sconvolti. Dunque, in una ipotetica scala gerarchica dei danni del terremoto, quello principale non sarebbe la scomparsa di interi paesi, la perdita di importanti beni storico culturali, la paura e lo smarrimento della gente, nemmeno i morti, ma…il blocco delle attività produttive! “Si ferma l’Italia più dinamica e competitiva”, “rischia di scomparire l’industria biomedicale italiana”, si dice e si scrive con una evidente punta di esagerazione sulla realtà; e, conseguentemente, si fa seguire l’angosciosa domanda sul “quando potremo ricominciare a lavorare?!”. E, ancora di conseguenza, giù a ipotizzare e proporre soluzioni urgentissime, drastiche e radicali, come fa il Corriere della Sera che arriva a suggerire il trasferimento altrove delle fabbriche intere (come fece Stalin, da Mosca al Caucaso, all’epoca dell’invasione nazista), o delle lavorazioni verso altre aziende non “sature”, fingendo tra l’altro di ignorare che, una volta “andate”, con tutta probabilità, quelle strutture produttive nei Comuni originari non tornerebbero più.

 

Ma, viene fatto di domandare, le imprese emiliane in ferie non ci vanno mai? E le ferie non durano in Emilia, almeno quindici, venti giorni, un mese? E adesso, per un periodo del genere o per quello necessario a doverosi e imprescindibili controlli e verifiche, che catafascio dovrebbe succedere?!

 

E’ vero, gli imprenditori, e ancora di più i loro operai, italiani e immigrati, sono presi alla gola: perché gli “ordini”, le commesse, i committenti, in definitiva i ”mercati” non si fermano mai, nemmeno davanti alle disgrazie e alla morte; anzi approfittano delle sciagure per darsi nuove convenienze e scalare e invertire i posti nelle classifiche dei beneficiari. In questa frenesia “cupio-dissolvente” della corsa al profitto, può così accadere che, anche col morto in casa, il pensiero corra non alle esequie, ma al modo di come riprendere al più presto la “competizione” forzatamente interrotta.

 

Ma se le cose stanno così, e non c’è dubbio in parte consistente stanno così, quelle genti emiliane (e noi di tutta Italia ed Europa con loro) dovranno pur porsi l’interrogativo su che “mondo” abbiano (abbiamo) costruito e quale vogliano continuare a costruire.

 

E’ possibile, in Emilia, ricominciare tutto subito, senza una pausa per capire e riflettere su quel che è successo? E’ possibile “ricominciare a lavorare”, senza porsi il problema (come stanno tentando, doverosamente e commendevolmente, di fare i giudici) di come sia possibile che un terremoto che viene nel cuore della notte (penso alla prima scossa) il numero maggiore delle vittime le miete non tra i cittadini sorpresi nel sonno, ma tra gli operai svegli e al lavoro nelle fabbriche?! E non chiedersi come sia possibile che strutture industriali “recenti”, si siano sbriciolate come pasta frolla di fronte ad un sisma forte, ma non distruttivo, come fu quello di altre parti d’Italia? E ancora: su cosa è stato costruito il miracolo industriale ed economico del “nord est”?: alludo non tanto alla qualità delle strutture materiali, che si commenta da sola, e nemmeno a quella perversa e ossessiva logica di competizione di costi di cui i crolli dei capannoni sono il tragico emblema e che mette in secondo piano i diritti dei lavoratori e la loro sicurezza; ma ad altri valori, che siano “liberati” dall’ossessione della competizione e del profitto ad ogni costo e che dovrebbero dare un senso al benessere economico diffuso in quelle aree, come la tranquillità dell’esistere e la compatibilità dei tempi del lavoro con quelli della vita.

 

Ricominciare in Emilia, eludendo questi interrogativi, si può fare, ma sarebbe un grave errore, che non metterà al riparo dal rischio che il terremoto (che speriamo finisca prima possibile) possa essere, in futuro, sostituito dai colpi e dai contraccolpi di un sistema economico in crisi, irrazionale e disumano.

 

Leonardo Caponi

3 giugno, 2012 www.esserecomunisti.it

 
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