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Andare oltre la superficie del "politically correct"
Tutta la stampa internazionale ha dedicato ampio spazio e titoli roboanti alle rivelazioni di WikiLeaks. La fuga di dispacci della diplomazia statunitense non ha mancato di suscitare l'interesse di un'opinione pubblica desiderosa di guardare al mondo "per quello che è" e non "per come esso appare" attraverso i filtri dell'ufficialità e del politicamente corretto. Rispetto ad incidenti analoghi, nella vicenda in questione ha certamente un peso l'enorme quantità di notizie (250 mila comunicati riservati) unitamente all'alto profilo dei nomi coinvolti: cioè di alcuni tra i più rilevanti interpreti della politica internazionale, tutti riferimenti di massimo livello nel quadro del sistema di relazioni intrattenute dagli Usa. Si può quindi comprendere che in proposito si evochi una "tempesta sul mondo" o che autorevoli rappresentanti di governo parlino di "11 settembre della diplomazia". Certamente, in questi casi la forma fa sostanza. Non è la stessa cosa che sgradevoli incursioni dietro le quinte del potere costituito siano condotte dall'istruttoria di una cronaca giornalistica ovvero che siano direttamente riconducibili ai responsabili della diplomazia di un Paese.
Certo è che da oggi sappiamo con certezza che ai piani alti dell'establishment statunitense ci si scambia note "confidenziali" sui "festini selvaggi" del nostro Presidente del Consiglio e sulla funzione di quest'ultimo ridotta a passa-carte di Putin, sui sovvenzionamenti dei sauditi ad Al Qaeda e sui pressanti inviti da parte della stessa Arabia Saudita tesi a caldeggiare un attacco all'Iran, sulla spiacevole attività di trafficante di droga praticata dal fratello del presidente afghano o sull'inelegante spionaggio ai danni delle massime cariche dell'Onu. E su molto altro ancora. Non dubitiamo del fatto che tutto questo possa da qui in avanti aggiungere un'ombra di sospetto alla delicata rete di relazioni che lega Obama e Hillary Clinton ai loro partners.
Detto questo, dobbiamo anche dire che di tutta questa eclatante vicenda ci rimane ad oggi una sorta di retrogusto insipido. Sotto il profilo della pura e semplice ricerca della verità storica, rileviamo l'importanza degli effetti a breve prodotti dalla divulgazione di una documentazione che, ancorchè riservata, ha il crisma dell'ufficialità; ma, nel contempo, non possiamo dire di esser colti di totale sorpresa dalla novità delle notizie trapelate. Nè crediamo che il mondo possa davvero esser squassato nelle sue fondamenta dall'eco di tali rivelazioni. Diceva ieri sul Corsera Vincent Canestraro, già membro del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca: "Gli interessi in gioco sono troppo alti per consentire a scandali del genere di danneggiare permanentemente (i principali leader del mondo, n.d.r.)" . Oltre a ciò va ricordato che, almeno alla luce di quanto è sin qui emerso, i documenti pubblicati non vanno oltre il livello "confidential", senza mai raggiungere quello "top secret".
Aggiungiamo tuttavia un paio di osservazioni. Sarà pur vero che forse nulla viene aggiunto a quanto già sapevano o sospettavano molti lettori di Liberazione dalla formale certificazione dell'avvenuto pressing per un attacco all'Iran piuttosto che delle losche attività di un afghano supportato dagli occupanti occidentali. Ciò non di meno, bisogna riconoscere che tutto quello che di fatto sembra andare oltre la superficie ipocrita del politicamente corretto non potrebbe che esser bene accetto da chi, come noi, resta ancora in attesa di conoscere una qualche verità giuridica sulle "stragi di stato".
Seconda osservazione. La vicenda di WikiLeaks potrebbe forse dirci indirettamente qualcosa sulla composizione del potere a stelle e strisce e sulle contraddizioni in esso insite. Beninteso è presto per tirare conclusioni ed è bene attendere ulteriori ragguagli dalla massa di notizie pubblicate. Non si può escludere tuttavia che anche questa vicenda possa alludere a tensioni interne ai principali centri del potere Usa, nella direzione di un progressivo indebolimento della presidenza Obama. Emblematici sono in proposito gli atteggiamenti nient'affatto omogenei tenuti nei confronti dell'Europa. Se è da registrare da parte dell'attuale amministrazione un'attitudine tendenzialmente collaborativa, d'altro lato non può sfuggire il dato che a guidare gli umori dei cosiddetti "mercati" (e dunque la "speculazione") è il potere oligarchico delle sei principali banche d'investimento statunitensi, le quali rappresentano come è noto "un livello di concentrazione di ricchezza e di potere che non ha eguali nella storia del mondo" (Paolo Basilico). Vedremo se le cosiddette "rivelazioni" apriranno una finestra anche sulle contraddizioni di questo "capitalismo reale".
Bruno Steri
30/11/2010
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