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Messaggi del 24/11/2010

SOMMARIO SETTIMANALE 17/24 NOVEMBRE

Post n°4057 pubblicato il 24 Novembre 2010 da cile54

24- In Piemonte artigli cattoleghisti contro la legge 194 e i diritti all''autodeterminazione delle donne

24- L'incantesimo delle merce. "Karl Marx (in pillole)", un saggio a più voci curato da Mario Boyer. Lavoro e Salute ne consiglia la lettura!

24- Saviano non è riuscito ad esprimere compiutamente e correttamente il suo pensiero? Lo dica a "Vieni via con me"

23- Ancora strage di lavoratori, poche righe sui media che sporcano intere pagine con le porcherie nella bettola PDL

23- Alla cortese attenzione della redazione di lavoro e Salute. Esperienza pilota in Toscana in difesa delle donne

23- 1° Rapporto nazionale sui consultori pubblici. Preoccupante la tendenza alla riduzione delle strutture

23- Non solo scioperi dei lavoratori. La lotta alla coop CLO e al polo Billa di Lacchiarella prosegue

22- Il circolo operaio dello stabilimento Zanussi Electrolux di Susegana (Treviso) al congresso della Federazione della Sinistra. "Quella fabbrica produce malati"

22- Le macerie dell’Aquila sono anche macerie metaforiche che rinviano alle macerie di questa democrazia violentata

22- In Piemonte la Giunta di detsra all'attacco delle "194". Invitiamo tutti gli Amministratori delle ASL e i responsabili dei Consultori a non fare alcuna convenzione

21- Due depositi nucleari per ospitare l'arsenale europeo. In Italia e Turchia le atomiche statunitensi

21- Il governo ha detto che in Campania non esistono evidenze scientifiche che la “puzza” faccia male. L'UE ha detto che mente

21- Un altro dei feriti era deceduto nei giorni scorsi. Un'altro assassisnio nel mondo del lavoro sotto attacco padronale

21- La teologa Adriana Zarri ricordata dall'amica Lidia Menapace che con lei viaggiò nell'ex Urss

20- Addio alla compagna Adriana Zarri

20- Cinema. Illegal, di Olivier Masset-Depasse. Film pensante ma anche pesante, ci impone un dolore costante, insopportabile

20- Cinema. Io sono con te, di Guido Chiesa. Ricostruita una Galilea fatta di visi e precisa quotidianità

20- Pillole tarocche. Due italiani su cinque (il 37 per cento) hanno questa abitudine, che va a ingrossare un mercato sporco

19- La destra è con il ministro-leghista. L'opposizione parlamentare con il giornalista-conduttore. Scontro di claque

19- Pazzi per gli antibiotici. L’allarme è stato lanciato ieri dall’Agenzia italiana del farmaco). “Antibiotici, difendi la tua difesa. Usali con cautela"

19- Sul TG 1 annuncio irresponsabile perché diffondono la convinzione che l’AIDS è ormai stato sconfitto

19- A rimetterci saranno soprattutto i trasferimenti alle regioni e la rete dei servizi sociali territoriali

18- Almeno un milione e mezzo di italiani di 128 Comuni, dal Lazio al Trentino, bevono acqua contaminat all'arsenico

18- Saviano e casa editrice Einaudi: dopo la denuncia del Centro Impastato, stavolta è direttamente il fratello di Peppino, Giovanni Impastato

18- "Vieni via con me" Siamo tra coloro che non disprezzano il "buonismo" di Fazio né la sua eccessiva acquiescenza, ma........

18- Mauro Rostagno, fare luce sull'omicidio del giornalista significa illuminare i molti misteri italiani

17- I malati di SLA incassano un successo, forse- E all'improvviso tutti, anche i politicanti istituzionali e i sindacati governativi, si interessano al problema

17- Il nuovo ‘collegato’ lavoro marchia la vita di milioni di persone. Mentre lorsignori ci infinocchiano con Ruby, Fini e tv

17- La vicenda vissuta in prima persona dalla collega richiama quella vissuta da migliaia di giornalisti italiani

17- La stampa e il dopo-terremoto, intervista collettiva con il comitato "3e32" dell'Aquila. A sostegno di Liberazione

SOMMARIO SETTIMANALE 9/16 NOVEMBRE

SOMMARIO SETTIMANALE 1/8 NOVEMBRE

 
 
 

In Piemonte artigli cattoleghisti contro la legge 194 e i diritti all''autodeterminazione delle donne

Post n°4056 pubblicato il 24 Novembre 2010 da cile54

COTA E LA CHIESA MANDANO LE ARPIE NELLE CORSIE OSPEDALIERE

 

È sempre difficile parlare di aborto, soprattutto quando sei una donna e pure mamma. Sono stati scritti fiumi di parole, da chi è pro e da chi è contro all’Interruzione Volontaria della Gravidanza (IVG), tante le discussioni tra laici e religiosi, tanti i dibattiti politici, in ogni epoca i partiti politici hanno cavalcato l’onda dell’aborto per portare al proprio partito i voti, ma mai nessuno si è impegnato seriamente a discutere CON le donne per arrivare ad un accordo che fosse PER le donne.

Nel 1975 il tema della regolamentazione dell'aborto riceveva l'attenzione dei mezzi di comunicazione, in particolare dopo l'arresto di alcuni esponenti politici, per aver praticato aborti, dopo essersi autodenunciati alle autorità di polizia (azione nonviolenta dei radicali). Una delle donne arrestate si chiama Adele Faccio che era la segretaria del CISA (Centro d'Informazione sulla Sterilizzazione e sull'Aborto), che con altre donne si proponeva di combattere la piaga dell'aborto clandestino, creando i primi consultori in Italia e organizzando dei «viaggi della speranza» verso le cliniche inglesi e olandesi, dove grazie a voli charter ed a convenzioni contrattate dal CISA, era possibile per le donne avere interventi medici a prezzi contenuti e con i mezzi tecnologicamente più evoluti.

Nello stesso anno una delegazione presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli del codice penale, riguardanti i reati dell'aborto. Il bisogno di adeguare la normativa si è presentato al legislatore anche in seguito alla sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con questa sentenza la Suprema Corte, pur ritenendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, consentiva il ricorso alla IVG per motivi molto gravi.

La legge italiana sulla IVG è la Legge n.194 del 22 maggio 1978 (detta anche più semplicemente "la 194") con la quale sono venuti a cadere i reati previsti per l’Interruzione Volontaria della Gravidanza, la 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.

Inoltre la legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime,  che "il medico che esegue l'interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite" (art. 14), che il ginecologo può esercitare l'obiezione di coscienza ma che il personale sanitario non può sollevare obiezione di coscienza allorquando l'intervento sia "indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo" (art. 9, comma 5). Insomma la donna viene tutelata in tutte le sue forme, ma esiste anche la tutela per il personale sanitario.

Pur con numerose sfumature, il dibattito contrappone due posizioni principali:

·         quella di chi sostiene che la IVG dovrebbe diventare (o restare, dove già lo è) lecita e legalizzata, demandando alla valutazione soggettiva della donna, e solo ad essa, la scelta in merito. Questi vengono talvolta definiti pro choice, "a favore della scelta", o abortisti. Aderiscono a questo fronte, in linea di massima, tutti coloro che non ritengono di poter giudicare astrattamente motivazioni così personali, coloro che privilegiano la libertà di scelta, coloro che non ritengono che un embrione sia già un essere umano compiuto, coloro che lo ritengono un modo efficace di ridurre o sconfiggere la piaga degli aborti clandestini, ed altri ancora.  I cosiddetti abortisti non sono necessariamente a favore dell'aborto. Essi sostengono piuttosto la assoluta necessità di una legislazione chiara e precisa che stabilisca cosa sia possibile fare, come debba venire fatto, chi sia incaricato di eseguire aborti e con quali controlli e quant'altro necessario. Questo per tutelare le persone coinvolte nel processo e la loro libertà di scelta, e per minimizzare i rischi di salute connessi. Resta il fatto che una legislazione chiara e precisa è spesso gradita anche da parte dei "pro life": l'assenza di legislazione, infatti, è spesso causa del permanere del fenomeno nella clandestinità, piuttosto che della sua eliminazione effettiva. Per lo più, in realtà, come accadeva anche in Italia, prima della legge 194 del 1978, ovvero nel codice penale Rocco del 1930, di norma esiste sempre almeno una norma che punisce l'aborto, quindi si tende a parlare di legalizzazione dell'aborto intendendola come concessione del diritto di abortire solo nei casi esplicitamente previsti dalla legge.

·         quella di chi vorrebbe rendere (o mantenere) illegale la IVG, o quantomeno sottoporre la sua applicabilità a vincoli estremamente stringenti. A questo fronte (autodefinitosi pro life, "a favore della vita", ovvero esplicitamente antiabortista) appartengono in generale tutti coloro che ritengono che l'embrione umano, fin dal concepimento, dovrebbe godere dello stesso diritto alla vita dell'essere umano dopo la nascita, nonché la maggior parte delle confessioni religiose; In Italia si fa interprete di questo fronte il Movimento per la Vita, nel quale confluiscono forze laiche e religiose (cattoliche, ortodosse e alcuni gruppi protestanti). I sostenitori di queste tesi considerano l'embrione un essere umano a tutti gli effetti, in quanto dotato di un proprio patrimonio genetico diverso da quello dei genitori e, dopo un certo stadio di sviluppo, di un sistema nervoso centrale, ritenuto sede della coscienza. In quest'ottica, dunque, tanto l'embrione quanto il feto sarebbero già persona umana fin dal concepimento, dotati degli stessi diritti della donna che lo porta in grembo.

Sicuramente qualcuno dei lettori starà pensando “ma perché questa qui viene a farci un pippone sull’aborto, le sue leggi e il dibattito tra “abortisti” ed “antiabortisti”?”

Il motivo è semplice, in Piemonte è stato eletto come Governatore della regione il “bel” Cota, catto-leghista per eccellenza, che nella sua campagna elettorale promise a quella banda di “volontari Pro-vita” di entrare negli ospedali, e fino qui eravamo solo in campagna elettorale, peccato che qualcuno però se lo sia segnato sull’agenda e sia andato a chiedere di conto di quanto detto. Morale della storia la regione organizza “corsi di formazione per volontari Pro-vita” così che possano operare nelle strutture ospedaliere. Non entro in merito alle diatribe politiche, posso solo immaginare cosa potrà accadere ad una donna che, suo malgrado, decida di abortire, oltre che dovere raccontare a tutte le figure professionali che ruotano intorno alle IVG (ginecologo, infermiera, psicologo….) dovrà anche affrontare una “banda” di fanatici che, come raccontato da Maria su La Repubblica- cronaca di Torino del 25 ottobre 2010: “…sul marciapiede di via Ventimiglia (ospedale materno-infantile Sant’Anna n.d.r.) mi ha avvicinato una donna che stava volantinando per il Movimento per la Vita e ha cominciato a dirmi se sapevo cosa succedeva in quel posto, quale luogo orrendo fosse, un abortificio. Ero lì per un controllo e non ero tranquilla, non avevo certo voglia di stare a sentire, le ho detto che ero in ospedale proprio per un aborto, che per una donna non era certo una scelta facile, che mi lasciasse in pace.
Ovviamente non sapeva che avevo già abortito, mi ha detto che potevano aiutarmi, sostenermi. L'uomo in camice bianco, un infermiere?, che stava dietro di lei e stava distribuendo volantini ha sentito quello che stavo dicendo e ha cominciato ad urlare che eravamo delle assassine, che le donne che abortiscono commettono un omicidio, sono malate di mente. Ho alzato la voce anch'io, gli ho detto che prima di ogni altra considerazione, da uomo non poteva capire cosa poteva provare una donna. Lui ha alzato la voce ancora di più, ha detto che avrei potuto partorire e poi far adottare mio figlio. Ero inorridita, ho tagliato corto e sono entrata. Quando sono uscita ha ricominciato. Un'esperienza sgradevolissima, che non dimenticherò.”

Dopo questo articolo i paladini dei “bambini che dovrebbero nascere” hanno preso le distanze, il presidente del Movimento per la vita di Torino, il docente universitario Valter Boero, ha rivelato a «La Repubblica» del 29/10/2010 che: “il direttivo nazionale che si è svolto sabato a Roma, ha messo un aut-aut ai rappresentanti del «Comitato Verità e vita»”. La presidente nazionale del Movimento per la vita, chiede a tutti di scegliere, perché ritiene le strategie delle due associazioni inconciliabili.

Ma allora perché non siamo più libere di agire secondo la legge? Perché dobbiamo essere accusate di atrocità nel momento più difficile della nostra vita?

A questo punto anche nello stesso partito del “bel” Cota c’è stato qualcuno che ha obiettato questa decisione:  quattro consiglieri Pdl mettono subito le mani avanti spiegando che «non si tratta di una presa di posizione contro Cota o l'assessore Ferrero» che “ritengono necessario rispettare le donne rispettando ed applicando le leggi senza far prevalere le visioni piu' radicali”. Che «La politica deve trovare il modo di mediare tra due tesi opposte che vengono portate avanti con radicalita' da chi e' favorevole all'aborto e da chi e' contro», che e' «necessaria una riflessione aggiuntiva che tenga conto delle diverse sensibilita' in campo»….. Secondo l’opposizione, invece, «e' inaccettabile la campagna scatenata dal governatore e dai movimenti pro vita contro le strutture pubbliche piemontesi che applicano correttamente la legge 194»”. Ma dunque, fatemi capire, è un atto di forza del “nostro” Governatore o è una presa di posizione politica del PdL?

Come donna libera tutte queste polemiche e questi tentativi di togliermi la libertà di scelta mi irritano profondamente, solo un mentecatto può pensare che possa decidere lui al posto mio, non vorrei riproporre un vecchio ritornello del ’68 (che, tra l’altro aveva un altro significato) ma mi viene proprio voglia di dire “l’utero è mio e me lo gestisco io” con tutto quello che contiene. La rabbia più “rabbiosa” mi viene al pensare con quale arroganza si affrontano a tavolino certi argomenti, che sono talmente delicati e talmente “intimi” che non possono trovare soluzione se non quando ci sei dentro, se non quando ti capita un qualcosa per il quale devi prendere una decisione.

Come donna libera non posso pensare che una istituzione pubblica, quali possono essere gli ospedali, mi mettano in condizioni di peggiorare lo shock psicologico che un IVG già comporta.

Come donna libera ho la necessità di essere compresa, presa per mano ed accompagnata a svolgere l’intervento più difficile della vita di ogni donna.

Come donna libera ho il diritto di poter scegliere come abortire senza sentirmi obbligata ad un ricovero ove non ce ne sia l’esigenza.

Io sono una donna libera e come tale ho fatto nascere le mie figlie, non posso permettere a nessuno di togliermi la libertà di scegliere.

NOTA A MARGINE

Signori miei ho avuto la fortuna di non dovere decidere se fare nascere o no le mie figlie, e mi auguro che loro non debbano mai trovarsi in una situazione simile, ma vi assicuro che se dovesse capitarmi, anche se l’età ormai avanza ed avrei poche possibilità, il primo che viene a dirmi che sto sbagliando si troverebbe davanti una belva che difende i suoi diritti di donna!!!!!!!

Cristina Miletto

(articolo di apertura del prossimo numero di Lavoro e Salute)

 
 
 

"Karl Marx (in pillole)", un saggio a più voci curato da Mario Boyer. Lavoro e Salute ne consiglia la lettura!

Post n°4055 pubblicato il 24 Novembre 2010 da cile54

L'incantesimo della merce Come la realtà allucinata di "Matrix"

 

«E' la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia, domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanta è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, niente di più». E' il testo di una delle scene più celebri di Matrix, film dei fratelli Wachowski del 1999. Morpheus, un leader della resistenza a un potere di macchine intelligenti, offre all'adepto Neo la possibilità di destarsi dal mondo illusorio creato da un potentissimo software, Matrix per l'appunto. Gli porge due pillole. Una, quella blu, gli permetterebbe di continuare a vivere nelle illusioni abituali, senza averne alcuna consapevolezza. L'altra, la pillola rossa, equivale alla rinuncia della tranquillità in nome della conoscenza della verità - la profondità della tana del bianconiglio, evidente allusione al personaggio di Lewis Carroll nelle Avventure di Alice nel paese delle meraviglie.

Suggestioni e mode da buddismo zen a parte, viene da pensare a qualcosa del genere a proposito di un volumetto a firma di più autori, appena pubblicato da Ediesse, la casa editrice della Cgil: Karl Marx (in pillole), a cura di Mario Boyer, presidente dell'Ires Abruzzo (pp. 168, euro 10). Lasciamo pure da parte il titolo, forse ingeneroso per i saggi contenuti nel libro, tutt'altro che in "formato pillola". Però, come nella dimensione vagamente allucinata di Matrix, anche nella nostra contemporaneità gli individui vivono immersi in un capitalismo che si è fatto mondo e ha assorbito tutto - uomini, cose e natura - nel proprio sistema. Tutta la realtà è divenuta quella che già Marx, nell'incipit del Capitale, chiamava un'immane raccolta di merci. Sennonché, proprio perché il capitalismo è il mondo, è difficilissimo vederlo, non esistono punti di osservazione dall'esterno. Un mondo di merci così scontato da apparire ovvio e naturale. La merce, invece, manco farlo a caso, ha un carattere mistico, è una «cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici», dice sempre Marx. Come la pillola rossa del ribelle Morpheus, il marxismo sortisce l'effetto di spezzare l'incantesimo, di squarciare il velo dell'apparenze, soprattutto di demistificare quel mondo di merci che ci sembra ormai un fatto di natura.

Nella prima parte del volume - presentato la scorsa settimana a Roma con Carla Ravaioli e Paolo Ferrero assieme agli autori - Mario Boyer ricostruisce in forma divulgativa il pensiero marxiano, traccia una mappa di quei principi indispensabili per criticare l'apparenza di mondo del capitale contemporaneo. La legge tendenziale della caduta del saggio di profitto, ad esempio, oppure la teoria del valore-lavoro che «da sola basterebbe a sfatare il mito della centralità dell'impresa» e a spezzare l'incantesimo della merce, all'interno della quale, nascosto alla vista, è immagazzinato il lavoro che l'ha prodotta. Allo stesso modo, il capitalismo non fa vedere la storia che l'ha prodotto e spaccia il suo mondo per un sistema naturale. «Per tutta la sua vita - così Ferrero - Marx ha cercato di dimostrare che il capitalismo è un modo di produzione storicamente determinato e non un fenomeno naturale, esattamente il contrario della rappresentazione oggi dominante». Non a caso, Marx presta molta attenzione ai miti fondativi del capitalismo, cercando di confutare l'immagine progressista che la borghesia capitalista dà di se stessa e della propria storia. La teoria dell'accumulazione primitiva - trattata nel libro da Gianni Di Cesare - è una contro-narrazione della storia, opposta a quella dei capitalisti. L'origine del capitalismo non è nel lavoro e nel risparmio degli imprenditori, come ritenevano gli economisti precedenti, ma della separazione tra i produttori (i contadini strappati alla terra e trasformati in operai salariati) e i mezzi di produzione, che nelle mani degli imprenditori si trasformano in capitale. La nascita del capitalismo è una storia di violenza e dominio, di espropriazioni e di terre, fino a quel momento di proprietà comune, trasformate con la forza in proprietà individuali.

Le cose si complicano nella seconda parte del volume, con il passaggio dalla teoria alla politica. Michele Citoni e Catia Papa ricostruiscono in un saggio il rapporto tra marxismo ed ecologia nella tradizione italiana, una relazione fatta di conflitti, incomprensioni, diffidenze, ma anche di incontri. A partire dagli anni Sessanta comincia a svilupparsi in Italia un filone ambientalista - basterebbe citare il percorso di Giorgio Nebbia, L'energia solare e le sue applicazioni, scritto assieme all'astronomo Guglielmo Righini, è del 1966. Contemporaneamente nella sinistra marxista nascono riviste, gruppi, partiti che prestano attenzione all'ecologia. Certo, non è una storia lineare, esistono convergenze e fratture. Se ne potrebbe dare una versione pessimistica, a tinte fosche, come quella di Carla Ravaioli che nella faccenda dei rapporti tra sinistre e ambientalismo vede soprattutto la diffidenza delle prime nei riguardi del secondo. Un'ostilità che deriverebbe dal persistente paradigma del produttivismo imperante a sinistra - a detta di Ravaioli, con qualche rarissima eccezione, fra cui il Berlinguer autore del discorso sull'austerità (poi variamente travisato). Anziché scorgere nella crisi ecologica del pianeta un'ulteriore, formidabile critica al capitalismo e a un'economica che distrugge risorse ambientali in nome del profitto, la tradizione politica del marxismo italiano avrebbe invece intrapreso la strada dell'industrialismo, lasciandosi sedurre dal mito dello sviluppo a ogni costo. «Non si capisce perché le sinistre italiane abbiano così sottovalutato - dice Carla Ravaioli - il tema dell'ambiente. Eppure sono soprattutto i poveracci che pagano le conseguenze della crisi ecologica, sono loro che muoiono di cancro nelle fabbriche, i contadini costretti a usare pesticidi e sostanze tossiche, i profughi che scappano dalle alluvioni. La sinistra non ha prestato attenzione neppure al problema dei cambiamenti climatici. Ancora oggi, con tono riduttivo, si continua a parlare di "ideologia ecologista"».

Vicenda non lineare, quella dei rapporti politici tra sinistre e ambientalismo, vero. Ma c'è da chiedersi se l'economicismo che pure ha condizionato parte della storia del movimento operaio abbia davvero qualcosa a che fare col pensiero di Marx. Se lo chiede Ferrero, dal momento che «Marx è stato un critico tenace dell'economicismo e non può essere confuso con la vulgata della Seconda Internazionale. Quello per cui lo sviluppo all'infinito delle forze produttive, a un certo punto, determini automaticamente anche il cambiamento del modo di produzione e il passaggio alla società socialista, è un ragionamento che non va confuso con le teorie di Marx. L'alternativa, insomma, non è tra un marxismo industrialista e un ambientalismo cosciente dei limiti». A maggior ragione di fronte alla crisi contemporanea c'è da porsi il problema del rapporto tra natura e società. «Non è pensabile che si possa uscire oggi dalla crisi attraverso lo sviluppo. Se si continua con il modello attuale rischiamo di infilarci in un'epoca di guerre per l'appropriazione delle risorse in estinzione, dal petrolio all'acqua, dal litio alla terra coltivabile». Ma l'alternativa alla sviluppo capitalistico si chiama decrescita? L'impressione è che questo sarà uno dei dibattiti principali a sinistra nei prossimi anni. «Io non sono d'accordo sulla decrescita - dice Ferrero - innanzitutto perché la scelta di questo termine mi pare di subalternità, come se invece di andare avanti si dovesse andare indietro e come se l'andare avanti fosse una prerogativa soltanto del capitalismo. Tra l'altro, in questi anni di crisi la decrescita c'è già stata in piccola parte e non mi pare si possa rivendicare come modello. Anziché di decrescita io preferisco parlare di desertificazione». Il capitalismo, per potersi riprodurre, deve allargare sempre più la sfera del valore di scambio, trasformare ogni bisogno sociale in merce. «Noi dovremmo fare il contrario, sottrarre un numero sempre maggiore di beni sociali alla sfera delle merci. La sanità, l'acqua, la conoscenza e via dicendo devono essere valori d'uso. Forse si dovrà anche produrre un po' di meno, ma il punto non è questo. La discriminante è se si producono merci oppure beni comuni. Questa è l'attualità del comunismo».

 

Tonino Bucci 

23/11/2010

leggi www.liberazione.it

 
 
 

Saviano non è riuscito ad esprimere compiutamente e correttamente il suo pensiero? Lo dica a "Vieni via con me"

Post n°4054 pubblicato il 24 Novembre 2010 da cile54

L’Einaudi minaccia di querelare i compagni e il fratello di Peppino Impastato

Saviano scrive che, prima del film "I Cento Passi", la memoria di Peppino Impastato era custodita solo da pochi, mettendo in relazione il film con i processi per l’assassinio di Peppino. Umberto Santino e, successivamente, Giovanni Impastato chiedono che venga riconosciuto la loro più che trentennale battaglia perché Peppino abbia giustizia: il processo era iniziato prima del film, grazie a questa battaglia. L’Einaudi, la casa editrice per la quale Saviano ha scritto il testo incriminato, per tutta risposta minaccia querele.

Quanto sta accadendo in queste settimane è l’emblema dell’Italia di oggi, l’Italia dei salotti e che non si indigna più, un Paese che riconosce una sola narrazione, quella della televisione e del pensiero unico che narcotizza e omologa. Una storia come quella del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e di tutti i compagni di Peppino, del loro coraggio e della loro determinazione nel portare avanti la lotta perché venisse fatta giustizia a Peppino non può esistere. E’ molto più comodo far credere che tutto sia avvenuto per un film, che questo film abbia risollevato dall’oblio la storia di Peppino e magicamente tutto è tornato in moto, anche i Tribunali. Perché questa è l’ideologia televisiva, un quarto d’ora di celebrità e tutti hanno diritto ad esistere. Ma prima di quel quarto d’ora, fuori dal recinto dorato non si esiste. Addolora e amareggia che, in questo caso, sia coinvolto Roberto Saviano. Perché tutto è nato da un suo scritto. Saviano, almeno ufficialmente, non ha ancora preso posizione. Possiamo ancora sperare che voglia esprimere forte contrarietà per quanto sta facendo la casa editrice Einaudi e voglia difendere Umberto, Giovanni e il Centro. Umberto, in più riprese, gli ha chiesto un confronto pubblico, un incontro chiarificatore. Lo ha auspicato anche Riccardo Orioles. Sarebbe molto triste se non fosse così. Per Saviano e per tutti noi.

La querela dell’Einaudi, una volta gloriosa casa editrice, riporta alla mente i fatti del 2004, allorquando l’avvocato di Tano Badalamenti querelò Giovanni Impastato per aver dichiarato al Maurizio Costanzo Show che chi sosteneva che Peppino fosse un terrorista-suicida era un imbecille. In quell’occasione Giovanni fu condannato. Oggi l’indignazione non può che essere la stessa. Viviamo tempi in cui due luminose figure dell’impegno civile e dell’antimafia vengono irrise, sminuite, attaccate mentre l’Italia sempre più precipita nell’illegalità, nell’affarismo, nella speculazione, nella penetrazione mafiosa nelle Istituzioni e in economia, nell’avanspettacolo. Il loro impegno, il loro coraggio, la loro trentennale battaglia per la giustizia e per denunciare (e documentare, che al giorno d’oggi è merce rara) i potentati mafiosi dev’essere il nostro. E’ un patrimonio dell’Italia migliore, che non si arrende e alza la testa, un patrimonio da difendere e custodire quotidianamente. Persone come Giovanni e Umberto andrebbero sostenute, difese, prese da esempio. E invece, c’è il silenzio (anche di tanti presunti antimafiosi, ma da salotto). Questo silenzio, quest’omertà va spezzata. E’ doveroso chiedere a Saviano di esprimersi e chiedere scusa. Tutti possiamo sbagliare, a tutti può capitare di essere fraintesi. Probabilmente, vogliamo crederlo, Saviano non è riuscito ad esprimere compiutamente e correttamente il suo pensiero. Basterebbe un suo gesto, una sua presa di posizione pubblica per fermare l’attacco dell’Einaudi e ripristinare la verità. Sarebbe un atto di giustizia, verso il Centro e verso la memoria di Peppino. Una memoria che non possiamo permettere, e ancor più non può Saviano accettare di esserne strumento, sminuita e offesa. E’ la memoria di un sacrificio, assassinato dalla mafia e accusato da morto di essere un terrorista. E’ la memoria di un cammino trentennale, una lotta per chiedere giustizia iniziata poche ore dopo l’assassinio e giunta ad oggi ancora in piedi, luminoso esempio di un cammino da seguire per tutti coloro che credono ancora che la mafia, parafrasando Borsellino, è umana ed è destinata a finire. Il l 9 maggio 1978 Peppino Impastato fu ucciso dalla mafia. Il boss Tano Badalamenti decise che Peppino era diventato scomodo. Quel giorno era convinto di aver messo a tacere un uomo che voleva e cercava la giustizia. Invece si sbagliò profondamente. Perché dal sacrificio di Peppino, dall’amore per la giustizia che lui aveva sempre mostrato, tante voci si levarono. Il giorno dei funerali di Peppino, centinaia di persone (in gran parte da fuori Cinisi) accompagnarono la bara. "All’improvviso, come a rispondere agli slogans dei compagni ("Peppino è vivo e lotta insieme a noi"), si levò, alto, deciso, il pugno chiuso di Giovanni. Era una prima risposta. Un filo cominciava a intrecciarsi. Dentro la famiglia Impastato qualcuno dichiarava pubblicamente di prendere il testimone, si schierava apertamente con Peppino e con i suoi compagni. Ai muri del paese in un piccolo manifesto si leggeva: Peppino Impastato è stato assassinato. L’omicidio ha un nome chiaro: Mafia" ricordano Anna e Umberto Santino.

Come fiori in primavera gli amici di Peppino decisero di proseguire il suo impegno, la sua lotta contro l’oppressione e la violenza mafiosa. Questo gruppo di irriducibili cercatori di giustizia hanno da subito trovato un motore inesauribile nella famiglia di Peppino. L’anziana mamma Felicita e il fratello Giovanni decisero di non lasciar morire la sua voce. Anche grazie a loro, oggi digitanto su un qualsiasi motore di ricerca "Peppino Impastato" si trova subito tantissime testimonianze di una Sicilia che non si arrende alla mafia. Il primo impegno fu quello di rendere giustizia proprio a lui. I mandanti del suo assassinio, insieme ai loro appoggi istituzionali accusarono Peppino di essere un terrorista e di essere morto mentre stava preparando una bomba. Si voleva infangarne la memoria, cancellare il suo impegno antimafia. Ma i suoi amici non si arresero e condussero una battaglia legale durissima. Nonostante i boicottaggi e i depistaggi alla fine la giustizia prevalse. Alle ore 17,15 dell’11 aprile 2002 la Corte d’Assise di Palermo condanna Gaetano Badalamenti all’ergastolo in quanto mandante dell’omicidio Impastato. 24 anni dopo finalmente era giustizia. Quelle poche parole di Saviano, e il comportamento dell’Einaudi, nascondono e non riconoscono tutto questo.

In questo ultratrentennale cammino, tantissimi sono i momenti che andrebbero ricordati, momenti straordinari che testimoniamo la limpidezza e l’umanità di chi lo sta conducendo. Tra i tanti pubblici, a me piacerebbe ricordarne uno quasi privato: l’incontro tra Haidi Giuliani e Felicetta, la mamma di Peppino. Le parole con le quali Umberto testimoniò l’incontro tra le due madri, l’abbraccio tra la resistenza contro la mafia e la resistenza contro la globalizzazione, due imperi economici e politici che si incontrano e fanno affari insieme da sempre. Dalla loro umanità possiamo, e dobbiamo, ripartire. Con coraggio, ovvero col cuore.

Chiediamo giustizia per Peppino, ieri, oggi e sempre. Al fianco di Umberto e Giovanni, al fianco del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e dei compagni di Peppino. Perché esiste un’Italia migliore, un’Italia che non accetta di piegarsi e il compromesso interessato, che non si arrende e s’indigna. Quest’Italia va ringraziata, va difesa e va seguita.

I dettagli della vicenda http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5420&Itemid=9

E’ possibile sostenere, anche economicamente, il Centro (che si autofinanzia) Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” via Villa Sperlinga 15 90144 Palermo conto corrente postale n. 10690907

Alessio Di Florio

fonte www.bellacioa.org

 
 
 
 

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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