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Messaggi del 06/06/2012

 
 

Dilaga la corruzione in sanità, mentre 9 milioni di italiani non hanno soldi per curarsi, avanza il "si salvi chi può"

Post n°6475 pubblicato il 06 Giugno 2012 da cile54

CODICE ROSSO

E' allarme sanità, in Italia, si cura solo chi può permetterselo

 

Quasi un sesto degli italiani - nove milioni dei nostri concittadini - non possono curarsi perché non hanno abbastanza soldi: il dato, sconvolgente, viene dall'ultimo rapporto Rbm Salute del Censis, promosso in collaborazione con Munich Re e presentato ieri al Welfare Day. Il quadro è insieme frutto del cronico stato di disperazione del nostro sistema sanitario nazionale e dei tagli sempre più violenti ai trasferimenti statali, causati in larga parte dalla crisi.

Lunghe liste di attesa, ticket alle stelle e visite o esami diagnostici di fatto irraggiungibili nel pubblico, portano chi non ha risorse sufficienti a rinunciare del tutto a curarsi, visto che non può accedere alle prestazioni professionali private. Particolarmente colpite alcune parti della popolazione, quelle tradizionalmente deboli: 4 milioni sono abitanti del Sud, 2,4 milioni sono anziani, e altri 2,5 milioni dichiarano di vivere in coppia e di avere dei figli.

Allo stesso tempo, e proprio negli anni della recessione economica, è incrementato il ricorso al privato: +25,5% la crescita della sanità privata negli ultimi dieci anni, con un parallelo disinvestimento nel pubblico. Significativa la crescita della spesa sanitaria privata negli anni 2008-2010, esattamente quelli in cui è esplosa la crisi: aumenta del 2,3%.

Sempre riferendoci agli ultimi dieci anni rilevati dal rapporto Censis, si è avuto un crollo verticale del ritmo di crescita della spesa pubblica per la sanità: si è passati da un tasso di incremento medio annuo del 6% nel periodo 2000-2007, a solo il +2,3% nel 2008-2010. La flessione si registra soprattutto nelle regioni con piani di rientro - le cosiddette «non virtuose» - dove dal +6,2% all'anno nel periodo 2000-2007, si è scesi a meno dell'1% di crescita media annua nel periodo 2008-2010. 

Ma molti italiani hanno scelto di servirsi presso i privati perché li preferiscono ai medici di ospedali e ambulatori pubblici? Non sembra così, almeno a leggere un altro numeretto importante, quello che riguarda chi dichiara di aver scelto il privato a causa delle liste di attesa troppo lunghe del pubblico: sono ben il 77%, cioè 8 italiani su 10. Costretti, dunque, a spendere di più, dalla necessità, con poca o nulla autonomia di scelta.

Pessima è l'opinione che i cittadini danno del servizio nella propria regione: per il 31,7%, la sanità è in peggioramento, con un balzo di 10 punti percentuali in più nel 2012 rispetto al 2009: solo tre anni fa, infatti, a sostenere questa tesi era il 21,7% degli italiani. Quelli che avvertono invece un miglioramento sono diminuiti di oltre il 7%. 

«I tagli alla sanità pubblica - si legge nel rapporto - abbassano la qualità delle prestazioni e generano iniquità. Per questo è prioritario trovare nuove risorse aggiuntive per impedire che meno spesa pubblica significhi più spesa privata e meno sanità per chi non può pagare». Invertire quindi un trend che prevede, nel 2015, un gap di circa 17 miliardi di euro tra le esigenze di finanziamento della sanità e le risorse disponibili nelle regioni.

Allarmato lo Spi Cgil, il sindacato che difende i pensionati: «Il numero di anziani che saranno costretti a rinunciare alle cure sanitarie è destinato ad aumentare drasticamente in breve tempo a causa dell'acuirsi della crisi, della mancanza di risposte da parte del governo e per la drammatica condizione in cui versa il sistema sanitario nazionale - dice la segretaria generale Carla Cantone commentando il rapporto Salute del Censis - Ormai siamo arrivati a una situazione davvero insostenibile, in cui il diritto alla salute è garantito solo a chi può permetterselo e a chi si rivolge a strutture private. Chiediamo al governo - ha concluso Cantone - di adoperarsi con urgenza, rafforzando la sanità pubblica e garantendo la possibilità di accedere alle cure a chi ne ha più bisogno».

Lo studio sulla sanità italiana getta uno sguardo anche sul comparto integrativo: «La sanità complementare in Italia è un universo composto da centinaia di Fondi integrativi, a beneficio di oltre 11 milioni di assistiti», spiega il rapporto. La ricerca di Rbm Salute-Censis ha riguardato 14 Fondi sanitari per oltre 2 milioni di assistiti e importi richiesti per prestazioni pari a oltre 1,5 miliardi di euro nel triennio 2008-2010. Il 55% degli importi dei Fondi integrativi ha riguardato prestazioni sostitutive (come ricoveri ospedalieri e day hospital) fornite in alternativa a quelle del servizio sanitario nazionale, mentre il restante 45% ha riguardato prestazioni integrative come le cure dentarie e la fisioterapia.

 

Antonio Sciotto

6.6.2012 www.ilmanifesto.it

 
 
 

Il quinto Rapporto sul monitoraggio della Convenzione Onu sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza

Post n°6474 pubblicato il 06 Giugno 2012 da cile54

Infanzia: calano risorse, aumentano poverta' e lavoro minorile

 

Aumento della povertà, della dispersione scolastica, del lavoro minorile e dell'esclusione sociale: sono i drammatici effetti della crisi e del progressivo calo di risorse destinate alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, che sta soffocando i diritti di molti bambini in Italia. Ma soprattutto manca un sistema di raccolta dati, rappresentativi e uniformi tra le varie Regioni, per la misurazione dei fenomeni che riguardano i minori, come pedofilia e pornografia, condizioni di adottabilità, sulla violenza, sul maltrattamento dei bambini, sui minori con disabilità. Sono i poco confortanti dati del quinto Rapporto sul monitoraggio della Convenzione Onu sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, presentato oggi a Roma dal Gruppo Crc - che riunisce 85 tra associazioni e organizzazioni che si occupano di minori - e che fotografa ogni anno la loro condizione in ogni ambito della vita, ne valuta le criticità ed esprime raccomandazioni alle istituzioni competenti.

 

POVERTA' - Dal rapporto emerge che il nostro Paese si colloca ai primi posti in Europa per dispersione scolastica e incremento della povertà e supera la media Ue per minori a rischio povertà o esclusione sociale. Sono 1.876.000 in minori in condizioni di povertà relativa, di cui 1.227.000 al Sud, ai quali si aggiungono 359 mila bambini che nel meridione vivono in condizioni di povertà assoluta, cioè non dispongono di beni essenziali per il conseguimento di standard di vita accettabili.

 

LAVORO MINORILE - I più esposti al lavoro precoce sono maschi in età compresa tra gli 11 ed i 14 anni, che risiedono in territori ad alto tasso di disoccupazione e che sono i soggetti più a rischio dal punto di vista cognitivo, relazionale e sociale. Per questo il Gruppo Crc chiede al Governo di approvare un Piano straordinario nazionale di contrasto alla povertà minorile, di implementare un sistema statistico del lavoro minorile a livello nazionale e locale e di valutare l'impatto che le politiche economiche e le riforme legislative hanno sui più giovani. A proposito di dispersione scolastica, il Gruppo raccomanda al Ministero dell'Istruzione di implementare il sistema informatico relativo all'anagrafe nazionale degli studenti e di finanziare progetti di sostegno e incentivazione allo studio. Esprime inoltre forte preoccupazione per la cancellazione del Fondo nazionale straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia e per la mancata previsione delle allocazioni delle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.

 

VIOLENZA - Il rapporto evidenzia che in Italia il fenomeno dell'abuso online continua a essere drammaticamente esteso e che l'armonizzazione delle leggi tra i Paesi è fondamentale per interventi di contrasto efficaci, ma il disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote (2007) è ancora in discussione in Parlamento.

 

MINORI STRANIERI - I minori non accompagnati al 31 dicembre 2011 risultavano essere 7.750, di cui 1.791 irreperibili. Oltre alla mancanza di un sistema nazionale di accoglienza, il Rapporto segnala alcuni casi in cui i minori sono stati accolti in modo inadeguato, hanno vissuto in condizioni di promiscuità con gli adulti, privati di adeguate cure e della libertà personale. Il Gruppo Crc affronta poi la questione del diritto di cittadinanza dei minori stranieri nati in Italia o giunti nel nostro Paese in tenera età, raccomandando al Parlamento una riforma della legge 91 per agevolarne l'acquisizione. Si raccomanda poi al Ministero della Salute di prevedere l'iscrizione obbligatoria al Ssn o almeno di garantire il Pediatra di libera scelta e il Medico di medicina generale a tutti i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, a prescindere dalla loro condizione giuridica.

 

CONVENZIONE ONU - Il Gruppo CRC chiede infine che il Parlamento ratifichi al più presto il nuovo Protocollo opzionale alla Convenzione Onu, che prevede la possibilità per i minori di denunciare al Comitato Onu fenomeni di abuso o violazione di propri diritti.

 

5/6/2012 Fonte: ansa

 
 
 

Termini Imerese, le speranze e le angosce degli ex operai, delle loro mogli e dei loro figli che cercano un futuro

Post n°6473 pubblicato il 06 Giugno 2012 da cile54

Generazione Y

Viaggio nelle macerie della fabbrica siciliana chiusa dalla Fiat, nelle speranze e nelle angosce degli ex operai, delle loro mogli e dei loro figli che cercano un futuro

Quella che segue è un viaggio nella Termini Imerese post-Fiat. Nelle speranze e soprattutto nelle angosce della Generazione Y, fra coloro che hanno costruito fino all’ultimo il modello Lancia dal nome della lettera dell’alfabeto greco e messi nei guai da Sergio Marchionne il 24 novembre scorso, giorno di chiusura dello stabilimento siciliano. L’abbiamo realizzato a partire proprio dai giorni bollenti della smobilitazione del Lingotto e proseguito nei mesi successivi, quando siamo tornati a Termini per documentare un po’ più a freddo gli effetti che la chiusura della fabbrica sta determinando nel tessuto sociale di una cittadina di 30 mila abitanti, privata di colpo del suo principale e quarantennale mezzo di sostentamento economico.

Un concentrato di disoccupati

Siamo ai primi di marzo. Il calendario segna quasi la primavera, ma sulle montagne delle Madonie che sovrastano la città c’è ancora neve. Prima di entrare nelle case popolari del quartiere Rocca Rossa, in fondo alla discesa di Termini Alta – una cinquantina di appartamenti quasi tutti abitati da ex operai Fiat, un concentrato di disoccupati sul lastrico della cassaintegrazione, ci fermiamo nella piazza del comune, nel centro storico, dove davanti a un tendone della protezione civile allestito accanto al duomo, è in corso l’ennesima protesta di disoccupati che nessuno ascolta. Che nessuno vuole ascoltare. Questi però non sono operai Fiat, sono operai edili, muratori, carpentieri e manovali in generale, molti dei quali ex emigranti di ritorno dal nord Italia, dalla Germania e dal Belgio, respinti in Sicilia dalla crisi che sta investendo tutta l’Europa. Sono disperati, senza santi in paradiso, esattamente come quei giovani lavoratori interinali dell’indotto Fiat che nelle settimane precedenti si erano incatenati in questa stessa piazza per chiedere uno straccio di ammortizzatore sociale. Alcuni hanno perso anche la casa, sfrattati perché non possono pagare più l’affitto. Vivono di piccoli aiuti quotidiani, costretti ad alloggiare i propri figli nelle case dei parenti.

Sono l’altra faccia, perfino più tragica del dramma che sta vivendo Termini. Le ex tute blu, oltre duemila persone, molte delle quali termitane, sono in cassaintegrazione da sei mesi. Ricevono un assegno mensile che varia tra i 600 e gli 800 euro, a seconda dell’età lavorativa. La loro rabbia è riesplosa nelle settimane scorse, quando sono stati costretti a scendere di nuovo nelle piazze, occupando l’occupabile, banche, agenzia delle entrate, sedi istituzionali e ferrovie. Per chiedere l’attuazione del piano di riconversione della fabbrica da parte della Dr Motor. Se il problema della riconversione non si risolverà positivamente, finiranno presto anche loro nel «burrone» degli accampati del duomo. A dicembre scadrà infatti la cig per cessata attività della Fiat e di conseguenza termineranno anche gli ammortizzatori sociali.

L’opinione diffusa è che il peggio deve ancora venire. Anche se il presente è già abbastanza tragico. Lo raccontano tutti i nostri interlocutori, quegli ex operai che hanno perso il lavoro e che ora «non dormiamo più la notte»; le loro mogli, che oltre a badare ai conti della spesa sempre più magra, fanno anche «da psicologhe ai nostri mariti caduti in depressione»; e lo testimoniano i figli, che a causa delle ristrettezze economiche familiari – la gran parte delle famiglie è monoreddito – sono spesso costretti ad abbandonare la scuola e a emigrare. Altro effetto della chiusura Fiat.

E’ il doppio corto circuito di Termini Imerese, dove si incrociano la crisi economica internazionale e quella strettamente locale: c’è chi torna dal Nord e dall’Europa perché perde il lavoro e chi parte per il Nord a cercare lavoro. E’ come se le lancette del tempo avessero fatto un lunghissimo balzo all’indietro.

 «Qui non c’è futuro»

Ne abbiamo incontrati diversi di giovani disposti o in procinto di partire, «perché tanto a Termini ormai per noi non c’è futuro». Michele, 18 anni appena compiuti è uno di loro. Nei mesi scorsi si è ritirato dal terzo anno dell’istituto professionale che frequentava nella vicina Cefalù e si è messo a cercare lavoro. «Ho provato nei bar, nei panifici, dal barbiere, ma non ho trovato niente. Sono andato anche a Palermo ma neanche lì trova lavoro». Lo incontriamo insieme ai suoi genitori in uno degli appartamenti popolari di via Galilei – quelli abitati al 90 per cento da ex dipendenti Fiat – mentre prepara la valigia per emigrare in Belgio, dove nei mesi scorsi è emigrata anche sua sorella più grande con marito e tre figlie e dove spera di trovare anche lui un lavoro, «anche a lavare i cessi dei bar, purché si lavori». Suo padre Salvatore, 58 anni, 33 dei quali passati alla catena del Lingotto, è in cig a 800 euro al mese – una parte dei quali ipotecata dalla banca da cui in passato ha avuto un prestito – e non è più in grado di mantenergli la scuola: «Tra la rata del prestito, che la banca non mi ha voluto diminuire, e le varie bollette della luce, del gas e dell’acqua ci rimangono appena trecento euro al mese. Come si fa ad andare avanti così? A mio figlio a volte sembra brutto chiedermi dei soldi, ma anche quando me li chiede, perché magari vuole uscire una sera con la fidanzata per andare a mangiare una pizza, io cosa gli posso dare? Un euro, due euro? Due euro, a un ragazzo di diciotto anni? Io mi vergogno. Adesso ha deciso di partire pure lui, ma d’altronde cosa devono fare i nostri figli qua?».

Arrivano altri ex operai, ma Salvatore, la cui ultima mansione alla Fiat è stata il «controllo della qualità» delle Lancia Ypsilon che uscivano dalla catena di montaggio, vuole sfogarsi: «Il divorzio della Fiat dalla Sicilia ha distrutto la mia famiglia – piange mostrando le foto delle sue tre nipotine emigrate in Belgio nei mesi scorsi – se oggi ho questa casa lo devo all’avvocato Agnelli. Marchionne invece ci ha ridotti alla fame, ha cambiato tutto, non parla con i sindacati, offende gli operai. Non capisco perché si è accanito con la Sicilia. Lo so che è brutto, ma gli auguro di fare la nostra stessa fine, perché se lui non prova quello che stiamo provando noi, non riuscirà mai a capire cosa vuol dire morire di fame».

«C’è da piangere», dice Bartolo, sui 60 anni, ex carrellista, anche lui con più di trent’anni di fabbrica sulle spalle e due figli diplomati e disoccupati in casa: «Se siamo ridotti così dobbiamo dire grazie al nostro governo, al nostro Berlusconi. E’ stato bravo a parlare, ha illuso l’Italia, ha illuso gli italiani con meno tasse, meno questo, meno quello… ed eccoci qua, siamo tutti in attesa di giudizio. Poi è arrivato il signor Monti e ha risolto tutti i problemi. E’ bravo anche lui…». Enzo, quarantenne, tessera Fiom, lo sottolinea in tutte le manifestazioni in cui incontriamo: «Quando la Fiat ha annunciato la chiusura di Termini, al governo c’erano cinque o sei ministri e sottosegretari siciliani: c’erano Alfano, Micciché, che due anni fa è stato pure vicesindaco Termini Imerese, La Russa, Prestigiacomo. Il presidente del senato Schifani, che è palermitano, sarebbe dovuto saltare sulla sedia perché lo sa benissimo cosa significava la Fiat in un territorio come il nostro. Questi signori non hanno mosso un dito». Ancora Bartolo: «Siamo arrabbiati, dobbiamo essere arrabbiati perché la politica ci ha traditi. Prendono 18 mila, 20 mila euro al mese mentre noi, dopo 33 anni di lavoro in fabbrica se questo mese prendiamo 7-800 euro è grasso che cola. E’ una vergogna! Oggi Rai Tre – continua – ha fatto vedere lo stipendio di Marchionne». E quanto guadagna? «Non li sappiamo neanche fare quei numeri», ridono amaro: «Poi hanno confrontato il suo stipendio con quello di un operaio Fiat. C’è una differenza di anni luce. È assurdo, è assurdo…».

 Donne non solo sconfitte

Lina, Antonietta e Franca nel 2002 sono state tra le donne protagoniste della famosa lotta che indusse la Fiat, che già allora aveva chiuso lo stabilimento, a fare marcia indietro e a riattivare gli impianti. A distanza di dieci anni si sentono sconfitte anche loro. «Sconfitte ma orgogliose, perché possiamo guardarci allo specchio e dire abbiamo aiutato i nostri mariti a riconquistare il lavoro». Le incontriamo alla Libreria cafè 52, nel centro storico di Termini, gestita da Filippo Giunta, memoria storica del movimento operaio termitano, ex operaio Fiat anche lui, licenziato alla fine degli anni ’80 perché aveva organizzato uno sciopero per il contratto. Lina fa la volontaria alla Cgil: «Nonostante tutto la Fiat ti dava dignità, lo stipendio era basso ma era una garanzia. Se andavi in banca a chiedere un fido la banca te lo dava senza aprire bocca. Non c’era differenza tra gli operai Fiat e gli impiegati comunali. Oggi invece gli operai sono più poveri e i loro figli saranno più ignoranti perché non potranno più andare a scuola». Franca: «Con la Fiat abbiamo ho avuto una gioventù felice. In passato ci siamo fatti anche qualche vacanza, ci siamo ritagliati anche qualche pizza, qualche orecchino, abbiamo fatto studiare i nostri figli. Con la Fiat abbiamo fatto grandi cose. E’ stato un terno al lotto». Antonietta: «Qui era tutto concentrato sulla Fiat. Ma i problemi grossi arriveranno dopo perché a questa Dr non è che ci crediamo molto». Lina: «Mio marito mi ha raccontato dell’ultimo giorno in fabbrica: è stato il giorno più triste delle sua via. Gli operai piangevano e si abbracciavano mentre facevano le ultime Lancia Ypsilon”.

Massimo Giannetti

5/6/2012 www.ilmanifesto.it

 
 
 

Muore Carla Verbano, la madre di Valerio. Un addio, quello della donna, senza giustizia per il figlio

Post n°6472 pubblicato il 06 Giugno 2012 da cile54

Ciao Carla,

la tua lotta per la verità sull'assassinio di Valerio è entrata nei nostri cuori, ci accompagnerà sempre per continuare la lotta per avere giustizia per gli assassini di Peppino Impastato, Fausto e Iaio e di tutti gli altri compagni comunisti caduti nella lotta per una società giusta. (cile54)

 

Valerio Verbano è stato ammazzato a solo 19 anni da killer fascisti. Era il 22 febbraio dell'80.

La madre, che aveva 88 anni, oggi se n'è andata lottando fino all'ultimo per la verità sull'omicidio del figlio. I compagni ricordano questa donna per la forza che dagli anni della morte di Valerio l'ha tenuta in vita alla ricerca di giustizia. Sul web numerosi i messaggi per accompagnare questa perdita.

"Se ne è andata questa sera Carla Verbano" scrive una compagna. "Ci ha lasciato dopo aver lottato a lungo e con tenacia contro un male che da anni la tormentava. Per noi Carla non è stata solo la madre di un compagno assassinato, Valerio, l'esempio di una donna e di una madre che fino all'ultimo ha lottato per avere verità e giustizia sull'omicidio del figlio, ma anche un amica e una figura importante per le nostre vite e per le nostre battaglie. Una compagna e una amica che abbiamo avuto vicino nei momenti difficili così come in quelli più felici."

Trentadue anni fa era la madre di un compagno ammazzato dai fascisti, la sua era una storia orrenda e vicina ma parte integrante di un conflitto in cui sono morti tanti compagni. Ma poi, dopo, Carla è diventata anche altro. È entrata nella nostra storia con forza e dolcezza, ci ha accompagnato e ha chiesto di non essere lasciata da sola nella ricerca di una verità che si faceva sempre più lontana. Ogni tanto spuntava una pista, una traccia che lasciava trasparire speranza di giustizia, a volte anche gratuite e squallide infamità, in fondo quando ammazzarono Valerio, i giornali borghesi scrissero "Ucciso un autonomo", col disprezzo riservato alle vittime di serie B di cui nessuno avrebbe pianto la scomparsa. Invece non abbiamo dimenticato né Valerio né Carla, ci siamo rimasti, caparbi e dispersi, frammentati e con un dolore che lo spariva. Abbiamo sperato in un finale diverso, Felicia Impastato visse abbastanza per vedere i volti dei killer mafiosi che avevano ordinato edeseguito l'omicidio del figlio. Carla non ce l'ha fatta, il male ha vinto, ma noi che non crediamo nell'aldilà, non cerchiamo sogni consolatori, continueremo a cercare di sapere. Ora lo dobbiamo ancor di più anche a Carla, madre forte  e sempre in piedi di tante compagne e compagni.

S. G.

5/4/2012 www.controlacrisi.org

 
 
 
 

L'informazione dipendente, dai fatti

Nel Paese della bugia la verità è una malattia

(Gianni Rodari)

 

SI IUS SOLI

 

 

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G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI

Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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