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Messaggi del 05/06/2012

 
 

Militante della solidarietà. Per Dino il futuro e il presente non potevano essere ridotti alla vita individuale. Ci manchi Dino

Post n°6470 pubblicato il 05 Giugno 2012 da cile54

Dino Frisullo, un’infinita militanza avida. Di Amore e di lotta

 

 

Ci sono giorni che sono poco più di un numero di un calendario che scorre. E ci sono giorni che invece penetrano e rapiscono le corde più intime del cuore. Il 5 giugno è tra questi. Il 5 Giugno, il giorno di Dino Frisullo. Giorno in cui la vita, nel lontano 1952, ce lo donò. E giorno nel quale un crudele destino, nel 2003 ce lo rapì.

 

Passano gli anni, ma sembra ieri. Poche righe di agenzie diedero a tutta Italia la tristissima notizia: "è morto il pacifista Dino Frisullo" e poco più. E tutti sentimmo di aver perso qualcosa di più di un fratello, di un compagno, di un militante di mille e più battaglie. A coloro che si dilaniano tra "foto di Vasto"(signora mia, come è messo male il giornalismo italico se viene a Vasto per fotografare un pugliese, un molisano e un emiliano seduti in poltrona e non si accorge minimamente di ben altre bellezze, la Bagnante si lascia ammirare da decenni nella sua commovente bellezza e loro si girano oltre...), il-Lusi-oni, margherite e api che sembra di stare in un prato verde, terzi poli che si sciolgono ancor prima che la neve cada, Dino avrebbe da insegnare moltissimo, tantissimo, tutto e anche di più. Ma Dino è troppo passionale, troppo innamorato, troppo scomodo per le loro vuote certezze. Dino è in mezzo a noi, Dino è patrimonio degli ultimi, Dino è un’appassionata lotta che non è mai finita.

 

Ovunque si alzava la voce per i diritti e per la dignità, in ogni luogo dove si alzava la bandiera della dignità e della pace, Dino c’era. Dino Frisullo è stato per decenni la storia del pacifismo, dell’antirazzismo, dell’internazionalismo, della sinistra italiana. Quella sinistra che non si trastulla nei salotti, che non si arrampica per le poltrone di una banca o di un palazzo. Ma che vive, si appassiona, lotta, nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nei lager per migranti, nei porti. Una lotta che sapeva diventare poesia commovente e struggente, capace di graffiare le corde dell’animo e di esprimere denuncia e umanità. L’11 settembre, il dramma di chi abbandonava la sua terra e trovava ad attenderlo i lager e il respingimento, nelle sue mani diventavano versi d’indignazione e di denuncia.

 

Non esiste la storia di Dino, esistono le storie. La storia di Damiano Frisullo, un giovane ragazzo pugliese, per vent’anni. E poi esiste Dino, che per trent’anni ha attraversato i luoghi più martoriati e difficili della Terra assetato di umanità e di libertà, di dignità e di giustizia. Già negli Anni Ottanta, quando moltissimi a malapena conoscevano la parola immigrazione ed erano ben lontani dall’interessarsene, Dino aveva capito una lezione fondamentale. Non ci si doveva "occupare" di immigrazione, non bisognava "lavorare" per i migranti. No, era necessario e doveroso vivere con i migranti, rivendicare diritti con i migranti, rendere i migranti protagonisti delle loro vite e non oggetto di assistenzialismo o pietismo. Era, in fin dei conti, la storia della vita e della militanza di Dino: affiancarsi agli ultimi e agli oppressi e camminare con loro, essere uno di loro in tutto e per tutto.

 

La Bosnia, la Palestina, fino al suo amatissimo Kurdistan sono stati la sua Patria. Era il 1997, l’Italia aveva appena scoperto che il Kurdistan esisteva veramente e non era un’invenzione cinematografica, e Dino ne aveva già calpestato la terra per centinaia di volte. Arrivò un giorno in un porto del sud, forse Brindisi o Mazara, una nave, una vecchia carretta arrugginita. Sulla fiancata c’era una scritta rossa: Frizullo. Poche settimane dopo ne arrivò un’altra: Frisonullo. I kurdi conoscevano lui, Dino Frisullo, e pensarono di rendergli omaggio mentre giungevano sulle coste della sua Italia. Dino per loro era più di un amico, di un compagno, era il loro vessillo che issavano sperando di trovare le braccia aperte e l’umanità di Dino. Non fu così. Perché in quegli anni l’Italia cominciò a costruire i Cpt, i lager per migranti. Dieci anni fa, erano i tempi delle oceaniche manifestazioni contro la guerra in Iraq, i pacifisti furono accusati di essere "quelli che sventolano le bandiere", i giovanotti di belle speranze che non si sporcano le mani ma declamano belle parole. Dino le mani se le sporcò eccome. E in Kurdistan provò anche l’arresto e la prigione, fino ad essere espulso. Eminenti mandarini televisivi e giornalistici, radical-chic da salotto e persino alcuni che si dichiaravano pacifisti, lo attaccarono e dissero che non lavorava per la Pace, che Dino danneggiava l’Italia. E’ l’ipocrisia dei perbenisti e di coloro che Dé Andre definì "materassi di piume".

 

La vita, le mille vite, di Dino è stata militanza appassionata, è stata la lotta dei migranti, dei kurdi, di migliaia di persone. Una militanza che cancellava la stessa vita personale e le dava altri sentieri, altri passi, altri luoghi. Impegno quotidiano, se fosse possibile anche 26 ore al giorno, senza pause e senza fermarsi, in una "folle staffetta mozzafiato", com’ebbe a definirla lui stesso. Sempre pronto, sempre presente, perché alla porta bussa l’amico tamil senza visto di soggiorno, c’è un’occupazione o un corteo da organizzare e mille altri impegni. Sul letto d’ospedale, poco prima di morire, il suo pensiero non andava alla salute, a sé stesso, ma alla mobilitazione contro la guerra che stava animando l’Italia, al suo non poter essere in prima linea. Fino all’ultimo Dino non fu semplicemente Damiano Frisullo, ma fu l’umanità assetata di altra umanità, la millenaria storia dei compagni veri, dei socialisti e degli anarchici, dei comunisti e dei pacifisti, degli operai e delle mondine, che camminava. Lo straccio rosso di Pasolini per Dino non cadde mai per terra, non si dovette mai rialzare dalla polvere, non ne aveva il tempo.

 

"La cosa più bella è suscitare ricordi forti e belli" scrisse due mesi prima di esser strappato crudelmente da noi. Tanti, tantissimi, avranno per sempre ricordi forti e belli di Dino, con Dino. L’avranno le migliaia di militanti e di attivisti che con lui hanno condiviso il cammino, l’avranno i migranti, i pakistani, i tamil, i senza casa, i palestinesi, gli iracheni, i kurdi che hanno lottato con lui e in lui hanno trovato umanità, voce, speranza. E sono ricordi che superano ogni calendario, ogni barriera di tempo e di spazio. Scavalcano quel crudele 5 giugno e ancora oggi infiammano i cuori. Dino vive e lotta ancora, ama e amerà sempre. Nel popolo dei sognatori e dei ribelli. In una delle loro canzoni più belle i Modena City Ramblers cantano "Un giorno, guidati da stelle sicure, ci ritroveremo in qualche angolo di mondo lontano, nei bassifondi, tra i musicisti e gli sbandati o sui sentieri dove corrono le fate". Nella lotta dei compagni, dei militanti che non si arrendono, degli ultimi che reclamano diritti, dignità, libertà e giorno dopo giorno costruiscono i loro sogni, guidati dalle stelle più luminose dei cuori veri e degli ideali appassionati, la musica dei poveri e il calore degli ultimi disegneranno sempre la magia più bella, la magia di Dino.

 

Bellissimo conoscerti, impossibile dimenticarti. E oggi cammini ancora al nostro fianco, ci fai coraggio e ci sproni a non fermarci mai. Nei mille Alì che sognano l’Europa, nelle bellissime Leyla dagli occhi "più profondi del mare", sotto il cielo di Zako, nei prigionieri assetati di vita nel deserto del Neghev, nei 31 migranti deportati l’altro giorno da Riace, negli aspri monti del Kurdistan, nel senza casa che disperatamente vuol sperare nel futuro, Dino c’è. Ha altri nomi, altre radici, ma è sempre lui. E ogni volta che asciugheremo una lacrima di "chi sa piangere ancora", ogni giorno in cui raccoglieremo "il testimone del suo entusiasmo", Dino camminerà al nostro fianco, il mondo respirerà ancora e si nutrirà di ogni sua fibra.

 

Alessio Di Florio

5 giugno 2012 www.bellacioa.org

 
 
 

Terremoto e business: comè possibile che strutture industriali “recenti”, si siano sbriciolate come pasta frolla?

Post n°6469 pubblicato il 05 Giugno 2012 da cile54

Il morto in casa

A leggere o seguire molti dei reportage dei giornali e dei notiziari radiotelevisi sul terremoto dell’Emilia e ad ascoltare interviste di vittime e “protagonisti” investiti di una qualche responsabilità “istituzionale” (imprenditori, presidenti delle loro associazioni, ma anche amministratori pubblici) c’è di che rimanere sconvolti. Dunque, in una ipotetica scala gerarchica dei danni del terremoto, quello principale non sarebbe la scomparsa di interi paesi, la perdita di importanti beni storico culturali, la paura e lo smarrimento della gente, nemmeno i morti, ma…il blocco delle attività produttive! “Si ferma l’Italia più dinamica e competitiva”, “rischia di scomparire l’industria biomedicale italiana”, si dice e si scrive con una evidente punta di esagerazione sulla realtà; e, conseguentemente, si fa seguire l’angosciosa domanda sul “quando potremo ricominciare a lavorare?!”. E, ancora di conseguenza, giù a ipotizzare e proporre soluzioni urgentissime, drastiche e radicali, come fa il Corriere della Sera che arriva a suggerire il trasferimento altrove delle fabbriche intere (come fece Stalin, da Mosca al Caucaso, all’epoca dell’invasione nazista), o delle lavorazioni verso altre aziende non “sature”, fingendo tra l’altro di ignorare che, una volta “andate”, con tutta probabilità, quelle strutture produttive nei Comuni originari non tornerebbero più.

 

Ma, viene fatto di domandare, le imprese emiliane in ferie non ci vanno mai? E le ferie non durano in Emilia, almeno quindici, venti giorni, un mese? E adesso, per un periodo del genere o per quello necessario a doverosi e imprescindibili controlli e verifiche, che catafascio dovrebbe succedere?!

 

E’ vero, gli imprenditori, e ancora di più i loro operai, italiani e immigrati, sono presi alla gola: perché gli “ordini”, le commesse, i committenti, in definitiva i ”mercati” non si fermano mai, nemmeno davanti alle disgrazie e alla morte; anzi approfittano delle sciagure per darsi nuove convenienze e scalare e invertire i posti nelle classifiche dei beneficiari. In questa frenesia “cupio-dissolvente” della corsa al profitto, può così accadere che, anche col morto in casa, il pensiero corra non alle esequie, ma al modo di come riprendere al più presto la “competizione” forzatamente interrotta.

 

Ma se le cose stanno così, e non c’è dubbio in parte consistente stanno così, quelle genti emiliane (e noi di tutta Italia ed Europa con loro) dovranno pur porsi l’interrogativo su che “mondo” abbiano (abbiamo) costruito e quale vogliano continuare a costruire.

 

E’ possibile, in Emilia, ricominciare tutto subito, senza una pausa per capire e riflettere su quel che è successo? E’ possibile “ricominciare a lavorare”, senza porsi il problema (come stanno tentando, doverosamente e commendevolmente, di fare i giudici) di come sia possibile che un terremoto che viene nel cuore della notte (penso alla prima scossa) il numero maggiore delle vittime le miete non tra i cittadini sorpresi nel sonno, ma tra gli operai svegli e al lavoro nelle fabbriche?! E non chiedersi come sia possibile che strutture industriali “recenti”, si siano sbriciolate come pasta frolla di fronte ad un sisma forte, ma non distruttivo, come fu quello di altre parti d’Italia? E ancora: su cosa è stato costruito il miracolo industriale ed economico del “nord est”?: alludo non tanto alla qualità delle strutture materiali, che si commenta da sola, e nemmeno a quella perversa e ossessiva logica di competizione di costi di cui i crolli dei capannoni sono il tragico emblema e che mette in secondo piano i diritti dei lavoratori e la loro sicurezza; ma ad altri valori, che siano “liberati” dall’ossessione della competizione e del profitto ad ogni costo e che dovrebbero dare un senso al benessere economico diffuso in quelle aree, come la tranquillità dell’esistere e la compatibilità dei tempi del lavoro con quelli della vita.

 

Ricominciare in Emilia, eludendo questi interrogativi, si può fare, ma sarebbe un grave errore, che non metterà al riparo dal rischio che il terremoto (che speriamo finisca prima possibile) possa essere, in futuro, sostituito dai colpi e dai contraccolpi di un sistema economico in crisi, irrazionale e disumano.

 

Leonardo Caponi

3 giugno, 2012 www.esserecomunisti.it

 
 
 

Garantire a donne e uomini, lesbiche gay e transessuali, pari diritti – all’autodeterminazione, alla salute, alla genitorialità

Post n°6468 pubblicato il 05 Giugno 2012 da cile54

GAY PRIDE DOCUMENTO POLITICO RIVENDICATIVO

 

PARITA’

 Lotta alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere ed a lesbofobia, omofobia e transfobia 

 

 Il Principio di non discriminazione è espressamente previsto dall’art.  21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Esso stabilisce che “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”.

 

Il principio di non-discriminazione è volto a garantire la parità di trattamento tra le persone, quali che siano la nazionalità, il sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le credenze,  la diversa abilità, l’età o l’orientamento sessuale o l’identità di genere.

 

Discriminare significa differenziare o trattare in maniera diversa quando non sussiste alcuna differenza rilevante fra due persone o situazioni, oppure trattare in modo identico situazioni che, in realtà sono differenti.

 

Nel nostro paese la lotta contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale nel luogo di lavoro è disciplinata dal Decreto Legislativo n. 216/03 che ha recepito la Direttiva Europea 2000/78.

 

Questa prevede che chi ritiene di essere discriminato, può rivolgersi al Giudice perché quest’ultimo faccia cessare il comportamento discriminatorio.

 

Tuttavia, le maggiori Associazioni LGBT italiane denunciano una mancanza di dati empirici sulla discriminazione nei confronti delle persone LGBT e una carenza sistematica di una politica ferma ed efficace sulle strategie di contrasto alla discriminazione. Operatori ed Associazioni denunciano uno scarso utilizzo dei divieti di discriminazione e dei relativi strumenti sanzionatori, nonché un’attività quasi nulla da parte degli ispettori del lavoro.

 

Il risultato che ne deriva è la scarsissima applicazione della normativa antidiscriminatoria e la sostanziale impossibilità di definire adeguato lo standard di tutela delle persone LGBT in Italia.

 

Per questa ragione anche il movimento LGBT Italiano chiede a gran voce insieme alle maggiori Associazioni Europee l’emanazione di una Direttiva Orizzontale finalizzata alla tutela contro la discriminazione fondata sull’età, la diversa abilità , l’orientamento sessuale e l’identità di genere in ogni ambito della vita, compreso la protezione sociale, la sicurezza sociale, l’assistenza sanitaria, il lavoro,  l’istruzione e l’accesso e fornitura di beni e servizi commercialmente disponibili al pubblico, compresi gli alloggi.

 

L’omofobia, la lesbofobia e la transfobia manifestata anche tra chi ha ruoli di rappresentanza e riferimento per lo Stato e le religioni rappresentano uno strumento di oppressione e di violenza potente nei nostri confronti: dobbiamo continuare a denunciare questi violenti attacchi da parte degli esponenti di governo e religiosi in sede europea e segnalarli alla Corte Europea dei Diritti Umani.

 

Perciò riteniamo necessarie:

 

● l’emanazione di una legge che punisca i crimini d’odio motivati da omofobia lesbofobia e transfobia anche attraverso l’estensione della legge Mancino all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

 

● una migliore applicazione della direttiva europea 85 del 2005 riguardo allo status di rifugiato anche per le persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali e  transgender perseguitati, non solo dallo Stato, nei loro paesi;

 

● nuovi e più efficaci protocolli per il contrasto al bullismo e all’omofobia e lesbofobia nella scuola e in tutto il mondo giovanile, anche attraverso la sensibilizzazione e la formazione del personale scolastico e di tutte le categorie di lavoratori/trici che operano a contatto con i minori.

 

● il sostegno alla proposta di una nuova direttiva europea contro le discriminazioni in tutti i settori della fornitura di beni e servizi (salute, istruzione, formazione, alloggio, ecc.);

 

● il potenziamento dell’OSCAD (Osservatorio contro gli atti di discriminazione) in seno alle Forze dell’Ordine, nonché azioni concrete per potenziare la formazione delle Forze dell’Ordine nella lotta contro i crimini lesbofobici omofobici e transfobici .

 

● la salvaguardia della laicità dello Stato.

 

DIRITTI

Famiglie plurali e con pari diritti.

 

La Risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo 2000 chiede di garantire alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali.

 

Sono passati 12 anni e nulla è successo.

 

È una misura di civiltà cui anche l’Italia si deve adeguare per non restare ai margini del cammino di allargamento dei diritti civili intrapreso dall’Europa.

 

Per noi la battaglia politica e culturale più importante è quella per la parità e l’uguaglianza dei diritti. In questo senso chiediamo una legge che consenta il pieno riconoscimento delle nostre unioni attraverso il matrimonio civile.

 

Non è più necessario infatti avere come obiettivo uno statuto differenziato rispetto alle coppie eterosessuali, bisogna puntare semmai su istituti leggeri per chiunque voglia avvalersene. Una legge che permetta l’accesso delle persone LGBT al matrimonio civile, contribuirà a migliorare la vita di migliaia di persone e promuoverà nel contempo un cambiamento nella mentalità comune.

 

Chiediamo l’uguaglianza dei diritti, attraverso:

 

● una legge che estenda il matrimonio civile anche alle coppie dello stesso sesso;

 

● la creazione di istituti differenti e distinti dal matrimonio che prevedano il riconoscimento giuridico delle unioni civili, nel rispetto delle differenti modalità di legami sentimentali e affettivi in linea con ciò che è avvenuto in molti paesi europei.

 

Genitorialità

I gay, le lesbiche, le persone transessuali e transgender hanno spesso anche figli, che crescono felicemente all’interno di famiglie cosiddette non tradizionali.

 

La genitorialità è scelta e capacità non soltanto di procreare -di per sé ostacolabile solo dalla sterilità e non dall’orientamento sessuale-  ma soprattutto di educare e prendersi cura dei propri figli.

 

Anche i gay, le lesbiche, le persone transessuali e transgender hanno queste attitudini, poiché sono esse inclinazioni tipicamente umane.

 

Ad esempio in Italia sono almeno 100.000 le bambine e i bambini, o adolescenti, che vivono in famiglie omogenitoriali o con un genitore transessuale.

 

Bisogna combattere ogni forma di pregiudizio possa colpire questi figli e introdurre normative che diano a costoro la stessa parità di diritti di quelli che crescono in ambiti familiari eterosessuali.

 

Del resto in Italia – a causa di scelte normative non dettate da esigenze reali e da libere aspirazioni di vita, ma da condizionamenti non laici – è in vigore una legge sulla procreazione assistita, che va riformata in quanto discriminante e dunque incostituzionale, ideologica e vessatoria.

 

Chiediamo:

 

●la possibilità di adozione interna alla coppia omosessuale, riconoscendo legalmente la figura del co-genitore, come avviene nelle coppie eterosessuali. Si tratta di un riconoscimento fondamentale per dare pari tutele ai nostri figli, altrimenti costretti a vedersi riconosciuto un solo genitore (oltre che per assicurare a chi ha contribuito ad allevare un/a bambino/a di non essere estromesso/a da un’eventuale rottura della relazione con la/il partner).

 

● l’accesso all’adozione per le coppie dello stesso sesso, a pari titolo con le coppie di sesso diverso, coerentemente con le leggi vigenti a tutela dei/delle figli/e adottati/e.

 

● una legge che regoli la responsabilità genitoriale delle/dei partner di fatto, anche dello stesso sesso;

 

● una legge che garantisca l’adozione di minori anche da parte delle/dei singole/i e delle coppie dello stesso sesso;

 

  la modifica della legge 40 per consentire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alla singola maggiorenne e alle coppie dello stesso sesso

 

● il recepimento della direttiva europea 38 del 2004 sulla libertà di movimento dei cittadini europei in modo rispettoso dei diritti delle coppie di fatto o registrate gay e lesbiche;

 

SALUTE

 

Politiche per la salute e il benessere delle persone LGBT

 

Chiediamo che sia garantito il diritto alla salute delle persone LGBT ponendo fine alle discriminazioni in ambito sanitario anche attraverso un’adeguata formazione del personale sanitario. Chiediamo che all’interno di formazione e di interventi mirati al riconoscimento della differenza di orientamento sessuale, sia sempre presente anche un approccio alla diversità di genere.

 

E’ importante attivare corrette campagne di informazione sulla prevenzione primaria e secondaria dall’HIV/AIDS e dalle malattie a trasmissione sessuale. Vanno altresì garantiti i diritti delle persone sieropositive anche attraverso la lotta contro lo stigma sociale legato all’infezione da HIV.

 

Occorre denunciare l’assenza o l’inadeguatezza comunicativa che in Italia hanno avuto le politiche mirate alla prevenzione e al contrasto dell’infezione da HIV, e la mancanza di misure volte a combattere stigma e discriminazione.

 

E’ necessario che il governo ottemperi gli impegni presi con il Fondo Globale per la lotta contro l’AIDS, tubercolosi e malaria.

 

Bisogna inoltre mettere in luce che il problema maggiore della lotta all’HIV/AIDS è la presenza di numerosi Late Presenters, cioè di persone che scoprono tardi la propria sieropositivà, fatto che rende le stime di HIV+ non precise e inefficaci nella formulazione di bilanci di spesa. A tale proposito è necessario attuare un ragionamento di contenimento dei costi dei farmaci per le terapie antiretrovirali.

 

Chiediamo:

 

● al ministro in carica di attuare politiche di prevenzioni efficaci e targetizzate

 

● l’attivazione e la creazione di campagne di informazione primaria e secondaria dall’HIV/AIDS e dalle infezioni a trasmissione sessuale, unitamente a campagne di informazione e sensibilizzazioni al personale medico e paramedico sul rapporto medico-paziente, qual’ora si trovassero davanti persone Lesbiche, gay o transessuali e transgender.

 

● che all’interno di formazione e di interventi mirati al riconoscimento della differenza di orientamento sessuale, sia sempre presente anche un approccio all’identità di genere.

 

-        politiche di lotta contro lo stigma sociale

 

-        politiche d’implementaazione dell’offerta del test, anche attraverso l’impegno delle associazioni di categoria

 

Le associazioni LGBT sono pronte ad operare di concerto con le istituzioni nazionali e locali e per l’adeguamento e il miglioramento dei servizi nell’interesse della salute delle persone LGBT.

CONTINUA SU www.bolognapride.it

 
 
 
 

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Nel Paese della bugia la verità è una malattia

(Gianni Rodari)

 

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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