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IL PRESIDENZIALISMO DEMOCRATICO

Post n°1071 pubblicato il 13 Marzo 2023 da rteo1

IL PRESIDENZIALISMO DEMOCRATICO

In Italia da anni si parla di "presidenzialismo", così come di altre riforme costituzionali, come ad esempio quella della separazione delle carriere (o dell'Ordine) tra la magistratura inquirente e la giudicante. Questa legislatura sembra essere "politicamente buona" per introdurre nella Costituzione italiana il (semi)presidenzialismo (alla francese) perché il governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene l'hanno posto come punto fondamentale del programma elettorale e hanno confermato nelle sedute ufficiali che intendono approvarlo. Anche senza il contributo delle forze politiche di opposizione, se dovesse rendersi inevitabile. Comunque vada, è tuttavia opportuno (o necessario) che l'eventuale approvazione della legge di riforma sia sottoposta al vaglio referendario, sperando che non si concretizzi la disposizione del co.3 dell'art.138 della Costituzione: "Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti". Va detto, per "onestà intellettuale", che nessuna Costituzione dura in eterno, così come neppure la democrazia ateniese durò oltre i due secoli, con fasi alterne, tra cui anche un periodo dittatoriale. E di questo era ben cosapevole Solone il quale, incaricato dagli ateniesi di dare loro una Costituzione e delle leggi per superare le frequenti guerre civili, le approvò e ne fissò la durata in cento anni, e per evitare condizionamenti e "pressioni" sociali si allontanò dalla polis per una decina di anni. Anche a Polibio era ben nota la "ciclicità" delle Costituzioni, il quale l'associava al ciclo della natura, così come Gaetano Filangieri era convinto anche della ciclicità della legislazione. Niente di nuovo, perciò, se oggi si stia parlando di riformare in senso "presidenziale" la Repubblica italiana. D'altronde ciò è previsto anche dalla vigente Costituzione, che all'art.138, innanzi richiamato, lo consente (con la doppia approvazione), e ne è prova il fatto che, fino ad oggi, sono state già approvate molte modifiche della Carta (tra le più incisive vi è certamente la riforma del Titolo V sulle autonomie delle Regioni, su c.d. "giusto processo" e la recente riduzione del numero dei parlamentari). Indubbiamente il clima socio-politico-economico italiano, con circa dieci milioni di poveri (relativi e assoluti) e molte aziende che hanno già chiuso o stanno per chiudere i battenti, e il contesto geopolitico europeo e mondiale in cui molti Stati hanno piegato la "ragione" alla supremazia della volontà di potenza mediante l'impiego delle armi per risolvere conflitti etnico-territoriali e prendere parte attiva ad una farneticante guerra alle porte dell'Europa, consiglierebbero di risolvere prima di tutto i problemi quotidiani e di sopravvivenza di molti cittadini messi in ginocchio dalla crisi globale economica ed energetica. E, inoltre, di prendere sul serio gli estremi cambiamenti climatici sulla terra e la scarsità dell'acqua potabile in molte aree del pianeta colpite da lunghi periodi di siccità. Tuttavia, si deve anche riconoscere al mondo della c.d. "politica" pure la necessità dei suoi riti, sia in termini di programmi elettorali che di attuazione degli stessi. Ovviamente, prima di operare, però, un cambamento dell'attuale assetto costituzionale dello Stato occorrerà riflettere a lungo sul se sia proprio necessario, sul perché farlo e come intervenire circa la ripartizione dei poteri, avendo sempre ben chiaro che ogni scelta politico-istituzionale deve migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini e mai peggiorarle (come sarebbe, ad es., gettare le basi per futuri regimi dittatoriali). Bisogna, perciò, mettere da parte le "bandierine ideologiche" e "ragionare", prima di compiere passi così importanti per l'equilibrio istituzionale della Repubblica italiana. L'operazione "chirurgica" da eseguire in senso politico, costituzionale e giuridico inciderebbe, come ormai a tutti noto, sulla ripartizione, nell'ambito della Repubblica, dei fondamentali poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. In tale contesto, nell'attuale forma della Repubblica democratica, il ruolo del Presidente della Repubblica entra in relazione con tutti i poteri. È pertanto inevitabile che inclinando l'asse di tale eminente funzione verso una delle predette tre funzioni (come, ad es., quella governativa, di cui si tratta) si altererebbe l'equilibrio generale dell'intero regime repubblicano-democratico. Pertanto, una tale riforma implica un necessario riassetto generale di tutti i poteri statali per "dosare" in modo equilibrato il rapporto tra i poteri secondo il noto principio della separazione previsto da Montesquieu nel famoso libro "Lo spirito delle leggi" (Esprit des lois) in cui lo si esaltava e giustamente come strumento idoneo ad impedire il sorgere delle tirannie, dei dispotismi, delle dittature. Già Aristotele, però, nella sua opera "Politica", coglieva l'importanza della divisione dei poteri nell'ambito della "polis", dopo aver esaminato e descritto ben oltre un centinaio di Costituzioni vigenti durante il suo tempo e di quello a lui immediatamente precedente. E dalla tradizione anglosassone si recepiva anche il principio del "bilanciamento dei poteri" (check and balance) e del controllo reciproco tra i diversi poteri statali come migliore tutela di qualunque comunità politicamente organizzata. E tuttavia, malgrado tutte queste cautele, non si è mai riusciti ad impedire del tutto l'avvento del "capo", diversamente denominato nel corso della storia (Duce, Zar, Caesar, Führer, Califfo, Faraone, Scià, Rex, ecc.). E la stessa storia ha anche registrato nei secoli passati l'avvento del "principato" allorquando, nella Repubblica dell'impero romano, si passò dalla "Repubblica aristocratica" (senatoriale) a quella del "princeps" (l'imperatore romano). Occorre, perciò, stare sempre in guardia nell'elaborare le diverse formule politiche per evitare che si legittimi un "princeps", ossia un "capo", un uomo solo al comando, divinizzato, idolatrato, venerato e acclamato, perché una tale soluzione è sempre, in generale, foriera di tragedie per il popolo sottoposto a tale potere monarchico e al genere umano. L'impresa ovviamente non è facile perché la stragrande maggioranza degli uomini ha la vocazione al ruolo di  "gregari", ovvero a voler essere "servili", come ben sosteneva De la Boetie nell'opera "Discorso sulla servitù volontaria", tuttavia è doveroso per gli "uomini di libertà" ma anche di quelli "dell'amore", come li distingueva L. De Crescenzo, tentare di impedire che ciò possa accadere e adottare tutti i rimedi possibili affinché nessun "umano", almeno in Europa, diventi più un "princeps", inteso come "padre-padrone" di un popolo. Perciò bisogna essere sempre convinti che il "presidenzialismo" (o altra riforma) deve essere sempre "un mezzo" rispetto ai benefici che tutto il Popolo (nessun cittadino escluso) deve trarne, sia in termini di benessere che di libertà, individuali e collettive, oltre al miglior funzionamento dei poteri dello Stato, anche in senso di trasparenza generale dell'attività pubblica. Inoltre, va sempre tenuto presente che in natura "l'istituzione in sé" non esiste (è una "creazione" artificiale del diritto) e che essa per "agire" deve essere incarnata necessariamente da una persona fisica, ossia da un umano che, come tale, per "volontà suprema universale", è inevitabilmente imperfetto, nel senso che, per quanto sia "geniale" in un campo, ha sempre dei difetti psico-fisici e biologici che non possono essere assolutamente eliminati. Perciò la soluzione non potrà mai essere un rimedio politico, né che sia l'elezione diretta nè indiretta, anche se la scelta della prima esprime una maggiore democrazia del regime di governo. Pertanto, poiché ciascuno "conosce sé stesso" (o dovrebbe) e anche i propri simili ci si dovrà seriamente interrogare su quali e quanti poteri sia opportuno e necessario attribuire ad un umano, prima di dare il proprio consenso politico alla riforma in senso "presidenziale" della Repubblica, che sia alla francese o all'americana, oppure ispirata da altre latitudini. Ed è, altresì, anche utile riflettere sull'errore, diffuso non solo tra le diverse forze politiche ma anche tra i migliori politologi e accademici, che l'elezione diretta del PdR implichi necessariamente anche l'attribuzione allo stesso degli effettivi poteri di governo. Invero ciò, come di seguito meglio si preciserà, non è assolutamente indispensabile dal punto di vista democratico, perché una cosa è la partecipazione diretta del popolo (i cittadini elettori) nella scelta del candidato alla carica costituzionale o istituzionale altra, invece, la "quota" di potere da attribuire al Presidente (Pdr) nel quadro generale dei poteri costituzionali. In altri termini, ben si potrebbe, eventualmente, prevedere l'elezione diretta del PdR ma senza intaccare minimamente le attuali funzioni allo stesso già riconosciute dalla vigente Costituzione. E questa scelta non sarebbe assolutamente riduttiva del ruolo del Pdr bensì sarebbe da ritenere maggiormente "democratica", perché consentirebbe direttamente al Popolo anziché al Parlamento di eleggere il Pdr, il quale conserverebbe gli stessi poteri oggi riconosciutigli, che non sembrano essere né pochi né marginali. E per avere maggiori elementi sui cui poter riflettere risulta opportuno richiamare alcuni articoli circa gli attuali poteri: Art.87: "Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di inziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica"; inoltre: Art. 85: Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni (senza alcun limite formale ai mandati); Art.88: "Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse"; Art.92: "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri"; Art.126: Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della giunta..."; Art. 59: È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare (cinque) senatori a vita..."; Art.135: "La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo  dal Presidente della Repubblica...". Come ben si evince dalle norme innanzi richiamate il PdR s'inserisce nelle procedure della "funzione legislativa" (promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge, autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo, e può sciogliere le Camere), della funzione esecutiva (nomina il Presidente del Consiglio dei ministri, i funzionari dello Stato, ha il comando delle Forze armate), della funzione giudiziaria (Presiede il Consiglio superiore della magistratura) e della funzione di garanzia della Costituzione (nomina un terzo dei giudici della Corte costituzionale). Non sembrano pochi i poteri, in verità. Ma allora che cosa si vorrebbe cambiare con la riforma ? Dagli Atti Parlamentari della passata XVIII legislatura (vds. Atti Parlamentari. Camera dei Deputati. PdL n.42) si rilevano, in sintesi, le seguenti novità che s'intendeva introdurre nella Costituzione: "Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto. Riduzione a quaranta anni l'attuale limite dei cinquanta anni per essere eletto a Pdr; Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni. Può essere rieletto una sola volta. Il Presidente della Repubblica nomina il Primo ministro e, su proposta di questo, nomina e revoca i ministri. Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri". In ordine all'elezione "diretta", come già sopra detto, non c'è alcuna obiezione da fare, ovviamente; anzi, essa amplia certamente la "democrazia" "concessa" dalla Costituzione repubblicana (magari ce ne fosse di più, per es. per la scelta di altre alte cariche apicali costituzionali, e anche in ordine all'iniziativa legislativa dei cittadini e a quella referendaria). In tale modo si riducono i "limiti" di cui all'art.1 che sanisce: "...La sovranità appartiene al Popolo ... nei limiti della Costituzione". È proprio questo "principio fondamentale" che "regola" l'esercizio della Sovranità popolare nella Repubblica, ben intesa quest'ultima, e descritta già da Aristotele, nella sua opera "Politeia", e da Cicerone, nella "Res publica", come il "complesso delle cariche pubbliche dello Stato" le quali, nella democrazia, poiché è il Popolo ad avere il "governo dello Stato" è lo stesso popolo ad assunmere le cariche, per cui l'elezione "diretta" anziché l'indiretta costituisce la migliore espressione della democrazia. Riconoscere, perciò, al Popolo il "suffragio universale e diretto" per l'elezione del Presidente della Repubblica consolida e rafforza la partecipazione democratica nella vita della Repubblica. Anche la durata del mandato a cinque anni, con la possibilità di una sola rielezione, sembra garantire maggiormente la democrazia, e si pone in linea con altri Stati europei dove la durata complessiva non supera i dieci anni e i due mandati. Più problematica, invece, appare la "nomina del Primo ministro" (non più semplice Presidente del Consiglio) e il potere di "presiedere il Consiglio dei ministri", soprattutto perché non vengono riviste tutte le altre competenze previste dalla vigente Costituzione, come, ad es., quelle relative alla "funzione legislativa", alla funzione "giudiziaria" e anche quella di "garanzia" (la nomina dei cinque Giudici della Corte costituzionale). È questo il vero vulnus della suddetta proposta di riforma in senso "presidenziale" dell'attuale Repubblica democratica. Gli italiani finora hanno avuto la possibilità di conservare il "gioco democratico" tra i diversi poteri e organi dello Stato a garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini grazie ad una "classe politica"  e ai partiti che avevano provato l'amara esperienza della seconda guerra mondiale e la dittatura. Da allora il "clima politico" è notevolmente cambiato, e anche il relativo livello di etica e moralità pubblica. Perciò non si può più escludere in assoluto il rischio di poter dare ingresso, nel futuro, a regimi di tipo totalitario; e neppure potrebbe impedirlo l'U.E., dove la democrazia è ancora lontana e il potere è burocratizzato e spostato verso il Consiglio europeo e la Commissione, che è un organo tecnico che si cura dei mercati e della finanza, mentre i costi istituzionali continuano a lievitare (l'U.E. spende circa 170 mld annui di euro e l'Italia contribuisce con circa 17 mld di euro all'anno). E neanche l'alleanza "occidentale" o "euroatlantica", che valorizza soprattutto lo strumento militare contro il "resto del mondo", può facilitare decisioni governative che limitino le libertà e i diritti fondamentali dei cittadini conquistati con il prezzo del sangue delle giovani generazioni passate. Per quanto innanzi detto, quindi, l'unica "riforma" che consenta il "presidenzialismo democratico" è soltanto l'elezione diretta del Presidente della Repubblica che conservi tutti e solo gli attuali poteri previsti dalla vigente Costituzione, senza alcuna ulteriore modifica della vigente Carta costituzionale, se non le sole norme che ora attribuiscono al Parlamento in seduta comune tale elezione. Ferma restando, comunque, la chiamata referendaria del Popolo per confermarne l'approvazione. Con la consapevolezza, ovviamente, dell'inevitabile "ritorno all'origine secondo l'ordine del tempo", come previsto da Anassimandro, e dell'azione imprevedibile dello "spirito oggettivo" sul mondo, come sostenuto da Hegel. Senza tuttavia escludere che, in attesa di tempi migliori, possa risultare democraticamente utile abbandonare (o accantonare) l'iniziativa politica, anche per "comprendere" più in profondità i delicati meccanismi del bilanciamento dei poteri, la loro necessaria separazione, e, in particolar modo, le dinamiche psicologiche e biologiche degli esseri umani, sia dei capi che dei gregari, sia dei liberi che degli schiavi.

 
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