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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Intervista a Francesco De Martino

Post n°389 pubblicato il 09 Luglio 2013 da socialismoesinistra

Ripubblichiamo volentieri un'intervista dell'ex Segretario del PSI Francesco De Martino, scomparso oltre dieci anni fa, rilasciata a Nello Ajello per la Repubblica del 28 Maggio 1997. L'intervista, fatti i dovuti distinguo circa il panorama politico generale necessariamente differente, è estremamente attuale per la critica ferma del presidenzialismo (allora in discussione alla Bicamerale), l'attacco alla concezione politica di Berlusconi, la critica del craxismo e della sua gestione della democrazia interna, la difficoltà oggettiva di ricostruire la Sinistra, il giudizio negativo sull'isolamento dei socialisti, la grande perplessità per la nascita di un partito democratico in Italia.

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 Francesco De Martino

 

 

 

Ma la politica professor De Martino?

 Seguo ciò che succede. Ogni tanto mando qualche letterina. Di recente ne ho mandata una a Cesare Salvi, presidente del gruppo senatoriale del PDS al quale sono iscritto come indipendente. Ho espresso le mie apprensioni sulla riforma di cui si parla nella Bicamerale. Temo che ne esca un mutamento assai dannoso dell'equilibrio dei poteri. Che si collochi, cioè, al sommo della gerarchia un Capo dello Stato o un Capo del governo modellato sullo schema presidenziale. E che il Parlamento finisca per occupare l'ultimo posto. Sarebbe un presidenzialismo alla francese in salsa italiana o qualcosa (il cosiddetto premierato forte) che gli assomiglia. Io non sono d'accordo. L'ho scritto.

Da vecchio socialista...

Non è un'avversione ideologica. Guardo ai precedenti. Già nel periodo prefascista una determinata interpretazione costituzionale rendeva preponderanti i poteri del capo del governo. Il fascismo, ovviamente, li esaltò. E i suoi eredi continuano a rivendicare il presidenzialismo. Fra i democratici, la Repubblica presidenziale trovò un fautore in Pacciardi. Alla Costituente, in favore del presidenzialismo s'era espresso Piero Calamandrei, ma solo perché sperava che quel sistema evitasse il frazionamento dei partiti. Presidenzialista sarà poi Craxi: senza essere certamente un fascista, lui aveva un'idea autoritaria della democrazia. Infine Berlusconi. E' nota la sua propensione verso un potere plebiscitario, in base al quale chi viene investito dal popolo è al di sopra di tutti.

Ma i sostenitori del semi- presidenzialismo, o di qualche sua variante, adducono un argomento principale: la stabilità politica.

Ma quale stabilità! Guardiamo la Francia. I partiti non sono affatto scomparsi. La coalizione di destra è divisa tra gollisti e repubblicani democratici. Quelli di sinistra , fra socialisti, comunisti e radical -progressisti. Ora, in Italia, ci si illude che basti un mutamento costituzionale per cambiare la realtà politica. Invece si attua il cambiamento e la realtà politica peggiora. Come lei forse si ricorderà c'era un unico punto sul quale Francois Mitterand e Jacques Chirac si trovavano d'accordo.

Qual'era, senatore?

 Tutti e due riconoscevano che, in Francia, il parlamento era decaduto oltre ogni limite. E noi adesso rischiamo di cadere dagli eccessi del parlamentarismo- che vanno corretti- ai rigori del presidenzialismo. Con l'aggravante che ciò avviene in un paese nel quale (salvo parentesi democratiche molto contrastate) la tendenza autoritaria è sempre presente. E anche il pericolo dell'individualismo. Non mi pare desiderabile una situazione in cui la politica diventi soltanto uno scontro tra Capi, esacerbato dall'invadenza televisiva. “E perché non dovremmo votare quel signore che ci fa vedere tutte quelle belle cose in tivù?”, si sente dire sotto elezioni.

Riflessioni, apprensioni, lettere a Salvi. Ma la sua partecipazione alla politica attiva, ai suoi riti quotidiani, quando si è interrotta? Non sarà stato quel 15 Luglio di ventuno anni fa, quando una nuova generazione la sostituì al vertice del partito socialista?

Se non proprio quel giorno, accadde poco dopo. Allorché il PSI, per convinzione o per opportunità, cadde nelle mani di Craxi. Continuavo a far parte della Direzione. Mi ascoltavano con grande rispetto formale. Ma nessuno, e meno che mai il segretario, dava una risposta alle questioni che sollevavo. Finché ritenni inutile frequentare un organismo che non contemplava il dibattito. Ma a Riccardo Lombardi capitò anche di peggio. Lo fecero presidente del partito. Lui pensava di esserlo davvero. E d'altronde, non tutti sapevano che Craxi, per temperamento, non tollerava interferenze. Quando si accorse di rivestire una carica senza contare nulla, Lombardi presentò le dimissioni. Le quali non furono né approvate né respinte. Semplicemente, non furono oggetto di discussione. Così Riccardo Lombardi smise di presiedere il PSI.

Pochi conoscevano Craxi nel profondo. Neppure lei, forse. Dopotutto, qualche contromossa si poteva escogitarla. L'ascesa craxiana non doveva essere così irresistibile.

Commisi l'errore di lasciar passare il mutamento senza battermi. Non mi resi conto che ciò che stava avvenendo andava al di là della legittima aspirazione di una generazione più giovane a prendere le leve del partito. Altrimenti avrei dato battaglia. Avrei potuto chiedere un altro congresso. Quando l'ho capito, era troppo tardi.

 E così, si fece da parte.

Non del tutto. Alle elezioni dell' '83 chiesi di essere candidato senatore, a Napoli, in rappresentanza dell'intera sinistra. E venni eletto. Non mi ripresentai nell' '87, perché i socialisti non accettarono una candidatura unica della sinistra. Nel '91 fui nominato senatore a vita. Quando Cossiga me lo comunicò, obbiettai: “Non potrò dedicare alla politica un'attività intensa”. Lui mi rispose: “Basta quello che hai dato”.

Proviamo a sfogliare il capitolo degli errori di Craxi.

Le responsabilità principali sono politiche. Sotto un'apparenza modernistica, Craxi e i suoi seguaci avevano una visione statica. Per loro, i comunisti restavano comunisti e i socialisti dovevano riconquistare il terreno perduto. Così il loro bersaglio diventava il PCI. Era un errore di prospettiva. Pur immaginando la fine del “socialismo reale”, io invece immaginavo e speravo in un'evoluzione democratica dell'Unione Sovietica. E davo per acquisito che il PCI sarebbe cambiato, concludendo a sua volta un proprio lungo processo evolutivo. In queste condizioni, con una politica unitaria, il PSI sarebbe assurto a forza motrice della sinistra. La linea che scelse ne determinò, al contrario, l'indebolimento. Le stesse ambizioni elettorali del partito si riducevano ad ambiti modesti. Nel desiderio di crescere si ritenne comunque legittimo qualsiasi mezzo. Si giudicò il finanziamento illlecito al partito come qualvcosa di normale. E ciò portò il PSI a diventare nemico dei magistrati.

 Il resto è noto.

 Si ma io trovo assurdo che il simbolo della corruzione politica si chiami Craxi. La DC ha attuato le stesse pratiche illecite in modo proporzionale al suo potere, che era assai maggiore. E nessuno la considera altrettanto colpevole. Neppure coloro che aiutarono l'ascesa di Craxi. Esaltandolo. Dedicandogli una specie di culto della personalità.

Qualche esempio, senatore.

Scorra la nomenklatura politica di ieri e di oggi. I rinnegati (chiamiamoli così ) vi abbondano. E' accaduto spesso nella storia. Quanti esponenti dell'aristocrazia repubblicana passarono con Augusto! Non è una consuetudine ristretta alla politica. Riguarda anche gli artisti, la gente di teatro, tutti. Dopo la caduta, Napoleone di divertiva moltissimo a sfogliare il Dictinonnaire des girouettes, una specie di prontuario di coloro che avevano cambiato fronte col mutar del vento.

 Come vede le prospettive della Sinistra in Italia?

 Mi sembra condannata alla divisione. Prima del fascismo, dopo il fascismo, sempre. C'é il PDS, che ha attuato una revisione adeguata ai tempi. Ma c'è anche Rifondazione, che non dice sempre cose sbagliate, ma è un esempio assai dannoso di frattura a sinistra. Il partito di D'Alema è diviso al proprio interno. Da una parte coloro che sostengono una tesi a mio parere giusta: creare qualcosa di analogo alle socialdemocrazie europee. Dall'altra, chi si batte per formare un partito democratico generico: ed è un proposito che mi preoccupa. La democrazia europea ha conosciuto e conosce la socialdemocrazia. Ma un partito democratico e basta, capace di raccogliere l'eredità del socialismo, non esiste nel nostro Continente, né in Francia, né in Germania. E neppure in Gran Bretagna. C'è negli Stati Uniti. Ma si può trasferire in Italia la tradizione americana?

 Come giudica, oggi, i socialisti o ciò che ne resta?

 Con malinconia. Al momento della crisi, nel 1992, invece di unire le forze, si sono divisi in gruppi contrapposti. Chi pensa, adesso, ad una unificazione della sinistra, non può trascurare un dato di fatto: la forza che ha resistito è il PDS. La rinascita di un Partito socialista autonomo non la vedo e non l'approvo. Dire, come fanno taluni socialisti, “diventiamo di nuovo forti e poi vedremo”, significa condannarsi a non contare niente.

 

________________________________________________ 

L' intervista, tratta dal libro di Francesco de Martino “Per il Socialismo l'unità della Sinistra e la pace, scritti politici e testamento 1980-2002”, curato e introdotto da Antonio Alosco, Guida Editore, 2004, è stata scelta e trascritta al computer da Marco Zanier.

 
 
 
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