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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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Le riforme, di Renato Costanzo Gatti

Post n°460 pubblicato il 18 Agosto 2014 da socialismoesinistra

 

Tutti a parlar di riforme, ma ciascuno pensa alle riforme che vorrebbe lui, anche se c’è una sensazione generale che oggi riforma non significa ciò che significava negli anni ’60, ma il suo esatto contrario.
Negli anni ’60 il primo centrosinistra fu l’unico momento storico in cui si fecero riforme tali da cambiare il Paese: dalla nazionalizzazione dell’energia elettrica allo statuto dei lavoratori, dal diritto di superficie arma micidiale contro la speculazione fondiaria alla cedolare secca, dalla riforma delle pensioni all’inizio di una programmazione economica nazionale.
Oggi le riforme tendono a smantellare ciò che in quegli anni si era costruito e che ancora rimane nei nostri ordinamenti.
Renzi sta operando con efficacia per quelle riforme che ritiene indispensabili; quelle istituzionali: riforma del Senato e della legge elettorale.
Personalmente sono favorevole a superare il bicameralismo perfetto e tendere ad un governo che duri una legislatura, ho molte riserve sul come quegli obiettivi siano stati impostati col patto del Nazareno (necessaria conseguenza dei grillino di voler partecipare al processo di revisione per poi protestare di esserne stati tenuti fuori). Soprattutto non ritengo accettabile l’argomento del risparmio nei costi della politica quasi si monetizzasse la democrazia, inoltre penso che a maggiori poteri dell’esecutivo (specie con il diabolico concatenarsi di potere del leader sul partito, del partito sui gruppi parlamentari, dei gruppi parlamentari sugli onorevoli) vadano controbilanciati non lasciando al Senato più poteri possibili, ma dando alla Camera residua più poteri di bilanciamento; ad esempio limitando il voto di fiducia al solo insediamento del governo.
Ma sono queste le riforme che ci chiede l’Europa? O quelle che ci chiedono i produttori di un’economia disastrata? O quelle che ci chiedono i disoccupati ed in particolare i giovani?
Renzi ha la risposta pronta: è già stata approvata la riforma della P.A. e quella per la competitività; sono in cantiere quella della giustizia e quella fiscale; quindi una serie di riforme, e bisogna darne atto, che coprono ampie aree e che possono incidere sulla vita materiale del nostro Paese.

Quindi se le riforme istituzionali servono a decidere con maggior efficacia ed efficienza, occorre porsi la domanda di “cosa” si vuol decidere, qual è la diagnosi dei problemi del nostro Paese, qual è la direzione di marcia che si vuol imboccare, quali sono gli obiettivi da raggiungere.
Da un esame sommario della riforma della P.A. e della competitività mi sono formata questa convinzione: l’interpretazione della crisi che stiamo attraversando come una crisi pesante ma passeggera che prima o poi ci riporterà a livelli accettabili di crescita specie se nel frattempo si alleggerirà la burocrazia, si combatterà l’eccesso di spesa pubblica, si semplificherà il sistema fiscale, si accelererà il processo della giustizia, soffre di una profonda incomprensione della vera natura della crisi, di una diagnosi sbagliata e quindi di una prognosi inadeguata.
E’ come se in presenza di uno smottamento del terreno che sta portando la casa verso il baratro, ci mettessimo a raddrizzare i quadri che pendono troppo verso sinistra.
E non basta quella frase di Guido Rossi sull’editoriale del Sole 24 ore di domenica 10 agosto, che accusa la globalizzazione del capitalismo finanziario di minare la giustizia dei paesi capitalistici; non basta il libro della Mazzucato sulla necessità di un settore pubblico che guidi il processo schumpeteriano dell’innovazione tecnologica, a dare al nostro premier quella visione adeguata alla realtà che dobbiamo affrontare.
Nella riforma della P.A. si corregge la possibilità di continuare a lavorare oltre l’età pensionabile, si rende possibile il trasferimento dei dipendenti entro un raggio di 50 km (salvo la presenza di figli piccoli), si dimezzano i permessi sindacali. Insomma si aggiustano le vitarelle di un sistema che richiederebbe invece lo smantellamento di procedure asfissianti quanto inutili, o quanto meno l’attuazione di norme emesse ma mai attuate o attuate male (penso all’impresa “in un sol giorno” e da ultimo alla fatturazione elettronica).
Nella riforma della competitività una serie disorganica di elementi pur condivisibili (più l’aumento dell’ACE che non la riduzione dell’IRAP) denunciano l’assoluta mancanza di una visione complessiva che costituisca un ritorno (dopo anni di sonno berlusconiano) ad una nuova politica industriale.
Che senso ha concedere un credito d’imposta sull’ammontare degli investimenti in macchinari eccedente la media degli ultimi 5 anni quando le imprese stanno utilizzando i macchinari ben al di sotto del normale utilizzo?
Dov’è un credito d’imposta automatico per l’investimento in ricerca e sviluppo? Dov’è la scelta di un percorso di politica industriale del nostro paese scegliendo e promuovendo attività in settori di prospettico sviluppo futuro?
Anche qui le riforme che tendono a regolare le vitarelle denunciano una profonda preoccupazione per la capacità di questo governo di portarci a superare la crisi.

Quella che sarà tuttavia la riforma delle riforme sarà quella del lavoro; sarà improntata all’agenda 2010 di Shroeder (che pare aver salvato la Germania) ma occorrerà stare molto attenti affinché la mobilità, che pare essere la componente più importante, non porti ad una istituzionalizzazione dei contratti cosiddetti “minimi”, portandoli da 5 anni a tempo indeterminato precarizzando definitivamente quelli che possiamo definire come i mini-jobs italiani. Dobbiamo essere pronti ad una intelligente accettazione barattata però con maggiori diritti (le riforme di Shroeder mantennero la presenza dei sindacati nei consigli di amministrazione) che disegnino un nuovo modo di produrre basato soprattutto sull’alleanza lavoratori-imprenditori contro le fughe finanziarie del capitale.

E per favore, ministro Lupi e Poletti, non parlate dell’affare Alitalia come di un successo nazionale. Piuttosto, perché ricercare strade contorte e sospette e non percorrere la via maestra prevista dalle nostre leggi? Alitalia è fallita (per la seconda volta); la soluzione Passera-Berlusconi si è dimostrata un disastro che richiederebbe di accusare l’ex premier di danno erariale. Per le imprese delle dimensioni di Cai esiste una legge (prima Prodi, oggi Marzano) che indica come procedere in caso di fallimento. O quella legge è da rifare perché inadeguata o ci si deve spiegare perché non è stata applicata così come si sarebbe dovuto.

Renato Costanzo Gatti

 
 
 
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