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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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IL DILUVIO UNIVERSALE

Post n°165 pubblicato il 17 Maggio 2009 da socialismoesinistra

 

 

 

L’ineffabile presidente del Consiglio ha affermato che “Il diluvio universale c’è stato, ma ora è passato e il Paese è tornato come prima, meglio di prima”

Nella conferenza stampa successiva al rifiuto del capo dello stato a firmare un decreto sul caso Englaro, il presidente del consiglio presentò il suo programma costituzionale con poche parole: decreti legge, voto di fiducia, votano solo i capigruppo e il presidente della Repubblica non si intrometta.

Nella frase con cui abbiamo aperto questo articolo c’è tutta la filosofia economica dello stesso soggetto: esaminiamo parola per parola.

Diluvio Universale. Quindi la crisi è stata come il diluvio universale, ha colpito tutti, di violenza inaudita ma ora è  passato. Il diluvio universale è, come dicono gli anglosassoni un act of God; un atto di Dio. Esso può essere considerato come una punizione contro gli uomini, ma il nostro presidente lo interpreta come un atto contro cui non c’è nulla da fare. Succede. Non è colpa di nessuno. Non bisogna far altro che aspettare che passi e per fortuna è passato. Se quindi non è colpa di nessuno inutile prendere provvedimenti, se non ci sono o non si vedono le cause non ci sono neppure i rimedi, siamo al migliore dei mondi possibili. Quando arriva l’influenza si aspetta che passi. Se non c’è analisi non c’è progetto. Aspettare che magari gli altri si diano da fare e se il loro sforzo servirà a qualcosa, ne godremo anche noi che non facciamo nulla.

La Germania, come ci ricorda Carlo Bastasin dalle colonne del Sole 24ore,, ha una visione di un modello mdi crescita, “punta decisamente a migliorare l’istruzione dei suoi lavoratori e il contenuto tecnologico delle sue produzioni coerentemente con un’economia che ha una quota di export pari al 49% del PIL. .. Al contrario la Francia punta a rendere più efficiente il ruolo pubblico, coerentemente con un’economia in cui i trasferimenti sociali sono pari al 56% del reddito disponibile”.

Qual è la visione di un modello di crescita del nostro paese? Non preoccupiamoci, noi siamo qui come prima e meglio di prima.

Il paese è tornato come prima. Quando esplose la crisi tutto il mondo ha sostenuto che “nulla sarebbe stato come prima”. Il nostro premier afferma che il Paese è tornato come prima. E con lui lo affermano le centinaia di migliaia di ragazzi con contratto a tempo determinato che sono stati cacciati dal posto di lavoro; lo affermano i cassaintegrati che campano con 700 euro al mese; lo affermano le migliaia di piccole imprese fallite; lo sostengono i cassintegrati di Alitalia che da dicembre hanno ricevuto solo 400€; lo affermano i milioni di famiglie che avevano investito in fondi comuni d’investimento e che hanno visto dimezzarsi il valore dei propri risparmi; lo urlano con gioia i lavoratori che hanno messo il loro tfr nei fondi pensione e che vedono assottigliarsi l’aspettativa di una pensione; lo afferma il 75% dell’opinione pubblica che osanna l’operato dell’Imperatore. Ma lui corregge il tiro, non siamo come prima, siamo megio di prima.

Meglio di prima. Infatti cosa ci aspetta? La locomotiva statunitense, che grazie ai suoi livelli di consumi trainava la domanda che agendo come moltiplicatore planetario sosteneva il PIL di tutti i paesi occidentali e non, quella locomotiva non ci sarà più. La domanda drogata da un credito smisurato tornerà a livelli molto ma molto più ridimensionati (dal SUV dovranno passare alla 500). La locomotiva cinese ha dimezzato le previsioni di crescita del PIL. La Germania riscontra un calo del PIL al di là del 6%. Il nostro paese necessariamente fondato sulle esportazioni vedrà, anche per un certo ritorno al protezionismo, diminuire la domanda estera mentre quella interna, da sempre asfittica grazie alla moderazione salariale e al trasferimento di molti punti di PIL dai salari ai profitti, continuerà a deprimere la produzione nazionale dove la crescita zero potrebbe essere un obiettivo auspicabile.

Si aggiunga che il debito pubblico tornerà ai livelli (121%) della indimenticata manovra Amato del 1992.

Significativa la storia del debito pubblico. Dai picchi del 124% lasciato dal CAF, nel quinquennio 1996 (Prodi, D’alema, Amato) si scese al 108%. Nel quinquennio berlusconiani il debito scese al 102% (2004) per poi risalire al 106%. Il nuovo governo Prodi in un solo anno riportò il debito al 102% ed ora con il governo Berlusconi grazie alla crisi, al terremoto a tutto quello che volete, stiamo tornando al 121%.

Meglio di prima certo, se il meglio vuol dire aumentare il debito. Ora la valanga di lacrime e sangue che ci aspetta in un paese che non cresce, dove la produttività, vera piaga del nostro modello economico, ristagna se non peggiora e che deve ripagare un debito incredibile, la lascio immaginare a voi.

Parafrasando il titolo di una famosa rivista di Emanuele Macaluso, finisco che Le ragioni del socialismo stanno tutte qui.

 

Renato Gatti 

 
 
 
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