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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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CONSIDERAZIONI SU UN CONGRESSO DI UN CIRCOLO PD

Post n°298 pubblicato il 28 Settembre 2009 da socialismoesinistra

 

 

           

            Ho seguito il congresso del circolo Pd del mio territorio (Axa-Palocco) tenutosi sabato 26 settembre.

            L’ho seguito per conoscere la risposta che le tre mozioni avrebbero dato a due fondamentali domande:

a)     come viene interpretata, giudicata l’attuale crisi che il capitalismo sta attraversando;

b)      come viene interpretata la “vocazione maggioritaria” e quali alleanze si sarebbero cercate, qualora si fossero cercate, come conseguenza dell’interpretazione della crisi.

 Ho scelto questo filtro di lettura del congresso perché ritengo che il giudizio sulla crisi del capitalismo sia di gran lunga il tema più importante che una forza politica deve affrontare oggi per disegnare il suo futuro percorso strategico di lunga lena. La crisi infatti può essere letta in tre differenti modi (naturalmente semplificando al massimo), ovvero:

·       come fa l’istituto Bruno Leoni (IBL) la crisi è colpa dell’intrusione dello stato nelle cose del mercato che, da solo, risolve comunque i suoi problemi. L’aver salvato la Lehman Bros è un errore che si pagherà caro, si doveva lasciarla fallire tranquillamente senza interventi che oltre a violentare l’operato del mercato distruggono tanti soldi dei contribuenti. Tali sono peraltro le posizioni dell’Efficient Market Hypotesis (EMH) che da anni circolano nel mondo degli economisti. Sono le tesi iperliberiste di Milton Friedman attuate dai governi Reagan e Tatcher e continuate per un ventennio. Sono le tesi che bene o male sono diventate “pensiero unico” ed assimilate anche dal “socialismo della seconda fase” ovvero del socialismo dell’era Blairiana.

·        C’è poi la lettura che fa risalire le cause della crisi a qualche “delinquente” che ha esasperato le potenzialità del sistema aiutato anche da un certo colpevole e complice atteggiamento di chi era chiamato a controllare il sistema. Nel 1999 gli USA (tra i maggiori responsabili della crisi) hanno abrogato la legge  Glass-Steagall che vietava alle banche di fare operazioni extrabancarie; hanno poi permesso che la leva finanziaria passasse da 1:10 a 1:30 innescando la bolla finanziaria; ed infine non hanno controllato una enorme massa di mezzi finanziari creati e circolanti al di fuori dei mercati ufficiali, raggiungendo una massa pari al 900% del PIL mondiale. Corretti questi errori, regolamentati i mercati finanziari e le società di rating, rivisti i bonuses dei managers, tutto può tornare come prima. Occorre che tutto cambi perché tutto torni come prima.

·        C’è poi la lettura della crisi come una malattia grave permanente e non rimossa, neppure con le terapie previste al punto precedente, su cui si è innescata, in particolare negli USA una patologia devastante, nata come anticorpo alla malattia di base. La malattia profonda è la mala-distribuzione della ricchezza prodotta durante il ciclo produttivo. Il surplus prodotto invece di rientrare nella circolazione produttiva viene dirottata ad un mercato finanziario al di fuori della circolazione produttiva per moltiplicarsi a spese di sprovveduti; il cosiddetto “income by appropriation”. Il flusso di molti punti di PIL dai salari ai profitti non reinvestiti da una parte ha alimentato la circolazione della speculazione, dall’altra ha ridotto la massa dei salari e quindi della domanda interna. E’ appunto per rimediare a questa mondiale debolezza della domanda che negli USA, grazie ad una massa incredibile di liquidità proveniente dalla Cina, si è spinto oltre ogni limite il credito al consumo (cosa peraltro prevista anche in Italia da una finanziaria di Tremonti) e la conseguente invenzione di un apparato di strumenti finanziari usciti da ogni controllo. La tesi della crisi di sistema è ad esempio sostenuta da Stefano Fascina economista del Pd.

 

E’ ovvio che in funzione del tipo di interpretazione data alla crisi del capitalismo ne consegue la strategia politica e le conseguenti alleanze, è evidente l’aspetto ineludibile di un giudizio su questo campo per connotare tutta la politica, l’organizzazione, la cultura di un partito.

Purtroppo nelle relazioni dei tre relatori non si è spesa una parola su questo tema, solo in un intervento si è fatto un cenno alla crisi economica risolvibile con una diminuzione del PIL, e in un altro si accennato al problema ma solo per denunciare il fatto che nessuna delle tre relazioni lo affrontasse.

Come osservatore che cerca nel suo percorso culturale di ricostruire una sinistra atta a proporre al Pd un altro centro sinistra, più simile all’originario Ulivo, peraltro evocato dalla relazione Bersani, sono rimasto senza elementi per poter giudicare se la mia prospettiva è realistica e percorribile. Senza elementi certo, ma anche deluso o meglio preoccupato per i futuri sviluppi del rapporto con questo partito per la realizzazione del mio progetto di riproposizione di un nuovo centrosinistra, anche perché nello stesso momento in cui il congresso cercava di decidere il suo futuro, al convegno di Fondazione Libera, Casini, Pisanu e D’Alema “facevano passi avanti verso il partito del buonsenso”.

 Molto più interessante è stato il tema della “vocazione maggioritaria”. Respinta l’interpretazione veltroniana di una vocazione “presuntuosa, autosufficiente, isolazionista, leaderista che ha causato lo sradicamento dalla società” (relazione della mozione Bersani) ne è stata proposta una dalla mozione Franceschini più pregna di contenuo filosofico.

La vocazione maggioritaria non è volontà di potenza che con una legge maggioritaria e la proposta di un referendum per fortuna respinto dagli italian, tende al bipartitismo azzerando i partiti minori, inglobandoli nel partito tipo “labor” o “vecchio spd” dove c’erano dentro tutti dai liberal ai troczkisti, ma chiedendone lo scioglimento, l’annullamento, l’autonegazione compensata al massimo da qualche seggio garantito ai novelli Faust. No, assolutamente la vocazione maggioritaria è una cosa molto ma molto più nobile. La vocazione maggioritaria è “vocazione culturale maggioritaria” che conquista non solo i voti ma le coscienze degli elettori. Insomma la vocazione culturale maggioritaria è l’edizione del XXI secolo dell’egemonia di gramsciana memoria. Egemonia che non ricerca l’alleanza (che non è materia di congresso)con gli altri partiti ma ne chiede la  “conversione”..

Come nasce questa cultura? Come la si elabora?

Non certo elaborando una “linea” valida fino al prossimo congresso che costituisce la bussola degli operatori politici costruendo quell’identità di cui si denuncia l’assenza. No, queste sono ricette del novecento. La cultura si crea con un partito aperto a politiche nuove, che pratica l’incontro continuo e l’apertura continua consci dell’equazione “più aperto più rischio”, che rischia di essere disorganizzato, ma che da questa disorganizzazione vede nascere la sua identità che è una cosa viva in nascita e crescita e non un cimelio etrusco

Si riscontrano, in questo profilo: il più puro pragmatismo anti-ideologico;la  sociologia funzionalista anti-classista; un ritorno idealistico.

Insomma al vecchio materialismo deterministico vetero-marxista di Bersani, alla sua “vocazione identitaria” si contrappone una visione vitalistica, spontaneistica, organicistica. Un bergsonismo puroed un omaggio al suo “élan vitale”.

 

Renato Gatti

 
 
 
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