Creato da socialismoesinistra il 28/06/2008
Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

La riforma della Scuola Renzi- Giannini non è quello che ci vuole per la scuola, di Luca Lecardane

Post n°474 pubblicato il 23 Ottobre 2014 da socialismoesinistra

Ogni governo ha sempre la sua riforma della scuola, mai nessuna ha colto, a mio parere,quasi mai le vere questioni da affrontare.

Il ministro Giannini vuole diminuire di un anno il liceo perché vuole parificare il sistema scolastico italiano a quello europeo.

Peccato che non sia vero che i sistemi scolastici europei abbiano un anno in meno, o se ce l’hanno, è dovuto al fatto che abbiano ore in più durante l’anno scolastico.

Ma vediamo nello specifico i sistemi scolastici dei maggiori paesi europei, tenuto conto che in Italia tutto il sistema scolastico è formato da 5 anni di elementari, 3 di medie e 5 di scuola superiore per un totale di 13 anni dai 6 ai 18 anni.

Il sistema spagnolo è diviso in tre parti: Educazione infantile (da 0 a 6 suddivisa in 2 cicli), Educazione primaria da 6 a 12 anni suddivisa in 3 cicli; Educazione secondaria obbligatoria – ESO - da 12 a 16 anni suddivisa in 2 cicli. Poi gli studenti possono scegliere fra tre vie che durano due anni. Facciamo i conti ? dai 6 ai 18 anni anche in Spagna

Nel sistema tedesco a sei anni si va a scuola (però con 6 mesi di ritardo rispetto in Italia). Per i bambini con problemi di apprendimento, con handicap fisici o disabili ci sono scuole particolari, a volte a tempo pieno, dove i bambini imparano un mestiere. Il sabato è spesso libero. Per completare le 28/30 (o più) ore (formate da 45 minuti) di lezioni settimanali si fanno anche fino a 8 ore al giorno, cioè con rientri pomeridiani o fino alle ore 15 / 15.30. L'obbligo scolastico dura da tempo fino ai 16 anni. E siamo arrivati al triennio delle superiori (Oberstufe) che porta alla maturità  . Il triennio prepara all'esame di maturità. Facciamo i conti ? addirittura 13 anni e mezzo.

Nel sistema scolastico francese gli insegnamenti primari e secondari sono gratuiti, misti, laici e obbligatori dai 6 ai 16 anni e per accedere all’università bisogna fare altri due anni per raggiungere le attestazioni di studio Bac che permettono di entrare all’università. Anche qui 13 anni di studio.

Nel sistema inglese vi sono tre cicli di studio il primo inizia a 4/5 anni; il secondo a 11 ed il terzo dai 16 ai 18 anni. Facciamo i conti anche qui ? 14 anni, quindi un anno in più rispetto all’Italia

Quindi il Ministro o non sa di cosa parla quando spaccia la diminuzione di un anno del ciclo degli studi come un allineamento all’Europa oppure è in malafede.

In realtà le questioni da affrontare in una riforma della scuola sarebbero ben più importanti e profonde e andrebbero divisi per tematiche:

-L’apprendimento: è noto che la curva di attenzione nei confronti di qualcuno che spiega o che parla è di dieci – quindici minuti come risolvere il problema?

Riducendo l’ora di lezione a 45- 50 minuti come in alcuni paesi europei;

insegnando ai docenti tecniche per ridestare e stimolare l’attenzione degli studenti;

In questo ambito si inserisce la questione delle vacanze estive, troppi tre mesi per non dimenticare molte delle nozioni imparate durante l’anno, specie in materie tecniche come la matematica e la fisica. Negli altri paesi europei si distribuiscono le ferie in maniera più omogenea con ferie a metà marzo, metà novembre oltre le classiche natalizie e pasquali e con ferie estive di 6-7 settimane.

- La riforma dei programmi:ad esempio penso sia incomprensibile il mancato studio di eventi molto importanti per la storia dell’umanità che hanno ricadute su quella italiana come la seconda guerra mondiale, gli anni di piombo e la Glasnost;

-Il diritto allo studio: la legge di stabilità taglia i fondi a regioni e comuni, i quali dovranno o aumentare le tasse oppure tagliare servizi come ad esempio: le borse di studio, l’assistenza igienico personale nelle scuole per i disabili che viene fornita dai comuni e dalle scuole (ma queste ultime non hanno fondi), taglio delle ore degli insegnanti di sostegno o di assistenti alla comunicazione per gli studenti in difficoltà. Questo taglio vanifica i 150milioni di euro per l’università. Io penso che servano:borse di studio a copertura totale comprensive di costo dei libri e biglietti per i mezzi pubblici per le fasce deboli. La borsa di studio dovrebbe essere fornita in beni materiali (ad esempio esenzione epr qualsiasi tassa, fornitura di libri in comodato d’uso gratuito etc..) per evitare abusi e furberie. Tale intervento dovrebbe essere limitato negli anni ad esempio per le elementari a 7 anni poiché potrebbe capitare una defaillance durante gli anni di studio;

-Gli stipendi degli insegnanti: mediamente gli insegnanti europei guadagnano più di quelli italiani che ne guadagnano 23.000. Solo per fare un esempio quelli tedeschi guadagnano 43.000 euro, quelli inglesi 32.000 euro, quelli francesi 29.000. Il tutto a fronte di maggiori ore di lezione nella scuola primaria e nella scuola secondaria superiore e uguale alle medie e tenuto conto che, ovviamente, il lavoro degli insegnanti non si conclude di certo con le ore di lezione, ma continua a casa o a scuola in varie forme;

- Edilizia scolastica: serve un piano nazionale per l’edilizia scolastica e universitaria, lo stato dei laboratori, delle palestre e degli edifici scolastici in generale specialmente al sud è disastroso;

-Collegamento scuola-lavoro: serve maggiore collegamento tra la scuola ed il lavoro prendendo ad esempio il sistema tedesco, specialmente negli istituti tecnici;

-Semplificazione degli indirizzi scolastici: sono troppi, bisognerebbe armonizzarli e semplificarli;

-Diritto alla formazione e all’aggiornamento degli insegnanti: già in parte presente nella riforma, a mio parere, andrebbe ampliato e con lo studio sia da parte di chi deve iniziare la carriera sia per gli insegnanti dei metodi di insegnamento, pedagogia dei contesti formali, pedagogia speciale e similari

Vi sono alcune parti positive della riforma come le assunzioni di una parte dei precari storici (a parte il diritto all’aggiornamento come scritto prima), ma la questione scuola è molto più ampia e deve essere affrontata in maniera più radicale.

 

Luca Lecardane

dell’associazione Net Left

 

 

 

 
 
 

La grande importanza della iniziativa della CGIL del 25 Ottobre, di Giuseppe Giudice

Post n°473 pubblicato il 21 Ottobre 2014 da socialismoesinistra

Personalmente non potrò esserci...tutta una serie di problemi non mi permettono di muovermi da Potenza. Ma con il cuore e la mente sarò con la CGIL che è oggi l'unico vero baluardo contro un processo di regressione sociale, economica e democratica che va da anni avanti in una progressione molto pericolosa. Non è che la CGIL sia esente da colpe ed errori: tutt'altro. Troppa burocratizzazione, troppo tatticismo, troppa accondiscendenza verso i governi del cd CSX . Una assenza di una opposizione netta verso processi di privatizzazione selvaggia, scriteriata ed al ribasso, che non si è limitata a tagliare i rami secchi, ma ha coinvolto settori strategici per la economia industriale ed ha favorito processi di sudditanza rispetto agli interessi perversi del capitalismo finanziario globalizzato e determinato una consistente riduzione della stessa sovranità economica nazionale. Luciano Gallino e Giorgio Ruffolo hanno ben spiegato cosa è accaduto. Ma anche la FIOM ha grosse responsabilità . La malsana idea di una reviviscenza di un sindacalismo rivoluzionario fuori tempo massimo (ma Sorel era molto più serio di Cremaschi e Toni Negri) ha portato ad una sinistra nichilista e senza progetto. Ad un sinistrismo gutturale inutile ed impotente che è servito solo a nutrire un gruppo autoreferenziale di burocrati della rivoluzione (si fa così per dire). E comunque alla CGIL è mancato un referente politico forte. Il fallimento di un postcomunismo che si è diviso tra nuovismo, neotogliattismo giobertiano, e massimalismo gutturale senza capacità costruttiva, ha impedito il sorgere di una autentica forza laburista e socialista in gradi di dare rappresentanza politica alle istanze sindacali. Oggi la compagna Camusso (permettetemi questo scatto identitario si stampo socialista lombardiano) può veramente essere il punto di riferimento di opposizione in senso costruttivo e propositivo alla fase finale della regressione politica e sociale di cui Renzi è l'emblema. E per un rilancio di un progetto socialista: LAVORO. GIUSTIZIA, LIBERTA'

Giuseppe Giudice

 
 
 

Renzi e la mutazione del PD, di Michele Ferro

Post n°472 pubblicato il 19 Ottobre 2014 da socialismoesinistra

La mutazione genetica del PD si è felicemente conclusa con l’avvento, prima, di Renzi alla segreteria del Partito e successivamente con il colpo di mano che gli ha consentito di conquistare la Presidenza del Consiglio.
In questo percorso la parte del PD che ha maggiormente deluso è stata la componente di Sinistra, o, per essere più precisi gli ex comunisti, che hanno tranquillamente abbandonato tutti i valori politici e morali che rappresentavano il patrimonio ancora valido della militanza comunista.
L’antico metodo democristiano ha ancora una volta colpito nel segno. La capacità di inglobare tutto ciò che, in un modo a nell’altro, attraversava il cammino di quel mondo politico ha avuto successo perfino con i loro peggiori nemici, i comunisti.
L’unico Partito che non riuscirono mai a sottomettere, pur avendolo come alleato, fu il PSI, ma questo riguarda il PSI di un’altra epoca.
La politica di Renzi rappresenta la evoluzione più moderna della vecchia politica democristiana con la caratteristica assolutamente innovativa di procedere senza tentennamenti escludendo perfino il tentativo di recuperare il dissenso interno, come invece spesso accadeva ai tempi della DC.
L’imposizione della fiducia al Senato sul Jobs act (sarebbe più corretto chiamarla “riforma del lavoro”) e la espressa volontà di punire disciplinarmente i dissidenti è la più limpida dimostrazione di questa scelta ed evidenzia anche tutta l’arroganza di chi si sente il depositario della Verità.
Per Noi socialisti è difficile accettare che i nostri rappresentanti abbiano votato la fiducia e si apprestino a votarla anche alla Camera, dimenticando in modo ingiustificabile che questa riforma tocca uno dei pilastri della nostra storia politica e delle conquiste, volute fermamente dai socialisti, dei diritti di giustizia e di civiltà da parte dei Lavoratori italiani.
La verità è che il Gruppo dirigente del nostro Partito non ragiona più in termini di valori e di etica politica, ma soltanto in termini di convenienza e di opportunità in ragione di una sopravvivenza che, senza un legame ideale con la nostra storie e con le nostre battaglie politiche, non ha più alcuna ragione di essere.
Purtroppo la Sinistra italiana nel suo complesso ha perduto la capacità di interpretare i bisogni e le speranze delle classi più deboli e sofferenti della Società. Essa soffre di gravi contradizioni che vanno dall’accettazione di scelte liberiste e perfino autoritarie a posizioni estremistiche che si dimostrano fuori dalla logica dei tempi che stiamo vivendo, sia in casa che nel consesso internazionale occidentale.
Solo una Sinistra che cerchi innanzi tutto di ritrovare i motivi e le convergenze per costruire un processo unitario, che sia in grado di adeguare i suoi valori storici ad una società che oggi ha esigenze e problematiche nuove e diverse da quelle della Prima Repubblica, può essere in grado di svolgere, nell’attuale fase politica, il compito di salvaguardare i diritti civili e politici delle classi più deboli e indifese e di lavorare per una democrazia basata sul consenso popolare, sulla giustizia sociale e sul progresso economico.

Michele Ferro

 
 
 

Il Paese secondo Matteo, di Renato Costanzo Gatti

Post n°471 pubblicato il 14 Ottobre 2014 da socialismoesinistra

 

Gli scontri verbali e fisici sui job acts, le discussioni infinite sull’art. 18, le sceneggiate dei grillini, l’opportunismo di Forza Italia, l’impotenza conclamata dei sindacati, l’urlo di Landini, le dimissioni di Tocci, l’esultanza di chi dichiara che il XX secolo è finito, tutte questi movimenti, rumori, sentiments non fanno altro che denunciare il declino fatale del nostro paese che ogni giorno di più affonda nelle sabbie mobili di una recessione da cui sarà difficilissimo rientrare.
Ma tutti questi movimenti, a mio modo di vedere, fanno discutere sui diritti, che alcuni chiamano privilegi, del mondo del lavoro, prevalendo comunque nella visione collettiva un non detto che sovrasta ogni commento. Solo Poletti l’ha detto apertis verbis, bisogna togliere lacci e lacciuoli alle imprese, dare loro certezze nelle procedure e nei percorsi, abbassare l’asticella delle difficoltà e rendere il terreno libero per far scorrazzare gli animal spirits dell’intrapresa che rilancerà produzione, occupazione e redistribuzione. E’ lo stato burocratico, il sindacato conservatore, l’ideologia che considera l’impresa come il “padrone” che affossano la capacità di riassorbire l’occupazione, in specie quella giovanile.
Nella visione polettiana c’è la potenzialità dell’impresa che aspetta solo di essere messa in grado di liberare e mettere in atto le sue potenzialità, dall’altra parte ci sono tutte le resistenze culturali e di interesse che si oppongono alla creazione di un azienda Italia del III millennio.
Quante volte nella mia vita ho sentito questo discorso: togliamo questo ostacolo, che porta sicuramente dei sacrifici a chi ostacola, ma poi si libereranno le potenzialità con nuove opportunità per tutti. L’ho sentito quando si combatté la scala mobile (i due punti di contingenza), quando si predicava il “fatti imprenditore di te stesso”, quando si osanna la mobilità, tutti pezzetti di riforma unidirezionalmente rivolti a stabilire nuove regole che con i loro risultati mirabolanti avrebbero fatto ripartire alla grande il paese.
Tutte promesse deludenti che però hanno distolto il ragionamento dal problema che, a mio modo di vedere, è la causa prima della nostra crisi.
E’ DA TRENTA ANNI CHE LA PRODUTTIVITA’ DEL NOSTRO PAESE E’ SE NON NEGATIVA VICINA ALLO ZERO.
Il modello di sviluppo italiano, smantellato il sistema che per brevità chiamiamo IRI, che aveva miliardi di difetti, anche abnormi, ma che dava un contributo allo sviluppo della produttività e innovazione italiana, è entrato in una fase afasica incapace di uscire da una contraddizione di base.
L’imprenditore italiano (con le debite ma rare eccezioni) non è l’imprenditore schumpeteriano che è oggi indispensabile per reggere il confronto della globalizzazione.
L’imprenditore italiano (con le debite e rare eccezioni) vivacchia nell’edilizia che non conosce concorrenza straniera, vive di commesse pubbliche, non innova, non investe in ricerca, cerca di creare competitività agendo sul costo del lavoro, privilegia il lavoro precario che costa meno. Insomma il padrone italiano (e voglio chiamarlo così come provocazione culturale) è familista, come Giano bifronte riunisce in sé il capitalista e l’imprenditore, non ama il rischio, non ama investire le proprie risorse ma ricorre sempre più al credito bancario fino a diventare banco dipendente.
Altro che animal spirits, l’imprenditore italiano (con le debite e rare eccezioni) non ha retto alla sfida rivoluzionaria della globalizzazione e ha fallito la sua missione di conduttore e gestore della macchina economica, piuttosto che animal spirit si è dimostrato una zecca timorosa.
Ne è testimonianza l’articolo di Fubini sul lunedì della Repubblica, si legge tra le righe della Mariana Mazzuccato eppure, come rileva l’ultimo numero delle Scienze c’è stato un momento in cui potevamo ambire di essere tra i protagonisti dell’innovazione tecnologica. Molti citano Olivetti per gli esperimenti di lavoro partecipativo, io lo cito per il modello 101 il personal computer che sorprese il mondo all’esposizione mondiale negli USA.
Anche il mondo del lavoro si è adeguato a questo ambiente industriale dormiente, cerca di conviverci e ora di sopravviverci puntando sulla tutela dei diritti piuttosto che puntare, così come ha fatto CGIL, per le elezioni del 2013, su un piano del lavoro alla Di Vittorio.
Il mondo sta esprimendo una domanda di lavoro con una specializzazione consona allo sviluppo del clima tecnologico in essere, in Italia il sonno imprenditoriale non valorizza queste specializzazioni, complice di un sistema di pubblica istruzione totalmente disgiunto dal mondo della produzione, e la disoccupazione giovanile raggiunge vette inaudite.
Da una parte abbiamo un gruppo di imprese schumpeteriane (quelle che definivo debite e rare eccezioni) che stanno al passo con le sfide della globalizzazione; dall’altra abbiamo la massa di giovani che Marx definirebbe general intellect portatori di scienza e desiderosi di innovare, studiare, ricercare (li abbiamo visti domenica mattina al Maker fair all’Auditorium di Roma); queste due realtà sono quelle su cui puntare per salvare il Paese dal suo destino di decadenza (una volta si sarebbe detto che sono il soggetto rivoluzionario).
Un’alleanza inedita tra imprenditori schumpeteriani e general intellect; ecco il blocco sociale alleato per contrastare l’ignavia del capitale che cerca solo rendimenti speculativi, per contrastare l’ozio sindacale che non osa affrontare il problema cogestivo, per contrastare le zecche timorose dell’imprenditoria imbelle.
Ecco una piattaforma di lotta costruttiva che il mondo del lavoro italiano dovrebbe portare avanti collegandosi con un grande progetto di rinnovamento con le forze socialiste europee.

Renato Costanzo Gatti

 
 
 

Partito Democratico, di Franco Astengo

Post n°470 pubblicato il 10 Ottobre 2014 da socialismoesinistra

Non è il caso di descrivere nel dettaglio della  “querelle” sviluppatasi attorno alle candidature per le primarie del PD in Liguria tra autocandidature di assessori uscenti lanciate ormai da molti mesi, ritiri improvvisi (con veleni), tentazioni di segretari, uscita di scena (?) di Ministri, l’entrata a gamba tesa di esponenti di Forza Italia a sostegno di una delle candidature in ballo.
E’ il caso, invece, di assumere ciò che si sta verificando in una piccola Regione dove il PD sta esercitando da molti anni un potere egemonico, senza opposizione né da sinistra, né da destra con un sistema di “entente cordiale” trasversale sul modello, com’è già capitato di scrivere, della maggiore banca della Liguria, la CARIGE oggi al centro di un clamoroso scandalo.
Modello definibile : ce n’è per tutti, magari per alcuni poco ma ce n’è per tutti.
Così si è cementificato il territorio (con gli esiti che la regolare periodicità dei disastri alluvionali sta a dimostrare), costruiti tanti porticcioli, fatto salire un enorme deficit nella sanità (una sanità che offre sempre meno ai cittadini liguri) distrutto il sistema dei trasporti (ferrovie con gli scambi che non funzionano per il freddo a Sampierdarena, aziende del trasporto pubblico con deficit spaventosi).
Però non è neppure la sede per un bilancio, che pure dovrà essere comunque sviluppato da qualche parte, per la Regione Liguria e il suo governo delle “larghissime intese”.
Quest’occasione può, invece, essere utile prendendo spunto dalle lotte intestine al partito per porre una domanda di fondo: che partito è il PD?
Fino all’avvento della segreteria Renzi il modello su cui sembrava fondato il PD (“l’amalgama non riuscita” di D’Alema) sembrava  essere quello basato sulle “primarie” che  servivano a suffragare più o meno plebiscitariamente  il leader designato (nel caso Veltroni) in un quadro gestionale che rimaneva comunque molto frastagliato per via dell’esistenza di correnti facenti capo alle diverse tradizioni e riferimenti politici da cui il partito risultava composto.
Questo meccanismo, una volta portato a livello locale per le scelte dei candidati alle elezioni regionali o amministrative oppure per le “parlamentarie” o per le cariche di partito ha dato vita a un fenomeno molto particolare, specifico nella situazione italiana che, non dimentichiamo, è ancora derivato dal sistema delle alleanze tra partiti realizzatesi nella fase del “bipolarismo”.
I candidati, infatti, hanno teso progressivamente a non riferirsi più alle correnti di origine ma a stringere alleanze specifiche di tipo “trasversale” in un primo tempo a livello di gruppi o comunque di tipo collettivo e successivamente via via in maniera sempre più personalistica fino a determinare a quel fenomeno del cosiddetto “individualismo competitivo”: una forma di personalizzazione esasperata, di basso profilo politico, completamente estranea a qualsivoglia riferimenti di contenuti, che ha dato vita a una situazione di parcellizzazione della conflittualità colmabile soltanto con la distribuzione di “incentivi selettivi” sul terreno dell’acquisizione del “potere” a livello istituzionale.
L’avvento di Renzi alla segreteria e il suo rapido passaggio alla Presidenza del Consiglio ha portato alla determinazione di una situazione molto complessa e definibile, per certi versi, paradossale.
Renzi ha assunto, infatti, sia rispetto al Partito (collocato in una condizione di totale subalternità di vera e propria “ancella del potere” con funzione di ufficio di collocamento per aspiranti alle gerarchie) sia rispetto al Governo una sorta di funzione da “Lord Protettore” non esercitando, però, nonostante le apparenze, una  decisionalità reale.
Questo è avvenuto nei fatti nonostante l’apparente “decisionismo” del suo personaggio e di chi gli si è collocato intorno attraverso la determinazione del criterio della fedeltà e dell’appartenenza personale.
Di conseguenza il PD si trova nella condizione del “Protettorato” al vertice e di un rissoso “Feudalismo” alla periferia: come il caso della Liguria (ma anche di altre regioni) ben dimostra.
Un partito (forse una parola “grossa”, in questo caso) dove pare vigere come sistema di vita interna una sorta di “spartizione delle spoglie” dove chi riesce ad entrarne in possesso davvero “non fa prigionieri” fra i propri compagni di partito.
Nel frattempo il PD perdeva per la strada 300.000 e più tessere e i suoi vertici hanno dimostrato che la cosa assolutamente loro non interessava, questo pienamente in linea con l’idea di una democrazia esercitata sì fuori dalla logica dei corpi intermedi ma anche fuori da quella “classica” dell’autoritarismo,  del dialogo diretto tra il Capo e la folla.
Folla che può esercitarsi soltanto nel plauso incondizionato senza esercitare alcuna interlocuzione reale (neppure attraverso i sondaggi).
Ci troviamo ben oltre il modello del partito personale così come disegnato a suo tempo da Mauro Calise sull’idealtipo di Forza Italia e della capacità di comando di Silvio Berlusconi e neppure del “partito leggero” di tipo elettorale, a forte leadership verticale.
L’interrogativo rimane così tutto da risolvere: di quale partito si tratta?
 Un partito che sistematicamente può essere così descritto:  non tiene in conto gli iscritti, chiede di circondare il leader in una forma di consenso totale, lascia che in periferia si proceda alla “cannibalizzazione” degli aspiranti agli incarichi pubblici senza verificarne appoggi e prospettive nell’idea che il consenso possa verificarsi e crescere soltanto attraverso una forma di plebiscitarismo di massa.
Difficile fornire un’analisi compiuta di questo fenomeno che tra l’altro agisce in un sistema anch’esso di complicata classificazione: non è più bipolare, non è di “solidarietà nazionale”, non c’è contrapposizione con un’opposizione alternativa e plurale.
Salgono alla mente gli esempi più negativi per la democrazia  nella realtà di una concreta sparizione del processo di partecipazione politica, l’allontanamento di massa dal voto, il deterioramento nella vita delle istituzioni a livello centrale come quello periferico.
Esempi negativi di cui si compone la formazione di un vero e proprio regime autoritario, con il PD asse portante.
Franco Astengo

 
 
 

Utopia e materialità della lotta di classe, di Franco Astengo

Post n°469 pubblicato il 02 Ottobre 2014 da socialismoesinistra

Nell’idea, giusta e necessaria come si sarebbe scritto un tempo, di ricostruire un’identità della sinistra italiana in una situazione politico-sociale così difficile come quella che stiamo attraversando ormai da molti anni appare complicato scegliere una strada, un riferimento storico – culturale, un filone di pensiero.

Sotto quest’aspetto intorno a noi compaiono le macerie di quella che è stata, nel bene e nel male, la parte politica (ma anche culturale) più attiva nel nostro Paese e anche nell’Europa Occidentale sul piano della promozione del dibattito, della ricerca di una sintesi tra diverse opzioni e origini, della strutturazione di un’immagine pubblica, dell’espressione di contenuti rivelatisi in grado di produrre – insieme – lotte e soluzioni politiche.

Di tutto questo non vi è più traccia: questa pare essere la sintesi migliore per definire il nostro stato di cose presenti e riassumere ciò che è successo negli ultimi venti anni e anche la condizione materiale odierna, molto al di là della stessa analisi sul disfacimento dei soggetti politici, il loro mutamento di natura, la loro ricollocazione nel limbo della sudditanza rispetto a quello che sempre sono state le posizioni dell’avversario.

Sembrano mancare sia la ricerca culturale, sia la previsione e l’azione dell’iniziativa politica: l’impressione è, davvero, quella di muoversi nel deserto.

Quindi: ricostruire un’identità. Ma come?

Una ricerca in questo senso non può che rivolgersi, ricostruendo il tempo passato e perduto, oltre a quei riferimenti classici sulla base dei quali, nel ‘900, abbiamo assistito ai tentativi di inveramento statuale basati su alcuni fraintendimenti marxiani. Quello è stato un fallimento che ha coinvolto e coinvolge anche coloro che hanno sempre coerentemente assunto una visione critica.

Prendendo atto di questo primo punto ci sarebbe da ricostruire un ‘utopia: nella convinzione che senza l’offerta di un’utopia , pur in questi tempi di dominio tecnologico, difficilmente le generazioni possono affacciarsi sulla scena del cambiamento di quella potrebbe apparire una direzione obbligata della storia: dominanti e dominati, servi e padroni, forti e deboli.

Un’utopia complessiva, magari sul modello di quella disegnata da San Tomaso Moro: una comunità ideale, perfetta ed egualitaria, evidenziando la duplicità di senso tra luogo inesistente e luogo ottimo.

Un’utopia che si contrapponga a una realtà storica giudicata irrazionale e degradata: un progetto di costituzione sociale meditato, coerente, nella propria logica interna, con caratteri di trasparenza e di autosufficienza.

Come potrebbe però l’idea di questa utopia mobilitare le grandi masse, raccogliere attorno alle sue espressioni le lotte sociali, suscitare un moto di concreto cambiamento?

E’ proprio questo l’interrogativo più assillante, quello al riguardo del quale lo smarrimento culturale della sinistra incide di più?

Eppure una chiave di interpretazione ci sarebbe.

Se noi esaminiamo i dati dell’economia di questo principio di secolo e li incrociamo, partendo proprio da qui dall’Europa Occidentale, con quelli della condizione materiale di vita di quelle che rimangono classi subalterne (indicatori molto diversi, sotto questo aspetto, da quelli compongono la costruzione delle stime dei diversi PIL nazionali) ci accorgiamo di un elemento fondamentale: la costruzione dei patrimoni, i meccanismi di incremento del capitale, il livello delle diseguaglianze tendono tutti a far ritornare attuale la condizione della fase in cui, con lo sviluppo del capitalismo, si avviarono i grandi processi di organizzazione e di lotta del movimento operaio.

Sicuramente non siamo più dentro ad una fase di accumulazione come quella verificatasi durante la rivoluzione industriale, ma le cifre ci dicono che i livelli di sfruttamento (e da esso la crescita della rendita dei patrimoni) è molto simile a quella fase anche sotto l’aspetto della vastità dei soggetti coinvolti, con l’aggiunta del tema  ambientale, nell’800 (il secolo delle “magnifiche sorti e progressive) sconosciuto.

Intendiamoci bene: le differenze sono enormi, soprattutto al riguardo dell’estensione materiale dei diversi settori dell’economia tra primario, secondario e terziario, ma la sostanza (e gli effetti concreti) della logica dello sfruttamento stanno tornando a essere quelli di quella fase, cancellando via via quanto si era spostato in avanti dal punto di vista economico e sociale nel corso del secolo successivo, quello che definiamo dei grandi conflitti e dei grandi totalitarismi.

Si dimostra così, per l’ennesima volta, che la storia non è finita e che, almeno dal nostro punto di vista, può marciare anche con il passo del gambero.

Quale lezione trarre, a questo punti, dall’analisi appena sopraesposta?

Esprimiamoci in estrema sintesi: si tratta, prima di tutto, di far capire in quale condizione materiale i ceti subalterni si trovano offrendo l’idea di una rinnovata utopia e di strumenti di lotta non solo difensivi ma anche prefiguranti uno sbocco sociale e politico diverso e alternativo.

Tornano prepotentemente in ballo gli strumenti della lotta di classe: in primis l’organizzazione politica e quella sindacale.

Come intrecciare, allora, l’Utopia e la Materialità della Lotta di Classe: nel 1848 la sintesi fu trovata, in maniera assolutamente incancellabile da qualsiasi accidente della storia, nel “Manifesto del Partito Comunista” nella sua formidabile chiarezza di espressione.

Un punto da cui ripartire?

Franco Astengo

 
 
 

Prognosi e diagnosi, di Renato Costanzo Gatti

Post n°468 pubblicato il 30 Settembre 2014 da socialismoesinistra

La prognosi rivolta all’art. 18 disvela la diagnosi per la quale la situazione dell’azienda Italia è in crisi a causa della rigidità del lavoro.
Ma ciò disvela che della crisi che stiamo attraversando il nostro presidente del consiglio non ha capito nulla.
La ritiene un incidente di percorso del nostro capitalismo o una crisi del capitalismo nella sua fase finanziaria?
Se pensa alla prima ipotesi è giusto che faccia quello che fa, se invece pensasse alla seconda ipotesi quello che propone è assolutamente inadeguato.
Da dilettante economista individuo la causa della crisi nei seguenti fatti:
• Passaggio dal capitalismo produttivo a quello finanziario
• Esistenza di bassa propensione al contenuto tecnologico del nostro valore aggiunto già prima dello scoppio della crisi. E’ da 30 anni che la nostra produttività è se non negativa vicino allo zero
• Privilegio del lavoro precario che abbassando il costo del lavoro disincentiva la ricerca di innovazione e ricerca
• Familismo del nostro mondo imprenditoriale che associa nella stessa figura il capitalista che preferisce gettarsi nella speculazione piuttosto che reinvestire e l’imprenditore ignave che non ha più propensione al rischio
• Arroccamento sindacale che, come quello imprenditoriale, è alieno ad una sperimentazione cogestiva
• Fiscalità che non premia la ricerca di produttività né gli investimenti in ricerca e sviluppo
• Politiche governative che non premiano la cultura della produttività che parte dagli asili nido, passa attraverso alla scuola, al rapporto fabbrica-università e che privilegia una politica alta per un paese manifatturiero

Sul fronte della produttività il nostro mondo imprenditoriale è clamorosamente fallito, inadeguato alla sua missione, incapace di interpretare la rivoluzione della globalizzazione, sottocapitalizzato, indebitato, bancodipendente.
Ma ci sono imprenditori che, ignoti ai più, ma purtroppo una piccola minoranza, investono in ricerca e sviluppo, aumentano il contenuto tecnologico del valore aggiunto ed esportano.
Una alleanza tra mondo del lavoro e imprenditori illuminati dovrebbe essere alla base di uno storico cambiamento di verso del nostro paese.
Purtroppo non è così.

Renato Costanzo Gatti

 
 
 

L'art. 81 e l'attacco eversivo alla Costituzione, di Marco Foroni

Post n°467 pubblicato il 25 Settembre 2014 da socialismoesinistra

 

Aver approvato in modo rapidissimo e silenzioso nel 2012 la legge costituzionale di modifica dell'art. 81 della Costituzione significa, come ha più volte evidenziato Stefano Rodotà, mostrare la massima lontananza della rappresentanza politica dai cittadini e dalle cittadine rappresentati. E perchè questo? Perchè costituzionalizzare il pareggio di b...ilancio equivale a limitare le decisioni di spesa del Parlamento e del Governo, ma anche e soprattutto delle autonomie locali, soprattutto dei Comuni.

Con questo vincolo, i diritti sociali e i diritti civili dei cittadini non potranno essere garantiti: il funzionamento della scuola, dei trasporti locali, degli ospedali, della giustizia, della sicurezza diviene subordinato al vincolo del bilancio. Nella nostra Costituzione, prima della modifica dell'art. 81, il fine ultimo dell'ordinamento giuridico era la persona quale soggetto di diritti, e dato tale fine, lo Stato sociale era strumentale e distintivo di una società in cui all'uguaglianza formale propria dello Stato di diritto liberale, si affiancava quella sostanziale. Principio che è stato l'elemento caratterizzante la democrazia nel primo quarantennio repubblicano, da considerare tra i "principi supremi", che la Corte Costituzionale ha sottratto alla stessa funzione di revisione costituzionale e, anche, alla prevalenza del diritto comunitario sull'ordinamento interno.

Se si modifica tale principio, va ribadito, viene a modificarsi il sistema costituzionale, nell'esercizio di un potere costituente che però appartiene al popolo e non al Parlamento. Ciò è quanto si è verificato con la modifica costituzionale dell'art. 81 e prima ancora con la subordinazione delle politiche economiche ai principi comunitari, tramite la legislazione ordinaria.

L'introduzione del pareggio del bilancio introduce un principio contrastante con la nostra Costituzione, e non è vero che il diritto comunitario lo impone agli Stati membri; esso è espressione di una democrazia della rappresentanza che si esprime, con sempre maggior frequenza, attraverso atti autoritari, in perfetta attuazione di un indirizzo politico espresso dai mercati finanziari, dalla BCE e dal Fondo Monetario Internazionale. E' completamente falso affermare che il diritto comunitario impone agli Stati di modificare le proprie Costituzioni con l'introduzione del pareggio di bilancio, laddove il Trattato dell'Unione europea (art. 4, par. 2) ribadisce il rispetto delle identità nazionali. Il Preambolo del Trattato del 2 marzo 2012 sul coordinamento della governance dell'Unione economica e monetaria (firmato da tutti gli Stati membri tranne dal Regno Unito e dalla Repubblica Ceca), non impone affatto modifiche costituzionali, ma un controllo del rispetto del pareggio di bilancio affidato alla Corte di Giustizia; un controllo, tra l'altro, anomalo dell'organo che rappresenta la massima espressione della tecnocrazia e la massima distanza dal circuito democratico decisionale.

Oltre alla gravità nell'aver utilizzato in modo improprio e strumentale l'istituto della revisione costituzionale, va ribadito che la garanzia dei diritti fondamentali, ovvero dei diritti sociali, rappresenta un principio fondamentale e, quindi, in caso di contrasto con il diritto comunitario prevalgono i principi costituzionali; il Governo italiano avrebbe dovuto e deve anteporre la difesa della Costituzione alle regole eversive imposte dai mercati finanziari. 

Il pareggio di bilancio introdotto con la modifica dell'art. 81, introduce un principio contrastante con la prima parte della Costituzione; in particolare con l'art. 2 nella misura in cui l'obbligo del pareggio può determinare una violazione dei diritti inviolabili; con l'art. 3 in quanto con la stessa ragione si viola quel principio di eguaglianza sostanziale sancito da secondo comma, che caratterizza la forma del nostro Stato sociale e soprattutto costituisce l'elemento fondativo delle politiche sociali e l'effettività della democrazia sostanziale.

Il Patto di stabilità interno, il pareggio di bilancio imposto con il nuovo art. 81, viene a determinare una formidabile compressione della capacità delle Autonomie locali nel far fronte alle funzioni amministrative che la Costituzione stessa assegna loro (art. 118), e che prevede che siano integralmente finanziate con le risorse indicate all'art. 119. Conseguentemente, ciò ha determinato la grave violazione del principio autonomistico di cui devono godere gli Enti locali come previsto all'art. 5, ripreso dall'art. 114 che enuncia per gli stessi Enti il fondamento dei loro "statuti, poteri e funzioni" (comma secondo).

Tutto ciò determina un vulnus costituzionale gravissimo, determinato nel momento in cui con una legge costituzionale si viene a costituzionalizzare il patto di stabilità interno, quando alla stessa legge costituzionale è vietato violare principi fondamentali quale, come in questo caso, il principio autonomistico stesso.

Marco Foroni

 

 
 
 

Il golpe cileno, laboratorio di neoliberismo, di Marco Foroni

Post n°466 pubblicato il 12 Settembre 2014 da socialismoesinistra

Il golpe cileno di Pinochet dell'11 settembre 1973 fu il primo esperimento nella Storia di creazione di uno Stato e di una economia neoliberista.

Fu il colpo di stato contro il governo della sinistra democraticamente eletto di Salvador Allende, organizzato dalle élite economiche nazionali, che si sentivano minacciate dalla politica socialista promossa dal presidente, con l’appoggio delle grandi corporation americane, della CIA e del segretario di Stato Henry Kissinger.

Insieme agli assassini e ai torturatori golpisti dell'esercito cileno, scesero in campo gli economisti detti Chicago boys della scuola monetarista di Milton Friedman, inviati dagli Stati Uniti al dittatore Pinochet come consulenti economici, con il fine esplicito si ridisegnare le linee di politica economica e sociale che, nei decenni a venire, influenzarono in modo decisivo le politiche economiche dei Paese occidentali, le cosiddette democrazie liberal-democratiche. 

Dal paese sudamericano, il laboratorio cileno, doveva partire la dimostrazione della capacità del neoliberismo di risolvere i problemi delle crisi e, grazie all'eliminazione della democrazia, del contenimento delle libertà sindacali e delle rivendicazioni partecipative delle classi lavoratrici, vincendo la recessione e le lotte sociali. Venne intrapreso un programma di drastiche privatizzazioni: della sanità, della scuola, di aziende e beni pubblici dello Stato; si procedette alla riforma del mercato del lavoro che rese flessibile la forza lavoro, alla completa apertura alla libera circolazione dei capitali, in entrata ed in uscita.

Con il conseguente risultato, questo l'obiettivo prioritario, di ottenere classi sociali abbienti minoritarie sempre più ricche, la marginalizzazione della classe operaia, l'impoverimento dei ceti medi e intellettuali, l'aumento drastico della disoccupazione e l'abbattimento dei salari e degli stipendi. In Cile le minoranze etniche locali, i Mapuche, furono brutalmente espropriate della terra, dei beni comuni, e brutalmente ghettizzate.

Nasce l'11 settembre di quarantuno anni quello che oggi viene definito il mercato, declinato come la sola ed unica ragione e religione. Il mantra del pensiero unico, del modello economico e di "sviluppo" senza alternativa, per il quale oggi nella Europa dei diritti negati milioni di persone, di disoccupati, di giovani pagano il prezzo più alto; quello della precarietà della vita.

Marco Foroni

 
 
 

Politica e classe, di Antonello Badessi

Post n°465 pubblicato il 11 Settembre 2014 da socialismoesinistra

 

La politica, se non si colloca strutturalmente dentro lo scontro di classe, e se non lo ammette esplicitamente, non è politica.

Ma negli ultimi anni, soprattutto a partire dalla costruzione della “Seconda Repubblica” in Italia, la politica ha iniziato ad essere rappresentata su terreni altri da quelli delle dinamiche sociali. La questione morale, la legalità, una concezione tutta scolastica della lotta alla Mafia, etc.. Ce le ricordiamo le parole d’ordine della sinistra, dell’ex-PCI nei primi anni ’90? Su quale terreno è stata condotta la battaglia su tangentopoli?

Ora siamo all’avvento della “Terza Repubblica” e il tema dominante è quello della “lotta alla casta”, cioè un terreno surrettizio che pretende di giocare sul disagio sociale di milioni di lavoratori, precari, disoccupati e di contrapporre questo disagio non già alla condizione dei padroni del vapore dell’economia finanziaria bensì a quella di un ceto politico, sicuramente avverso, ma che tuttavia non è il centro strutturale di un fronte avversario di classe. E’ uno stato di egemonia ideologica, nel senso che gli attribuiva Marx, cioè di falsa coscienza, che pervade anche la sinistra e la rende subalterna al populismo di Beppe Grillo ma anche di Matteo Renzi.

Che dire poi dei temi del terrorismo, del fondamentalismo, del diritto internazionale? Ci infervoriamo sulla situazione in Medio Oriente, o in Ucraina, in base ad una agenda compilata dai padroni del vapore e dell’opinione pubblica. Sappiamo per caso i motivi strutturali del perché c’è l’ISIS, perché Obama gli ha dichiarato guerra dopo averli caldeggiati? Se li sapessimo, questi motivi, potremmo anche convenire, con autonomia, che quella barbarie va combattuta, ma invece siamo trascinati, senza resistenza, nell’enorme stadio mondiale a fare da tifoseria. Sappiamo qual è la vera posta in gioco dello scontro in Ucraina? Sappiamo che i ribelli rappresentano la risposta delle classi più basse ad una situazione insostenibile?

In passato, il movimento dei lavoratori costringeva gli avversari a muoversi sul proprio terreno, che poi era il terreno oggettivo di classe. Il fascismo nascente cercava di mutuare una ottica di classe, basti darsi una letta al programma di San Sepolcro. Dopo di che rivelava la sua natura matura e funzionale nello scagliarsi contro i socialisti sovversivi. Anche la Chiesa lottava contro il "Socialismo ateo e sovvertitore".

La lotta di classe dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni 80 costituiva il centro dell’immaginario collettivo della lotta politica. La stessa costruzione della democrazia, che è stata l’opera colossale della sinistra italiana per 40 anni, non era altro che funzionale agli interessi dei lavoratori e non di una indistinta società civile. Anzi la società civile, nei fatti, era la naturale estensione del movimento egemone dei lavoratori.

Negli anni della Repubblica, persino la cinematografia, compresa la commedia all'italiana, ci regalava pagine e pagine di lotta di classe rappresentate nelle trame dei film. Da Monica Vitti, a Romi Schneider, a Ugo Tognazzi, ad Alberto Sordi, A Gianmaria Volontè, a Giuliano Gemma, e via dicendo, o impersonavano operai o padroni, o poliziotti mobilitati contro la sovversione. Questa liquida orizzontalità ha relegato tutto ciò nel passato.

Ma la lotta di classe è una cruna dell'ago: ci si deve passare attraverso per forza. Comprese le forme surrettizie, che hanno iniziale fortuna proprio perché fanno leva sull'istinto di classe che è connaturato all'uomo anche quando viene deviato su un terreno che non è quello proprio.

Per questo motivo dobbiamo farci trovare pronti quando la delusione verso le sirene della “nuova politica” prenderà il posto dell’entusiasmo per aver creduto ad una falsa via di uscita alla disperazione.

Antonello Badessi

 

 

 

 
 
 

SOCIALISMO E ANTIFASCISMO

Rodolfo Morandi


 Il Socialismo dei fratelli Rosselli  di Carlo Felici

 Da un'antica ferita ad una prossima resurrezione           di       Carlo Felici

 L'assassinio dei fratelli Rosselli   di Carlo Felici

 Un appello di Carlo Rosselli ai comunisti che sembra scritto ieri   di             Carlo Felici

Non una somma di etichette ma un insieme di valori    di Carlo Felici

Sull'attualità del 25 Aprile di Luca Fantò

La Festa d'Aprile  di Nicolino Corrado

 Sembra scritta da poco, anzi, pochissimo  di Carlo Felici

Il Centro socialista interno (1934-1939)- appunti per un dibattito su antifascismo e unità di classe                         di  Marco Zanier

parte prima
parte seconda
parte terza
parte quarta
parte quinta

 

 

MARXIANA


Karl  Marx

 

Costituzione, neoliberismo, nuove povertà  di Marco Foroni

Sulle teorie del valore  di Renato Gatti

Le crisi   di Renato Gatti
parte prima
parte seconda


Globalizzazione i compiti della Sinistra   di  Franco Bartolomei

note del Coordinamento del Forum di SocialismoeSinistra

parte prima

parte seconda


La crisi e i suoi rimedi   di Renato Gatti

Al papa sarebbe necessario un poco di marxismo   di Leonardo Boff

Note e riflessioni su socialismo, comunismo e capitalismo  di Giuseppe Giudice

L’anticipazione del nostro tempo. Marx, la sinistra e il recupero delle solidità  di Marco Foroni


 

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I TEMI DEL SOCIALISMO ITALIANO

Francesco De Martino


La risorgiva socialista   di Carlo Felici

Eppure il vento soffia ancora  di Carlo Felici

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I TEMI DEL SOCIALISMO INTERNAZIONALE

Oskar Lafontaine

 

La sconfitta dei socialisti  di Renato Gatti

 

 

 

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PER COSTRUIRE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'

 

I Nuclei Aziendali di Sinistra e Libertà   di Marco Zanier

 Avrà successo "Sinistra e Libertà"?   di Gioacchino Assogna

I doveri della sinistra italiana  di Franco Bartolomei

prima parte

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 Io su Sinistra e Libertà la penso così   di Luca Fantò

"Sinistra e libertà" il fuituro del Socialismo italiano    di Franco Bartolomei

Socialismo e Libertà  di Carlo Felici

Le tre fasi del socialismo
di Renato Gatti

Libertà, e non solo per uno   di Carlo Felici

 Le elezioni europee   di Gioacchino Assogna

 Il grano e il loglio della Sinistra   documento scritto da socialisti iscritti o senza tessera e da elettori si Sinistra e Libertà

 Un nuovo sole contro l'arsenico e i vecchi merletti   di Carlo Felici

Una nuova Sinistra per l'Italia è un sogno realizzabile?    di Michele Ferro


 

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Il ruolo sociale dell’arte  di Stefano Pierpaoli


 

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L'Associazione SocialismoeSinistra, ispirandosi ai principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, persegue la promozione dei valori di libertà, di solidarietà e di eguaglianza nella vita politica, sociale e culturale del Paese.
L’Associazione considera il principio della laicità dello Stato e della libertà nelle professioni religiose, affermato dalla Costituzione, un valore di riferimento a cui ispirare la propria azione politica, ed intende perseguire la  effettiva affermazione del principio di legalità, nel quadro dei valori costituzionali, quale elemento fondamentale di una riforma democratica dello Stato che restituisca ai cittadini della Repubblica la certezza nella legittimità, nella imparzialità, e nella correttezza della sua attività amministrativa ad ogni livello.
L'Associazione SocialismoeSinistra fonda la propria azione politica sulla convinzione che la crisi delle economie dei paesi sviluppati abbia assunto i caratteri di una crisi di sistema, tale da incrinare la fiducia collettiva in un futuro caratterizzato dai livelli di garanzia sociale finora conosciuti, e cancellare l’egemonia delle idee-forza liberiste, neoconservatrici e tecnocratiche attorno a cui l’Occidente ha consolidato gli equilibri di potere responsabili dei processi economici, finanziari e sociali oggi entrati in crisi.
L'Associazione SocialismoeSinistra ritiene che la Sinistra italiana debba necessariamente ripensare la propria impostazione culturale e programmatica rispetto alla profondità della crisi che sta coinvolgendo il capitalismo a livello globale, recuperando appieno una concezione del riformismo socialista fondata sulla affermazione della superiorità del momento della decisione politica rispetto alla centralità degli interessi del mercato, nuovamente proiettata a perseguire una trasformazione strutturale degli assetti economici e sociali, ed in grado di individuare un diverso modello di sviluppo, diversi parametri di riferimento della qualità della vita della società, e nuove regole di controllo sociale delle variabili economiche.
L'Associazione SocialismoeSinistra ritiene quindi che questo nuovo percorso politico passi attraverso una ristrutturazione di tutta la Sinistra essendo evidente che la straordinarietà della crisi implica il superamento della distinzione tra coloro che provengono dalle file del socialismo europeo e chi si è finora riconosciuto in esperienze politiche nominalmente più radicali.
L'Associazione SocialismoeSinistra si costituisce al fine di rendere possibile questo grande progetto di ricostruzione della Sinistra italiana,  di rinnovamento democratico della società e di riforma dello Stato. (Art. 2   dello Statuto dell'Asso- ciazione SocialismoeSinistra )

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